Il vivente, il vivente ti rende grazie

Lectio Divina – 30

ISAIA

“Il vivente, il vivente ti rende grazie”

38,10-14; 17-20

Introductio.

Lodiamo Dio Padre, nostro Signore, che ci ha chiamato ad ascoltare nuovamente la sua Parola di vita. Preghiamo Maria Santissima che ci aiuti a ricevere lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Oggi pregheremo e mediteremo il cap. 38, dove troviamo il canto cosiddetto cantico di Ezechia. Dobbiamo immergerci nel tempo dell’VIII sec. a.C. Una nuova potenza si affaccia alla politica del V.O.A. (vicino oriente antico). L’Assiria che, trovata una propria unità all’interno si pone come potenza egemonica capace di conquistare e gestire tutta l’area. L’inizio di questa politica di espansione coincide all’incirca con la vocazione di Isaia, già visto in precedenza. I profeti come Amos, Osea e Isaia stesso vedono in questa potenza, che a poco a poco inghiotte tutto, un forte richiamo divino. Infatti, per Isaia non serve cercare alleanze con le altre potenze come Egitto o Babilonia, ma piuttosto convertirsi a Dio e tornare alla fedeltà, per scampare all’invasione assira e alle sue conseguenze. Questo è il senso dei suoi continui richiami ai re con cui ha a che fare.

Nell’anno 701 Sennacherib, che nel 705 è salito al trono d’Assiria, è sotto le mura di Gerusalemme dopo una campagna militare tanto rapida quanto irrefrenabile, che ha spazzato via tutti i possibili ostacoli.

Al momento della sua conquista diversi stati, già vassalli o tributari del suo predecessore, si erano ribellati al potere assiro: tra costoro proprio Ezechia.

Ancora una volta, Gerusalemme ha un ruolo centrale: l’offesa recata alla città (l’assedio) è, in realtà, rivolta al Santo d’Israele, il quale si farà beffe di Sennacherib attraverso di lei.

Con un espediente stilistico molto efficace Isaia impersona l’invasore che racconta le proprie imprese, ma il suo tracotante discorso è interrotto bruscamente. Dio afferma con forza di essere l’unico dominatore della storia, tanto da ridurre ogni umana potenza alla stregua di un animale domato.

Infatti, l’invasore fu costretto al ritiro. Che cosa è successo di fatto? Forse una violenta epidemia, aggravata dalle notizie circa le intenzioni del faraone Tiraka di muovere contro gli assiri. Isaia liquida la questione con poche e incisive battute, che rendono la scena straordinariamente plastica. Isaia anticipa persino la morte di Sennacherib che avvenne circa vent’anni più tardi, in modo violento a seguito di una congiura.

E’ in questo periodo che Ezechia si ammala gravemente.

Leggiamo insieme il cantico molto attentamente.

Meditatio.

Alla divisione del cantico in due parti – 10-14; 17-20 – corrisponde il passaggio dall’io dell’orante al Tu di Dio Salvatore: “Io dicevo…” (v.10) – “Tu hai preservato la mia vita…” (v.17). La risalita dall’abisso della disperazione è stata un0ascensione spirituale. La certezza che il destino dell’uomo non è morte, ma vita, è stata attinta in Dio sempre meglio conosciuto. Tra Dio e la morte c’è incompatibilità. Se il senso della creazione è rendere lode e gloria a Dio, quella voce dell’universo che è l’uomo non può spegnersi per sempre. Né gli inferi né la morte risuonano di canti (v.18). Inferi e morte non possono dunque essere la vocazione e la destinazione ultima dell’uomo. Pensarlo sarebbe oltraggiare Dio creatore, ma soprattutto Dio amore.

L’amore – e che dire se questo amore è infinito? – vuole essere riconosciuto e contraccambiato. L’amore è una relazione tra viventi. Dal momento che il nulla non può essere né soggetto né oggetto d’amore, la fedeltà, per Dio, consisterà nel conservarci l’essere.

L’uomo trasmette la vita perché è mortale. Le pietre non devono riprodursi: restano. L’uomo genera perché se ne va. Tuttavia, secondo il nostro cantico, la paternità umana è molto di più che riproduzione e conservazione della specie. Non si esaurisce nell’assistenza e nell’educazione, ma la sua finalità ultima è raccontare l’amore fedele di Dio. Il padre inizia i figli al canto di lode che è la ragione suprema della creazione: “Il vivente, il vivente ti rende grazie come io faccio quest’oggi. Il padre farà conoscere ai figli la fedeltà del tuo amore” (v.19). Sul piano umano, un giorno o l’altro, i padri cedono il posto ai figli. Di fronte a Dio, nessuna generazione succede ad un’altra, ma tutte si associano in una lode comune e senza fine.

Certo, Isaia nel cap. 38 non spazia in così vasti orizzonti. Si tratta dell’azione di grazie di un uomo che ha corso il rischio di morire prima del tempo. I suoi rimpianti non sono tutti spirituali (v.11b); tutto sommato, non chiede che di vivere il numero dei suoi anni. Malgrado ciò, la sua preghiera contiene le premesse della meditazione che abbiamo ora fatto, come indica il v.20 letto nella pienezza del suo significato (qui sta la grande intuizione di Isaia). L’aiuto di Dio è stato sentito ad una profondità tale che continuerà ad essere oggetto dei successivi canti dell’orante, e anche dei nostri: “Il Signore si è degnato di aiutarmi, per questo canteremo sulle cetre tutti i giorni della nostra vita”.

Notiamo questo passaggio dal singolare al plurale. Noi siamo associati al canto del salmista, cantiamo con lui. Siamo tutti viventi davanti al Signore, per sempre.

Rileggiamo il cantico in silenzio, attenti ai suggerimenti dello Spirito Santo.

Contemplatio.

Il dolore, la morte quanto ci fanno paura, o Dio nostro! Tu ci hai creati tenacemente attaccati alla vita terrena! Poche volte riflettiamo sulla nostra morte e, quando la malattia ci colpisce opprimendoci, tutte le nostre forze vengono meno; anche la nostra fede vacilla. La preghiera ci aiuta perché è la nostra arma vincente sulle nostre fragilità umane nel momento della prova.

Ezechia pigola come una rondine, geme come una colomba, ma chiede a Dio di proteggerlo; anche noi preghiamo la nostra Mamma Celeste di “pregare per noi nell’ora della nostra morte”. A

Abbiamo, poi, sempre davanti a noi l’immagine di Gesù, che nell’orto del Getsemani fu oppresso dal patire fino a sudar sangue e a gemere “L’anima mia è triste fino a morirne” (Mt.26,38). Pur essendo il Figlio di Dio e Dio lui stesso, ha voluto sperimentare in sé tutto lo sgomento, il terrore, la solitudine, la ripugnanza della nostra natura umana di fronte alla sofferenza.

Padre nostro fa che, contemplando la tristezza mortale di Gesù, che patì per amor nostro, sappiamo unirci a Lui nella preghiera che ti rivolse: “Non quello che voglio io, ma quello che vuoi Tu”. Solo allora sapremo resistere agli assalti del dolore e non soccomberemo di fronte alle situazioni più tragiche.

Conclusio.

Giovanni Paolo II nel commento al Cantico di Ezechia ci rammenta che il Signore non resta indifferente alle lacrime del soffrente e, sebbene per vie che non sempre coincidono con quelle delle nostre attese, risponde, consola, salva. E’ ciò che Ezechia confessa alla fine, invitando tutti a sperare, a pregare, ad aver fiducia, nella certezza che Dio non abbandona le sue creature.

San Bernardo di Chiaravalle nel terzo dei Sermoni Vari, scrive, applicando alla vita di ognuno il dramma di Ezechia: “Benedirò il Signore in ogni tempo, cioè dal mattino alla sera, come ho imparato a fare, e non come quelli che ti lodano quando tu fai loro del bene, né come quelli che credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno, ma come i santi dirò: “Se dalla mano di Dio abbiamo accolto il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?…Così ambedue questi momenti del giorno saranno un tempo di servizio a Dio, poiché la sera rimarrà il pianto, e il mattino ecco la gioia. Mi immergerò nel dolore la sera per poter poi godere la letizia del mattino”.

Grazie santissima Trinità per quest’ora di preghiera.

Sia lodato ora e sempre il Tuo Nome. Amen.