Il segno di Giona

Lectio Divina – 24

GIONA

“Il segno di Giona”

2, 3-10

Introductio.

Lodiamo Dio Padre, nostro Signore, che ci ha chiamato ad ascoltare nuovamente la sua Parola di Vita.

Preghiamo Maria Santissima che ci aiuti a ricevere lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Il re Geroboamo ristabilì i confini di “Israele…secondo la parola del Signore Dio d’Israele, pronunziata per mezzo del suo servo il profeta Giona, figlio di Amittai, di Gat-hefer”. Così si legge nel secondo Libro dei Re (14,25). Siamo nell’VIII secolo a.C., a Samaria, capitale del regno settentrionale d’Israele. Governa Geroboamo I°, in un’epoca di floridezza ma anche d’ingiustizia sociale; alta e polemica si leva la voce del profeta Amos.

Ma fa capolino un altro profeta, Giona che è rimasto stampato nella memoria a causa di quell’immenso cetaceo da cui sarebbe stato inghiottito. In realtà questo delizioso libretto che è giunto a noi con suo il nome, è una sorta di tarda parabola posteriore. Essa ha messo come protagonista l’antico profeta d’Israele e l’ha rappresentato con un tocco sapido d’ironia: è un uomo lamentoso, pauroso, preoccupato di sé e soprattutto renitente alla chiamata divina.

Giona, infatti, è da Dio inviato a predicare a Ninive, la gran capitale orientale assira, e, invece, egli s’imbarca per Tarsis, che è un lontano centro occidentale (forse Gibilterra o la nostra Sardegna). Il mare tempestoso e il mostro marino che lo inghiottisce sono simboli di morte, di prova ma anche, alla fine, di liberazione. Una volta purificato, il profeta si rassegna a recarsi a Ninive e porta a compimento la sua missione con successo: “I cittadini di Ninive cedettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Dio vide le loro opere, che in pratica si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio s’impietosì…”(3,5.10).

Ma la storia non è finita. Questo petulante profeta ha ancora di che lamentarsi. Sta quieto sotto un frondoso albero di ricino e in cuore si macina d’acredine perché egli si aspettava che i niniviti, tradizionali nemici d’Israele, non si convertissero, così da far scatenare la collera e la giustizia divina in luogo del perdono. Ed ecco che un verme si attacca alle radici di quell’albero frondoso e lo fa inaridire. Le foglie avvizziscono e il sole incandescente batte sul capo di Giona. Per di più si solleva l’ardente vento del deserto.

E’ facile immaginare la protesta di quest’uomo che ce l’ha con tutti e con Dio. Ma la voce divina risuona forte e chiara e svela la lezione ultima di questa parabola. E’ un attacco contro ogni forma di grettezza, chiusura, integralismo e razzismo e una celebrazione della volontà divina di salvare ogni sua creatura: “Tu ti dai pena per quella pianta di ricino…, e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella gran città, nella quale sono più di 120.000 persone…, e una gran quantità d’animali?” (4,10-11).

Leggiamo insieme il cantico molto attentamente:

….e disse: Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce.

Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passato sopra di me.

Io dicevo: Sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio?……

Meditatio.

Il v. 3 è un salmo, inserito da uno scriba ispirato per accentuare il valore religioso del libro, mettendo in bocca a Giona una supplica con un’azione di grazie anticipata.

L’espressione del v. 4 vuole tradurre l’immagine di uno che, travolto da una terrificante tempesta marina, affonda senza speranza alcuna.

Tuttavia la locuzione “tuoi occhi” del v. 5, non indica soltanto la presenza esteriore di qualcuno (Dio), ma una presenza intelligente, attenta. Giona, rivolgendosi a Lui positivamente afferma che tornerà a guardare verso il Tempio. Giona, sempre disperato (vv. 6-7), dice cose da caos primordiale, prima di risalire dalla fossa, anticipando la liberazione che attende da dio: è un modo di proclamare la sua fiducia proprio mentre si trova nel momento più buio della prova, in altre parole quando percepiva venirgli meno la vita, il cuore gli fa rammentare Dio e gli eleva una preghiera, denunciando la nullità (vv.9-10) degli idoli e dei feticci, con la loro devozione pervertita.

L’imprecazione traduce lo stato d’animo che ritroviamo frequentemente nei salmi di rendimento di grazie (o supplica che terminano con un’azione di grazie): il fedele non prega solamente per se stesso, ma anche per altri, perché si allontanino dal male e vi volgano verso il Signore.

Giona è ognuno di noi. Tutti siamo “profeti” perché uniti, per il Battesimo, col profeta Gesù Cristo, Figlio di Dio, di cui dobbiamo comunicare il messaggio a tutti. Vivere e svolgere una missione sono sinonimi, poiché ognuno di noi ha da Dio una missione unica e insostituibile, che può anche non essergli gradevole (proprio come a Giona all’inizio). Contro la costante tentazione della ricerca d’oasi di “tranquillità”, la parola di Dio ci spinge ad affrontare una missione che è apertura agli “altri”. E aprirsi significa rompere la crosta del proprio egoismo, comunicare, esporsi, diventare accessibile ai colpi, compromettersi. E’ la posizione di Cristo sulla croce. Per noi cristiani nulla ha valore se non è comunicato.

Saper “perdere”, pagando di persona, non è autoimmolazione da bonzi suicidi. Si tratta, in verità, di un sacrificio positivo, che conduce all’apertura salvifica liberatrice per sé e per gli altri. Il “segno di Giona” (Mt.12,40) è segno di resurrezione.

Il libro di Giona, sotto forma di parabola, ci comunica l’amore universale di Dio contro tutti quegli Israeliti ( e dei cristiani d’oggi) i quali, nonostante abbiano fatto lunga esperienza della misericordia divina verso loro stessi, vedono malvolentieri che il Signore è misericordioso anche verso gli altri. Costoro sono ben rappresentati dal protagonista della vicenda, Giona, che rifiuta di predicare la conversione a Ninive, ma che ottiene la salvezza personale e degli altri solo quando riconosce il suo peccato.

Rileggiamo il cantico in silenzio attenti ai suggerimenti dello Spirito Santo.

Contemplatio.

Mio Dio, Tu vuoi che annunciamo il Vangelo, la Buona Novella perché tu vuoi la salvezza di tutti gli uomini e per questo Tu hai mandato il tuo Figlio Unigenito. Tu ci chiami, quindi, ad essere tuoi Testimoni, ma essere tuoi Testimoni significa abbandonare le nostre oasi di “tranquillità”, superare il nostro egoismo, le nostre incertezze terrene e vincer soprattutto il nostro orgoglio, la radice di tutti i mali, che ci impediscono di abbandonarci alla Tua volontà, di accettare completamente la tua Parola, di seguire in modo radicale la Tua Legge. Ma Tu, Dio Onnipotente, attraverso vie misteriose, come sei il regista vero della storia di Giona, lo sei anche delle nostre vite e di quelle di tutti gli uomini; attraverso la sofferenza ci fai precipitare nella più cupa disperazione affinché la nostalgia di Te ci faccia sempre più risalire fino all’abbandono fiducioso nelle tue braccia di Padre Misericordioso. Signore Dio fa che noi ci sentiamo veramente i tuoi figli, ma non figli viziati che ritengono che tutto ci sia dovuto e non tolleriamo l’idea spartire i nostri privilegi; fa che impariamo a pregarti non solo per noi stessi e per chi ci sta in cuore, ma anche, come dice il nostro Maestro Gesù, per i lontani, per chi ci fa del male.

Conclusio.

Qual è il vero volto di Dio? E’ il volto del Dio Misericordioso, che allarga l’offerta del suo amore misericordioso non solo al popolo d’Israele, ai cristiani, ma a tutti gli uomini. Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini, ma questa non può avvenire senza che gli uomini si convertano, rinuncino alla seduzione di satana. Impresa questa molto ardua, ma certo non impossibile, giacché abbiamo, come sommo modello Gesù, Figlio Unigenito del Padre, Vero Uomo, che, per la salvezza d’ogni uomo peccatore, ha abbracciato volontariamente la morte. La morte e resurrezione di Cristo sono il più grande segno del suo amore e della sua divinità. Chi crede in lui sarà salvo e i cristiani sono tenuti non solo a convertirsi dal peccato, ma anche a lottare, a soffrire, a pagare per i peccati dei fratelli, affrettandone la conversione con le preghiere e l’amore.

Grazie santissima Trinità per questa ora di preghiera.

Sia lodato ora e sempre il Tuo nome.

Amen.