O profondità

Lectio Divina – 6

Romani 11,33-36

Introductio:
Gesù ha detto:
“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro”.

In silenzio, per qualche istante, ringraziamo e lodiamo la presenza
di Gesù in mezzo a noi.

Preghiamo la Madonna, con l’Ave Maria,
perché ci aiuti ad accogliere lo Spirito Santo.

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del Tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
E donaci per intercessione di Maria che ha saputo
Contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
In noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
Eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo , una grazia ancora più
Grande; quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio: leggiamo i versetti dell’inno.

La lettera ai Romani non è sbocciata all’improvviso nella mente di Paolo, ma è stato piuttosto un frutto maturato in lunghe ed appassionate riflessioni. La prova è la sua affinità con la Lettera ai Galati, la quale è certamente anteriore alla presente ( di pochi mesi). Dunque in quel tempo, più che mai, Paolo era preso dagli argomenti trattati nella sua lettera, e che toccano le sue più intime fibre di fiero Ebreo, di apostolo cristiano, al semplice uomo.

Gli argomenti, infatti, sono i seguenti: C’è una salvezza per l’umanità? E’ offerta questa salvezza dalla Legge giudaica? E per i pagani, che non conoscono quella Legge, non esiste salvezza? La Legge giudaica appresta la forza morale necessaria per osservare i suoi precetti? La Legge è fine a se stessa, ovvero è una disposizione provvisoria che mira ad un ordinamento futuro ben più alto?

Tutte questi interrogativi, poi, si complicano con altri quesiti che sorgevano dall’esame spirituale dell’uomo e dalla contemplazione parsimoniosa della rivelazione divina. Non solo l’umanità intera è in stato di rovina per i danni cagionati dalla caduta di Adamo, ma anche nell’uomo singolo si ritrovano due leggi in perpetuo contrasto fra loro, perché uno lo spinge al male e l’altra lo richiama al bene.

Come restaurare la rovina dell’umanità intera, e come comporre il dissidio connaturale nei singoli uomini? E ancora: se la Legge giudaica è stata data al popolo eletto quale preparazione al Cristo, perché mai questo popolo eletto respinge oggi in massa il Cristo? Avrebbe forse Dio ritirato le promesse fatte ad Abramo, capostipite del popolo eletto, e respinto da sé i discendenti di lui?

Probabilmente in Paolo, fin dai tempi della conversione, questi tormentosi quesiti turbinavano nella sua mente, ed egli li aveva sempre più scrutati ed approfonditi, portato a ciò non solo dalle esigenze del suo spirito ma anche da quelle del suo ministero apostolico. Per le sue comunità della Galazia egli aveva dovuto, poco prima, trattare la questione della validità della Legge giudaica di fronte al Vangelo di Cristo: adesso, rivolgendosi agli universalisti Romani, Paolo tratta nuovamente la questione ed altre cose con essa collegate. Così nacque questa lettera, eminentemente ecumenica: è infatti una specie di storia spirituale del genere umano, esposta nelle sue relazioni con la redenzione del Cristo.

La Lettera è la più lunga dell’epistolario paolino e dovette stare in lavorazione molto tempo, forse un paio di anni. Conosciamo anche l’amanuense, che pazientemente stette per lunghe serate a vergare con faticosa lentezza sul proprio papiro le frasi che Paolo nervosamente gli dettava: questo umile e nobile cooperatore si chiamava Terzo (16,22). La lettera fu portata da Corinto a Roma da una diaconessa della comunità di Cencree, e si chiamava Febe (16,1). La Provvidenza volle che questo impareggiabile documento del pensiero cristiano fosse per vari mesi affidato esclusivamente ad una donna.

Meditatio:

La lettera rappresenta il vertice più alto della dottrina e della riflessione di San Paolo. Essa spazia su un vastissimo campo di argomenti attingenti i più diversi aspetti della vita cristiana, riunificabili tutti però nel pensiero dominante: il Vangelo di Cristo come forza di Dio per la salvezza di chiunque crede e come suprema rivelazione di grazia giustificante e vivificante da parte di Dio. Uno solo è il protagonista dell’immenso dramma storico abbozzato con allucinante coraggio dall’Apostolo in questa lettera: Dio Padre. Egli intende assolutamente salvare l’umanità “caduta sotto il peccato”, senza distinzione di Ebrei e pagani, comunicandole la sua stessa giustizia, partecipandole cioè la sua vita di santità: Dio ha “rinchiuso tutti nella disubbidienza per usare verso tutti misericordia”.

Cristo è lo strumento di questa universale riconciliazione, in quanto con la sua incarnazione ci assume e quasi assorbe nella sua divina umanità. Soprattutto mediante il battesimo egli ci inserisce addirittura nel mistero della sua morte e della sua resurrezione. Questo palpito di vita soprannaturale è quindi approfondito e dilatato, reso più cosciente e operante dallo Spirito stesso di Cristo, il quale non è altri se non lo Spirito del Padre che ci è stato dato come pegno e frutto del suo amore: “Perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato donato”.

Di fronte a queste sublimi forze di amore che hanno ormai fatto irruzione nella storia si attende solo che l’uomo dia la sua risposta: l’assenso della fede. Fede che è adesione intellettuale a tutte le verità soprannaturali salvanti, conosciute attraverso la predicazione del Vangelo, soprattutto alla persona di Gesù Cristo. Ma anche fiducia nella bontà del Padre che alimenta la santa speranza fino a che non siano salvati definitivamente tutti gli uomini; fede che è anche obbedienza interiore, docilità del volere umano che si piega al volere di Dio e lo traduce in atto diventando così carità operante.

“Non il bene che vorrei, questo io faccio, ma piuttosto il male che non vorrei, quello io faccio”. Sulla base di questo umile riconoscimento si costruisce l’edificio della salvezza: Dio non può e non vuole essere debitore verso nessuno, salvo verso il suo amore sovranamente e liberamente dispensato. Neppure la fede, in fin dei conti, è il prezzo giusto della salvezza: è solo una condizione preliminare per la quale l’uomo riconosce la sua impotenza a salvarsi e accetta di essere salvato da Dio per mezzo di Cristo.

Per la meravigliosa alchimia celeste, i peccati stessi degli uomini contribuiscono a rendere più luminosa la carità del Padre. Tutto quanto Paolo ha detto circa i disegni di Dio è già qualcosa di commovente e di sconcertante nello stesso tempo. Ma non è nulla in confronto dell’abisso inesplicabile della “ricchezza” dell’amore e della “sapienza”, con cui Dio ha disposto la trama segreta dei fatti di cui è intessuta la storia dell’umanità. Chi ha mai potuto conoscere “il pensiero di Dio”, o essergli “consigliere”?

E’ chiaro che la risposta sottesa agli interrogativi delle citazioni bibliche (Is.40,13; Ger.23,18; Giob.15,8) è totalmente negativa. Dio sta sempre “oltre”. Tutto in lui è inesplorabile e inconoscibile: egli è il principio “da cui” tutto dipende, il respiro “per mezzo” del quale tutto vive, il mare “verso cui” corrono tutti i rivoli dell’esistenza.

Perciò, esterrefatto e smarrito, il contemplante si limita ad esporre i pochi fatti che ha riscontrati, senza averne potuto rintracciare le ultime ragioni, e conclude prostrandosi ad adorare e ringraziare Dio, in Cristo Gesù, perché:

“Da lui”, provenienza;

“Grazie a lui“, sussistenza;

“Per lui“, finalità.

Contemplatio:

Signore Dio, tutta l’umanità da sempre, è sotto la tua collera divina, ma i nostri peccati danno maggiore rilievo alla tua bontà e misericordia, perché tu, Padre Onnipotente, apri a tutti, nessuno escluso, la porta della salvezza. A noi, con le nostre miserie e debolezze, non rimane che innalzare a te un inno di lode per celebrare il piano meraviglioso, misterioso e provvidenziale della salvezza che rivela l’infinita tua sapienza e amore, umanamente incomprensibili, di te, o Dio, che sei il principio, il centro e il fine di ogni cosa.

Umanamente la prima cosa che ci colpisce, nell’esperienza della nostra debolezza, è il peccato. Solo in un secondo momento pensiamo alla tua misericordia Signore, come una specie di rattoppo, di salvataggio della situazione.

Così davanti a te Signore proviamo sì riconoscenza, ma anche una certa umiliazione per non avere saputo fare le cose per bene e di avere avuto bisogno di chi rimettesse tutto in armonia. Invece nella tua sapienza Signore è esattamente il contrario: prima viene la misericordia, poi il peccato ( ma abbiamo compreso, con questa preghiera divina, oggi, che esso non annulla mai il tuo disegno misericordioso).

In te, o Dio, tutte le strade conducono alla misericordia. “Tutto è grazia”; le circostanze diventano sacramenti della misericordia. E noi ne gioiamo esultanti in Cristo Gesù, perché non si tratta di compassione, ma di grandezza di cuore. Il tuo è così aperto e grande che nessuna grettezza umana può mai chiuderlo. Tu non ci ami perché siamo buoni, ma affinché lo diventiamo.

Siamo certi che verrà il momento in cui tutte le cose operate da te nell’arco dei secoli, incomprensibili oggi, come ieri, si sveleranno, ed allora, insieme ai Patriarchi, ai Profeti, agli Apostoli e,soprattutto, con Cristo Gesù esulteremo osannandoti: “ O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi, e inaccessibili le sue vie!”.

Conclusio:

Padre, è meraviglioso: tu dai a me povero, umile, peccatore, quello che hai di meglio, quello che ami maggiormente, il solo soggetto degno del tuo amore, il tuo Figlio unico, il Diletto nel quale hai posto le tue compiacenze da tutta l’eternità.

Padre, io sono sommerso nella tua generosità infinita, illimitata e insondabile. In silenzio mi lascio invadere dall’ammirazione, dalla commozione, per la tua sapienza, per il tuo piano di redenzione del mondo, per la tua magnanimità.

Padre, sono stupefacenti i tuoi pensieri, i tuoi progetti, e le tue opere che nessuno può sondare, e immenso è il tesoro del tuo amore.

Padre che cosa ti renderò per il grande amore che mi porti, per la cura che per di ciascuno, in ogni istante, per la tua Provvidenza e per avermi donato Gesù, il tuo Figlio unigenito? Padre, voglio anche ringraziarti per avermi chiamato qui e grazie all’Apostolo Paolo, ho potuto approfondire e meditare la sua epistola che mi conduce ad una migliore comprensione di me stesso.

Grazie Padre, grazie Gesù, grazie Spirito Santo. Lode e gloria nei secoli. Amen.