Libro di Giuditta: Conclusione

A parte l’ingenuità di porsi certi problemi, quando si sa che cosa sono le guerre, e a parte le considerazioni che ho fatto distinguendo gli elementi prevalentemente teologico-didattici da quelli esclusivamente finalizzati alla narrazione, basta rammentare che, nella classica moralità degli Ebrei, la bugia non è considerata un male, ma, anzi, apprezzata come intelligente astuzia (ricordiamo la storia di Esaù e di Giacobbe!).

Nella cultura d’origine nomadica l’arte dell’inganno è una delle virtù del sapiente. Gli Ebrei del III° e del II° secolo non condividevano più questa concezione arcaica, ma la portavano certamente ancora nella memoria come patrimonio atavico ed erano quindi disposti ad approvare plaudendo chi sapeva vincere con l’arma dell’inganno.

La chiave simbolico-apocalittica che ho suggerito ci permette di trarre dal libro di Giuditta, superando il primo disagio provocato dal tono un po’ truculento e dal fanatismo nazionalistico che lo anima, una lezione valida anche per noi cristiani. La rivelazione del Nuovo Testamento ha mantenuto alcuni valori della concezione apocalittica, assicurandoci che alla fine ogni male sarà definitivamente vinto ed ha mantenuto a questa vittoria le connotazioni di confronto decisivo e di lotta, ma ci ha insegnato che la salvezza è già veramente entrata nella storia dell’umanità e che non abbiamo mai diritto di dividere il mondo in due campi contrapposti come se tutto il bene si trovasse da una parte e tutto il male dall’altra.

Purtroppo accadono nella storia dei casi limite, in cui la malvagità e la violenza esplodono oltre ogni ragionevolezza e pare insuperabile.

In queste anticipazioni dello scontro definitivo noi dobbiamo sapere che non si vince contrapponendo violenza a violenza, ma elevando, come segno, la fermezza della fede, il rigore morale, l’arma della preghiera.

Libro di Giuditta – Indice: