Abbi pietà, Signore


Lectio Divina – 18

LIBRO DEL SIRACIDE

Abbi pietà, Signore

36,1-5. 10-13

Introductio.

Lodiamo Dio nostro Padre che ci ha chiamato ad ascoltare la sua Parola. Preghiamo Maria Vergine Madre perché ci assista nel ricevere lo Spirito santo.

Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
Grande: quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo. Amen.

Lectio.

Contrariamente a quanto succede nei Libri dell’A.T., la Sapienza di Ben Sirach (=Siracide) si apre indicando chi sia l’autore.

Il Libro ha una storia complessa. Se leggiamo attentamente il libro, veniamo a sapere che Gesù figlio di Eleazaro Ben (=figlio di ) Sirach, scrisse quest’opera in ebraico. Suo nipote la tradusse in greco, perché la trovava meritevole di essere conosciuta, a distanza di una cinquantina d’anni.Tutto ciò accadde immediatamente prima della rivolta dei fratelli Maccabei.

Il Libro di Ben Sirach è in un certo senso una forma di resistenza non violenta all’ellenizzazione degli Ebrei, ovunque si troveranno (per questo fu poi tradotto in greco), volendo mostrare che non la filosofia greca possiede la sapienza, ma Israele, con la sua gran tradizione che compone assieme la rivelazione del Dio Vivente e l’esperienza quotidiana della vita.

Il mondo ebraico ha amato il Libro di ben Sirach; tuttavia non lo ha considerato ispirato, forse perché i rabbini farisei che fissarono il canone vedevano nel libro una mentalità sadducea: in lui, infatti, non si parla della vita futura e del messianesimo, mentre c’è un forte interesse per il culto e l’ambiente sacerdotale. Così il libro ci è giunto solo nella versione greca dei LXX, mentre l’originale ebraico è stato scoperto recentemente e a frammenti.

La Chiesa invece, a differenza della sinagoga, lo considera ispirato e ne fece largo uso, tanto che i padri lo chiamarono “LIber Ecclesiasticus” (= Libro delle Chiesa), il che spiega come mai si cita spesso come l’Ecclesiastico e da sempre i cristiani ne facciano ampio uso.

A noi occidentali riesce difficile capire con quale criterio e seguendo quale piano BenSirach scrive il suo libro. Dobbiamo pensare però che con ogni probabilità siamo di fronte ad una raccolta di elementi essenziali del suo insegnamento, col quale egli intendeva costruire l’immagine del pio israelita.

Leggiamo il cantico attentamente tutti insieme.

Meditatio.

Si tratta di un cantico che presenta tutti i caratteri di una supplica collettiva. Gli obiettivi della preghiera sono comunitari e riguardano Israele nella situazione storica del momento che è quella della diaspora, verso gli anni 140 a.C. La diaspora è la dispersione di minoranze ebraiche attraverso il mondo civilizzato, in particolare Babilonia, l’Egitto, l’Asia Minore, la Grecia, Roma e, più tardi, la Gallia, la Spagna e i paesi germanici. L’esplosione del popolo ebraico è soprattutto l’effetto delle grandi deportazioni successive alla caduta di Samaria (721) e di Gerusalemme (596 e 586); in parte il risultato di espatri volontari in cerca di fortuna.

Il cantico, in ciascuno dei suoi elementi, è un’attualizzazione dell’esodo. Infatti, la riunione della diaspora sarà un nuovo esodo.

Ai vv.1.11.12 (una volta all’inizio, due volte alla fine del poema) risuona l’invocazione “abbi pietà!”. La nota supplichevole trova riscontro nei primi versetti del racconto dell’esodo: “Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio (Es.2, 23). Subito Dio passa all’azione e fa sorgere Mosè.

La preghiera invita Dio ad alzare la mano (v.2), a rinnovare segni e prodigi, a glorificare la sua mano e il suo braccio destro (v.5). Come possiamo notare sono altrettante allusioni alle gesta dell’esodo. Infatti, al momento d’investire Mosè della sua missione, il Signore gli dice: “Stenderò la mano e colpirò l’Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo ad esso, dopo il faraone vi lascerà andare” (Es. 3,20).

La visione del poeta va a cercare Israele perduto nell’universo e la molteplicità delle nazioni: Signore Dio dell’universo – tutte le nazioni (v.1) – le nazioni straniere (v.2). La progressiva concentrazione dello sguardo riproduce il procedimento divino dell’elezione: “..voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra. Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”.

La santità di Dio è la sua inaccessibilità (v.3). Israele ha potuto avvicinarlo soltanto in una perfetta purezza. Ma la santità è anche il terrore che Dio ispirava in passato alle nazioni che avevano attribuito la caduta di Gerusalemme alla sua incapacità (Ez.39,21-25).

Il nuovo esodo sarà la riunione delle tribù intorno a Sion (Is.54,1-10). Al centro di Giacobbe e di Israele riuniti (vv.10-11), Gerusalemme, dimora del Signore (vv.11-12), è oggetto di una particolare attenzione. In essa si forma un’umanità nuova. Splendore e gloria di cui è riempita Sion (v.13) sono le qualità divine delle quali Dio ha rivestito l’umanità alla sua prima creazione. Già si fa strada l’idea che le nazioni avranno parte al mondo rinnovato: “Ti riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto, che non c’è un Dio fuori di te” (v.4).

Rileggiamo il cantico in silenzio, cogliendo ciò lo Spirito Santo ci suggerisce.

Contemplatio.

Padre celeste, noi crediamo in te, nella tua fedeltà al “giuramento” di liberarci dal male e dal peccato. La storia del popolo d’Israele ci testimonia che la Tua misericordia non tarda; frantuma lo scettro degli ingiusti; schiaccia le teste dei capi nemici ed esaudisce la preghiera dei tuoi servi, dando la ricompensa a quanti ti attendono.

Tu hai permesso che il tuo popolo primogenito fosse più volte deportato, afflitto da tante avversità, ma sempre hai dimostrato la sua elezione, punendo i popoli stranieri per i misfatti contro Israele.

Al tempo prestabilito hai voluto che Gesù, il tuo Figlio unigenito, nascesse nella terra di Sion e da quel luogo la buona novella fosse portata a tutti i popoli. Gesù ha impegnato la Chiesa nell’annunzio universale della buona novella e questo mandato è chiaro ed obbligante per ogni battezzato. Padre, Tu hai voluto aver bisogno degli uomini per diffondere il Tuo Vangelo, per dispensare la tua grazia, costruire il tuo Regno. Per questo anche noi ci uniamo alla preghiera del pio israelita e ti supplichiamo di aiutarci di rispondere con generosità e prontezza alla tua chiamata e preparare in noi e nei nostri fratelli un terreno fertile per il seme della tua Parola. Per questo la Chiesa, la sposa di Cristo, ti supplica perché superi le divisioni interne, perché sia unita, vitale, perché possa operare efficacemente nel mondo, di cui è fermento.

Conclusio.

Dalle riflessioni sul destino del popolo d’Israele scaturisce una supplica ardente, che esprime la sofferenza di un popolo minacciato nelle sue tradizioni nazionali e religiose, nelle sue più profonde convinzioni, ma che esprime, soprattutto, la speranza che verrà la salvezza annunciata dai profeti e attesa da Israele.

Ed il Messia è giunto; la preghiera è stata ascoltata da Dio Padre: “Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi, così ai nostri occhi mostrati grande fra loro”: questa invocazione fu esaudita allorché tutti, pagani e credenti, contemplammo, contempliamo, contempleremo il Figlio incarnato, diventato tenerezza per ogni persona.

Grazie Santissima Trinità per questa ora di preghiera.

Sia lodato in eterno il tuo nome.

Amen.