Canto di Mosè

Lectio Divina – 22

Canto di Mosè

Esodo 15,1-18

Introductio:

Lodiamo Dio nostro padre che ci ha chiamato ad ascoltare la sua Parola. Preghiamo Maria vergine Madre perché ci assista nel ricevere lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del Tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Con il Libro dell’Esodo entriamo nel cuore della fede d’Israele. Non c’è, infatti, parte dell’A.T.e del N.T. che non ne fa memoria e che sui fatti che esso raccoglie non professi la propria fede.

Tradizionalmente attribuito a Mosé, l’Esodo è invece stato scritto da vari autori ed è stato messo assieme lungo l’arco di diversi secoli.

Dato che la faccenda è complessa, vediamo anzitutto qual é lo schema generale del Libro:

  • da 1,1 a 13,6 situazione d’Israele in Egitto fino alla liberazione;
  • da 13,7 a 18,27 uscita dall’Egitto e cammino del popolo nel deserto;
  • da 19,1 a 24,18 al monte Sinai Dio stringe l’Alleanza col suo popolo;
  • da 25,1 a 31,18 codice di leggi e disposizioni sul culto;
  • da 32,1 a 34,35 tradimento del popolo e rinnovamento dell’Alleanza;
  • da 35,1 a 40,38 esecuzione delle disposizioni date nella sezione “d”.

Il Canto di Mosè si trova nella sezione “b” che noi mediteremo nella lectio divina. All’interno della sezione “b” troviamo partenza, inseguimento e passaggio del mare. Per questi fatti esistono due resoconti intrecciati assieme che si rincorrono fin dai primi capitoli dell’Esodo. Secondo una tradizione, Israele scappò dalla sua oppressione, per raggiungere il luogo in cui il Signore si è rivelato e rendergli culto: è il tema essenziale delle prime nove piaghe. Secondo un’altra tradizione Israele invece fu espulso dall’Egitto, e di fretta, come conseguenza della decima piaga.

Queste tradizioni riflettono due aspetti dell’Esodo che occorre osservare a fondo: da una parte quello della liberazione e affrancamento dalla schiavitù (=il Signore fa uscire il suo popolo dalla casa della schiavitù); dall’altra quello della salita dall’Egitto a Canaan, in corrispondenza a Giacobbe che da Canaan era sceso in Egitto, che rende evidente invece la presa di possesso della Terra Promessa come punto culminante dell’Esodo, più che la liberazione.

Ugualmente il miracolo del mare è visto da due angolature: Mosé tende il bastone e il mare si apre; l’Angelo protegge il campo e il vento dell’est fa soffiare sulle acque. Anche in questo caso non è possibile spiegare il prodigio in termini naturali d’alta o bassa marea o simili: il Testo non lo permette. Unico riferimento ad un fatto “atmosferico” è il vento. Il Testo invece ci presenta una narrazione complessa in cui campeggia la figura di un Dio guerriero (=il Signore delle schiere), cosa che è confermata dal Canto in oggetto: il Signore prode in guerra ha sbaragliato cavallo e cavaliere.

A questo punto poniamoci in ascolto del testo:

Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere.

Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato, è il mio Dio e lo voglio lodare……

Meditatio.

Il Canto è una delle composizioni poetiche più belle e interessanti dell’A.T.: esso compare parecchie volte anche nella nostra Liturgia delle Ore ( Lodi – prima settimana – sabato), ha una lunga storia all’interno della stessa Scrittura, e la tradizione ebraica, accolta dai Padri della Chiesa a cominciare da Origene, la considera uno dei dieci Canti più alti dell’A.T., tanto da dedicargli diversi commenti.

Vediamo, prima di tutto, il genere letterario. E’ un “inno”: inizia, infatti, con un verbo che dichiara la volontà di lodare Dio (canterò o voglio cantare) che è dunque un implicito invito alla lode per chi ascolta, seguito dalla motivazione della lode (perché trionfando trionfò).

Il Canto si compone di quattro parti.

– L’introduzione vv.1-4: il cantore si esorta alla lode. Mosé, presunto autore del Canto, s’identifica con il popolo, o meglio, il popolo si esprime per bocca sua: “…il Signore mi ha salvato”. L’unità della comunità raccolta attorno al suo capo appare anche in altre espressioni: “…è il mio Dio – è il Dio di mio padre”. Un solo Dio, un solo padre, una sola famiglia.

L’introduzione è delimitata da due enunciazioni che si fanno eco: “…ha gettato in mare cavallo e cavaliere”, poi con un crescendo poetico: “…i carri del faraone e il suo esercito li ha gettati in mare”. Tutto il merito della vittoria militare spetta a YHWH.

– La rievocazione degli avvenimenti gloriosi vv.8-10: Mosé dialoga con YHWH ( da notare l’uso della seconda persona). Nuova delimitazione della strofa attraverso due parole chiave ripetute all’inizio e alla fine: “Al soffio della tua ira si accumularono le acque” – “Soffiasti con il tuo alito…sprofondarono nelle acque”.

Soffio e acque, senza dubbio un’allusione ai primi versetti della Genesi. Si vuol forse significare che una nuova creazione prende forma al momento dell’Esodo? La visione poetica fa crollare i limiti che imporrebbero il rispetto della geografia e della storia. In fondo al mare si aprono gli abissi. L’esercito egiziano non soltanto è gettato in mare, ma scompare nella profondità del caos primitivo, rientra nel nulla. Da notare sei menzioni dell’elemento liquido a fronte di sei verbi che descrivono le intenzioni bellicose del nemico (acque, due volte; onde, una volta; abisso, una volta; mare, due volte) – (inseguire, raggiungere, spartire il bottino, saziarsi, sfoderare la spada, conquistare). La strategia faraonica “cade in acqua”. Il nemico, sbaragliato, sommerso, s’inabissa nei flutti.

– L’identità dell’eroe vv.11-17: “Chi è come te tra gli dèi?”. YHWH si rivela incomparabile in maestà, in santità, in spirito d’iniziativa, in capacità di realizzazione. I versetti ce ne forniscono la prova. Come una liturgia, il Canto celebra l’avvenimento sotto la forma del memoriale; lo richiama alla memoria del suo autore: stendesti la mano…guidasti…conducesti.

I versetti precedenti avevano per teatro il mare e l’abisso. Qui la scena si sposta verso la terraferma e il paese della promessa, al punto che, paradossalmente, non più il mare inghiottisce l’egiziano, ma la terra! Con maggior precisione, bisogna intendere il centro della terra, sotto le acque dell’abisso, l’inferno. Tale è la l’inventiva poetica che è opportuna non sezionare razionalmente.

All’orizzonte appare la montagna della promessa, sulla quale già si staglia la sagoma del tempio, santa dimora di YHWH. Il Canto, includendo la terra e il tempio nella commemorazione del Mar Rosso, accumula la storia. Il presente di grazia che ha sotto gli occhi, gli fa celebrare il passato. L’autore del canto non è senza dubbio il Mosé dell’Esodo, ma quello che vive nell’anima del popolo insediato in Palestina. Lo spirito di Mosé continua a farsi sentire. Per Israele, Mosè è per sempre un contemporaneo.

– L’intronizzazione di YHWH vers. 18. Come conclusione, la formula dell’intronizzazione di YHWH: “Il Signore regna in eterno e per sempre!”. Fra tutti gli atti di Dio che danno fondamento alla sua regalità, la liberazione dall’Egitto è la più decisiva. In tutto l’A.T., Dio definisce se stesso: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù”. Infatti, il Canto non parla soltanto della liberazione ottenuta; ne indica anche lo scopo positivo, il quale non è altro che l’ingresso nella dimora di Dio per vivere in comunione con Lui: “Guidasti con il tuo favore questo popolo che hai riscattato, lo conducesti con forza alla tua santa dimora”. Così compreso, questo evento non solo fu alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, ma divenne il “simbolo” di tutta la storia della salvezza.

Contemplatio.

Padre onnipotente, grazie a te, il popolo che ti sei scelto, ha lasciato il luogo della schiavitù, Gessen e attraverso il Mar Rosso lo hai salvato sconfiggendo per sempre l’esercito del faraone, inghiottito negli abissi. Padre onnipotente, Mosè, quale liberatore del tuo popolo, è figura simbolica di Gesù Cristo, venuto a liberare l’umanità dalla schiavitù di Satana. Mosè lo hai preparato alla missione di liberatore durante il lungo soggiorno nella regione di Madian, similmente Gesù, tuo Figlio unigenito, lo hai preparato nella bottega di Nazareth.

La liberazione del popolo eletto dalla schiavitù d’Egitto è simbolo di quella dei fedeli dalla schiavitù del mondo. Quella fu operata da Mosé, questa da Cristo, che si è offerto in riscatto con la passione, morte e resurrezione, facendoci eredi della patria celeste.

Nel contemplarti, Signore, voglio ricordare che i liberati passati sulla riva orientale del Mar Rosso, cantarono a Te, Padre, questo Canto meraviglioso.

Allorché il popolo ebbe sete, tu ordinasti a Mosè di gettare un legno nelle acque salmastre di Mara, per renderle potabili. Quel legno è simbolo della croce di Cristo che addolcisce ogni amarezza della vita.

Allorquando il popolo ebbe fame, tu Signore attirasti un immenso stormo di quaglie, e facesti scendere dal cielo la manna. Con questa ultima nutristi il tuo popolo per quarant’anni, finché non ebbe toccato i confini della Terra Promessa. La manna è simbolo della divina Eucaristia, che nutre le anime nostre durante questo pellegrinaggio terreno.

Sempre per dissetare Israele, tu ordinasti a Mosé di percuotere la roccia, da dove sgorgò un fiume d’acqua viva.

Tu, Padre, chiamasti Mosé a salire sul Sinai per ricevere la tua Legge, mentre il popolo eletto doveva fare penitenza. In quei giorni, dopo la promulgazione del decalogo, Mosé ispirato da Te formulò numerose istruzioni, che furono registrate nel Libro dell’alleanza. Una volta che il popolo ebbe accettato la Legge, Mosé costruì ai piedi del Sinai un altare formato da dodici pietre, raffiguranti le dodici tribù d’Israele. Durante il sacrificio, versò metà del sangue delle vittime sull’altare e con l’altra metà asperse il libro e il popolo. Sul Sinai fu stipulata l’alleanza tra Dio e il popolo eletto.

Essa è simbolo di quella nuova, stipulata tra Gesù e la Chiesa nella festa di Pentecoste, presso il monte Sion. Notevoli però sono le divergenze: la legge del Sinai fu scolpita sulla pietra, quella del Sion nei cuori per opera dello Spirito Santo; la legge del Sinai spaventò il popolo, quella del Sion riempì di gioia gli Apostoli e i fedeli. In seguito alla promulgazione della legge sul Sinai, il popolo d’Israele fu asperso con il sangue di animali

Immolati; dopo quella sul Sion, il popolo cristiano cominciò a essere nutrito con il sangue della vittima divina, Gesù Cristo, Figlio di Dio. Gesù nella prima transustanziazione del vino nel suo preziosissimo sangue, con evidente richiamo alle parole di Mosé, disse: “Questo è il sangue mio del Nuovo Testamento, che sarà versato per molti in remissione dei peccati” (Mt.21,40; Rom. 12,10).

Per questo il Canto risuona a titolo speciale nella liturgia della Veglia pasquale, per illustrare con l’intensità delle sue immagini ciò che si è compiuto in Cristo. In lui siamo stati salvati non da un oppressore umano, ma da quella schiavitù di satana e del peccati, che fin dalle origini pesa sul destino dell’umanità. Con Gesù l’umanità si rimette in cammino, sul sentiero che riconduce alla casa del Padre.

Tuttavia la stirpe d’Israele non ti restò fedele, Padre onnipotente. Grazie all’intercessione dello stesso Mosé, tu o Dio non annientasti gli israeliti. Quando Mosé scese per la seconda volta dal Sinai con le nuove tavole della Legge, il suo volto era coperto da un velo, per nascondere il volto splendente, quel velo che si squarcerà con la morte di Gesù e che farà esclamare al centurione “Costui era veramente il Figlio di Dio”. La Legge rimase, infatti, un mistero per la maggioranza del popolo eletto, che perciò non riconobbe il suo Cristo. Tuttavia i fedeli del Nuovo testamento, illuminati dalla Parola di Gesù, conoscono la verità e, un giorno, vedranno Dio senza alcun velo, faccia a faccia. Padre celeste, ti scongiuro di farci penetrare sempre meglio le meravigliose bellezze della tuo messaggio d’amore, di illuminare con essa anche i fratelli separati e, in particolare, tutti coloro che hanno un velo sul loro cuore che impedisce di riconoscer, in Gesù di Nazareth, l’atteso Salvatore del mondo. Grazie, Padre, benedetto il tuo Santo nome.

Conclusio.

La vita è un esodo continuo: lasciare dietro di sé ciò che per il momento è sicuro e tranquillo, ma senza valore per l’eternità; avanzare verso il Signore attraverso le vie di una conoscenza sempre più profonda; affrontare gli ostacoli interiori ed esteriori contando sulla grazia per poterli superare; passare così dalla morte alla vita, anche se la vita nuova in Gesù Cristo è la mortificazione del nostro egocentrismo più inveterato.

A tenderci la mano, a guidarci verso il Padre, abbiamo Gesù. A proteggerci dal nemico interiore che ciascuno di noi è per se stesso, abbiamo lo Spirito Santo: “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne” (=mondo) (Gal.5,16). Ma lo Spirito non è soltanto una forza che agisce dall’interno, è l’ispiratore della parola rivelata: “Prendete l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio” (Ef. 6,17).

Si tratta dunque di contemplare con stupore sempre nuovo quanto Dio ha disposto per il suo popolo. Il Canto di vittoria non esprime il trionfo dell’uomo, ma il trionfo di Dio. Non è un Canto di guerra, è un Canto d’amore.

Lasciamo che le nostre giornate siano pervase da questo fremito di lode degli antichi Ebrei, e camminiamo per le strade del mondo, non prive d’insidie, rischi e sofferenze, con la certezza di essere avvolti dallo sguardo misericordioso di Dio: nulla può resistere alla potenza del suo amore.

Grazie, Signore, della preghiera odierna. Benedetto il tuo nome in eterno. Amen.

Amen.