Libro di Giuditta: Capitoli 9-16

Come in Nabucodonosor abbiamo visto il prototipo d’ogni nemico, così in Giuditta possiamo scorgere il simbolo del popolo fedele.

Perché, infatti, Giuditta vince Oloferne?

Certo la sua bellezza ha una funzione determinate, ma – a parte il fatto che anch’essa è dono di Dio – è descritta con tale e tanta enfasi da lasciare facilmente comprendere al lettore che fu Dio a donare a questa donna un fascino irresistibile, valorizzando in maniera soprannaturale tutte le doti e le arti umane che lei aveva posto in atto. Un teologo sarebbe tentato di vedere in Giuditta l’incarnazione vivente dell’assioma che la grazia suppone la natura, la salva e la esalta.

Tuttavia il racconto mette in luce che, in realtà, furono la fede e la preghiera che diedero a Giuditta la possibilità di vincere. La bellezza le servì per sedurre, ma il coraggio per l’impresa, l’astuzia nel portarla a conclusione, la forza per eseguire l’ultimo atto (la decapitazione di Oloferne) le vennero solo da Dio, invocato con fede incrollabile.

Fede che ebbe il merito di superare l’abbattimento del popolo e dei capi e di fondare, invece di presupporre, quell’incoraggiamento solidale che doveva sostenere l’impresa.

Posta a confronto con il popolo, Giuditta mostra di essere l’unica ad avere quella fede che è sufficiente per la salvezza; tutti gli altri, pur esenti da peccato e pur credenti, rimangono di sotto la misurazione necessaria.

In questo modo Giuditta diventa il modello di ciò che tutto il popolo dovrebbe essere e da lei si trasmette agli altri l’energia bastante per quel miglioramento che trasforma gli uomini di poca fede in veri credenti. Giuditta è, quindi, la personificazione simbolica di quello che il popolo di Dio è chiamato ad essere.

Riassumo il concetto con una frase: “Perché il male trionfi è sufficiente che il giusto rinunci all’azione”. Per il semplice fatto che il cristiano non può e non deve stare alla finestra, ma come facitore di pace deve agire in prima persona.

Sullo sfondo apocalittico in cui è inquadrata la storia quest’estensione della figura di Giuditta a simbolo dell’intero popolo mi pare un’interpretazione fondata.

La figura femminile è già naturalmente adatta a diventare emblema di un popolo e, concretamente, troviamo spesso tipologie del genere nella Bibbia, nello sviluppo dei temi simbolici della vergine-Sion o dell’Israele-sposa di Dio: qui è la vedovanza che, facendo di Giuditta una donna libera da legami particolari, le conferisce la dignità di figura giusta di tutto il popolo. L’esaltazione della dignità, della bellezza, della fierezza la rende una figura ideale nella quale tutto il popolo può identificarsi. Ma l’elemento decisivo sta nella sua mancanza di un potere temporale adeguato all’impresa, ma solo la fiducia esclusiva in Dio mediante la fede e la preghiera.

Vista in questa ottica Giuditta diventa il ritratto del comportamento che è richiesto ad Israele nel confronto apocalittico col nemico: per vincere deve solo non peccare, ma credere, pregare, esattamente come Giuditta.

L’innalzamento di Giuditta a figura simbolica trova espressione, oltre che nel complesso della storia, in alcune formule inniche che terminano il racconto.

Pensiamo soprattutto all’elogio di 15, 9-10 (“Gloria di Gerusalemme”, “Vanto d’Israele”, “Splendore del popolo”) e alla benedizione di 13,18: “Benedetta tu davanti a Dio Altissimo”.

Se accogliamo questa linea interpretativa, allora si comprende anche meglio come la tradizione cristiana abbia potuto spontaneamente accostare la figura di Giuditta a quella di Maria – a sua volta concepita come modello e tipo della Chiesa – applicando proprio a Maria le caratteristiche belliche dell’eroina, ma le conviene la fede e l’abbandono alla potenza divina e le conviene soprattutto la funzione di esemplare della vocazione e del destino del nuovo popolo di Dio.

Santità, fede e preghiera sono, dunque, i tre elementi che caratterizzano teologicamente la figura di Giuditta e sono gli unici che interessano all’autore per i suoi scopi didattici. Tutto il resto è esigito dallo sviluppo della narrazione e può fare parte di un nucleo storico, forse antico, che l’autore ha utilizzato per il suo rifacimento apocalittico. Diventa così irrilevante quella difficoltà che spesso è stata presentata a proposito dell’illiceità della bugia e dell’inganno, di cui al invece Giuditta ampiamente si serve, meritandosi espliciti elogi.

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