San Paolo: Lettera ai Galati

Saluti e aspro rimprovero

Capitolo 1,1-10

*Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, *e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia. *Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, *che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio Padre nostro, *al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. *Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. *In realtà, però, non ce n’è un altro: solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. *Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema! *L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! *Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!

Secondo il suo modo di scrivere, Paolo si presenta ai credenti della Galazia, ma appare subito una differenza con gli inizi delle altre sue lettere; manca ogni parola di felicitazioni ai destinatari. Paolo assume un atteggiamento polemico già nel modo in cui si presenta come apostolo. Afferma che lui è apostolo non perché sia stato eletto da uomini, ricevendo da costoro la propria autorità, né mediante uomo, quasi che fosse stato designato da costui: lui al contrario è apostolo mediante la chiamata diretta di Gesù Cristo, e per avere ricevuto la propria autorità da Dio Padre. Con la presentazione delle proprie credenziali, è chiaro che il suo scopo è di rispondere ai cristiani-giudaizzanti i quali, per poter prevalere fra i Galati, avevano necessità di scardinare l’autorità di Paolo. L’esordio è spiacevole dato che Paolo stesso ha fondato questa comunità e l’aspetto specifico dell’autorità che lui utilizza nella sua lettera è un appello alla lealtà dei Galati, appello che tende a ravvivare la loro adesione di un tempo. Lui fa leva sul loro senso d’obbedienza, radicato nei sentimenti profondi, sia verso l’opera di Dio in Cristo sia nei riguardi del vangelo annunciato loro da Paolo.

Subito dopo l’esordio, Paolo entra nel vivo della questione con un accorato rimprovero, che darà il tono a quasi tutta la lettera. Si tratta di una critica tonante, che ha lo scopo di svergognare i Galati: è, infatti, la vergogna (non la colpa) il sentimento profondo dei suoi lettori. Le prime parole, “Mi meraviglio”, indicano che Paolo non può credere che i cristiani galati abbiano scordato deliberatamente la lealtà e la dedizione originarie verso Dio e abbiano scelto un altro Vangelo. Tuttavia la diserzione non è compiuta, ma in corso.

“Colui che vi ha chiamati”, è Dio Padre, a cui Paolo attribuisce costantemente la vocazione alla fede. Dio però chiama “nella grazia di Cristo”, vale a dire mediante la grazia acquistataci da Gesù e inserendoci in lui. “Nella grazia…”, dice dunque molto più che una semplice causa strumentale, dice anche un innesto di vita. “…un vangelo diverso”, con quest’affermazione Paolo dice che non esiste, in realtà, un Vangelo diverso da quello da lui predicato: ciò equivarrebbe ad una bestemmia. Infatti, esistono solo dei falsi predicatori del vangelo, che, in quanto tali, sono da considerare appunto come “bestemmiatori”, condannati allo “sterminio”: tale è, infatti, il significato di anatema. E a questa condanna non potrebbe sfuggire neppure lui stesso o un angelo qualora, per ipotesi assurda, annunciassero un Vangelo diverso da quello già ricevuto dai Galati.

Solo con queste garanzie poteva trasmettersi incorrotta la dottrina apostolica. Se lui è così intransigente sulla dottrina, è perché gli è stata affidata da Dio, a cui solo deve rendere conto, e non è sua proprietà. Quindi non può manipolarla secondo gusti di comodo, per gloriarsene quasi dovesse acquisire una clientela a spese della verità: “…è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi…”, “Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!”. In questo caso lui non sarebbe che uno spregevole opportunista.

Paolo ha mostrato l’iniziativa di Dio a proposito della salvezza che si manifesta in un’efficace chiamata alla fede. Questa attività salvifica ha come fondamento la grazia, in altre parole la benevolenza divina che si è rivelata in Cristo, e come obiettivo uno stato di grazia nel quale siamo inseriti e conservati per l’azione stessa di Cristo Signore. Paolo afferma con forza l’unicità e l’intangibilità del Vangelo, inteso come l’insieme dei detti e dei fatti, oggetto della predicazione e incentrati nel Cristo Gesù, attraverso i quali si attua il piano di salvezza, secondo le promesse fatte ai padri. Queste caratteristiche del vangelo sono connesse con la sua origine non umana, ma divina: Gesù è parola rivelata.

Noi cristiani dobbiamo utilizzare le vie e i mezzi propri del vangelo, che, in molti punti, differiscono dai mezzi propri della città terrestre. Il Vangelo vuole adattamento, non opportunismo; annuncio, non pubblicità. Dio non ha bisogno di farsi una clientela. Il Vangelo è offerta di salvezza che Dio fa a tutti gli uomini in Cristo. E’ troppo facile tentare di addomesticare il Vangelo. Non sono i domatori, ma i servitori come Paolo, che magari nell’oscurità o nella contraddizione, costruiscono il regno di Cristo.

Come Paolo è venuto a conoscenza della Buona Novella. Primo incontro con Pietro

Capitolo 1,11-24

*Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; *infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. *Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la chiesa di Dio e la devastassi, *superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. *Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque *di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito senza consultare nessun uomo, *senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. *In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Pietro (Cefa), e rimasi presso di lui quindici giorni; *degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. *In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. *Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle chiese della giudea che sono in Cristo: *soltanto avevano sentito dire: “Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere”. *E glorificavano Dio a causa mia.

Paolo, per documentare che annuncia una dottrina ricevuta direttamente da Dio, senza la mediazione degli uomini traccia un’interessante pagina autobiografica. Accenna alla sua situazione e vicenda prima della conversione: ostilità dichiarata e irriducibile al cristianesimo e amore appassionato al giudaismo; descrive la sua conversione come frutto di un intervento diretto di Dio, che lo chiamò alla fede e all’apostolato, compiendo, a suo riguardo, un disegno di amore fin dal seno di sua madre, eleggendolo mediante la sua grazia. Paolo, a proposito del suo passato, rammenta che lui era Giudeo zelantissimo e in quanto tale perseguitava la chiesa di Dio e il Vangelo, in questo modo intende addurre un argomento assai convincente contro i Galati, i quali benché provenissero in gran parte dal paganesimo erano in procinto di assumersi il peso di osservanze giudaiche. In sostanza Paolo dice ai Galati: Ma come ? Io che sono nato e vissuto sotto la Legge giudaica con tanto zelo da perseguitare il Vangelo, ho poi abbandonato quella Legge per questo Vangelo; e voi invece, che già avete accettato questo Vangelo, lo volete adesso abbandonare per quella Legge? Paolo confessa che egli superava molti coetanei, quasi si trattasse di una gara podistica in cui lui era sempre il primo. In altre parole le tradizioni paterne, cioè tutto quell’immenso corredo di prescrizioni che i Farisei avevano elaborato attorno alla Legge mosaica, talvolta anche in contrasto con essa.

Qui mi sento di aprire una parentesi, e cioè, che Paolo conosceva solo di fama Gesù, tanto è vero che lo perseguitava: era il tempo in cui lui lo conosceva secondo la carne (termine per indicare il mondo). La conversione, come rinnovamento spirituale, consistette nel conoscere Gesù non più secondo la carne ma secondo lo spirito, ossia quale Messia, Signore e autore della giustizia nella fede.

Quindi dà dettagliati ragguagli circa gli eventi successivi alla conversione: ritiro in Arabia (circa tre anni), cioè nella regione ad oriente di Damasco. Infine ci parla del suo viaggio a Gerusalemme, per consultare Pietro. Perciò Paolo si è recato nella città santa di propria volontà, rimanendo con Pietro circa quindici giorni. Non vide nessun altro (degli apostoli), l’interesse di Paolo era concentrato sulla persona di Pietro, tanto che questa sorta di esplorazione che Paolo fece di Pietro, dovette avere un’importanza fondamentale per l’orientamento spirituale di Paolo. La visita risultò molto importante di fronte ai Galati, dal momento che i giudaizzanti che insidiavano la loro fede si erano naturalmente appellati alle somme autorità di Gerusalemme contrapponendole a Paolo: così, a quanto sembra, facevano i giudaizzanti che insidiavano la cristianità nelle comunità evangelizzate da Paolo. Conclusa proficuamente la visita, Paolo fa ritorno in Siria e Cilicia; gioia dei fedeli per il suo radicale cambiamento e la fine della persecuzione; in sostanza, questo periodo si caratterizza per i ridotti rapporti con gli apostoli e la comunità di Gerusalemme.

Ci si può opporre a Cristo, come Paolo prima di Damasco, in nome “delle tradizioni dei padri”. La vera fedeltà non è statica, ma dinamica. Non si è fedeli a qualcosa, ma a qualcuno. Non si tratta di conservare un cadavere in frigorifero, ma di seguire una persona viva, sempre attuale e sempre attiva. E questo per mezzo di altre persone vive, il popolo di Dio, le comunità, la Chiesa. Una religione delle cose diventa presto materiale da museo. E’ la religione delle persone ( e delle testimonianze) quella che pone in contatto con Dio. La fede non è la religione dei padri: è la religione di Dio. E Dio è sempre attuale. Gli idoli possono essere di ieri o di domani. Dio è sempre e solo nell’oggi.