Libro di Giuditta: Capitoli 1-3

Le incongruenze storiche sono massicciamente rilevanti nel libro di Giuditta, sì da far sospettare che sono addirittura intenzionali.

Il protagonista è Nabucodonosor, il re babilonese che conquistò l’impero assiro, ma che assiro non era e non seguì affatto la politica militare di quell’antico impero. Per di più non risedette mai a Ninive che era stata distrutta nel 612. Eppure il testo lo pone sempre a capo del popolo e dell’esercito assiro. I nomi dei generali Oloferne e Bagoa, assomigliano a nomi di condottieri del sovrano seleucide Antioco III° che regnò a metà del IV° secolo. Infine, cosa del tutto inverosimile, si parla di Ebrei che sono ritornati in Giudea dopo l’esilio e sarebbero di nuovo stati assaliti da Nabucodonosor.

E’ davvero difficile pensare che si tratti di semplici sviste e che non ci sia invece un qualche intento particolare in quest’accumulo di diverse epoche storiche in un unico personaggio. A ciò si aggiunga l’elenco di popolazioni che troviamo nei primi due capitoli, che collocano la vicenda al cospetto della storia mondiale anche se poi essa si svolge attorno ad una piccolissima città, Betulia, che gli archeologi non sono riusciti a rintracciare, e, addirittura, nel suo momento culminante, all’interno di una tenda fra due protagonisti in assoluta solitudine, come il testo scrupolosamente afferma più volte.

Se accettiamo l’ipotesi che vi sia in questo procedimento una latente intenzionalità dobbiamo cercare di scoprire in che cosa consiste, perché ciò potrà fornirci la chiave per comprendere il fine teologico di tutta la narrazione.

Lo scopo potrebbe essere il seguente. Nabucodonosor, il distruttore di Gerusalemme, è fatto assurgere a simbolo di tutti gli imperi che nel corso della storia risono opposti al popolo di Dio e anche di quelli che ancora vi si oppongono e vi si opporranno fino alla vittoria finale e definitiva del popolo di Dio.

Poiché l’Assiria è stata per secoli la grande avversaria d’Israele, la più temibile e crudele di tutti, Nabucodonsor è posto a capo dell’Assiria. Infine, l’autore scrive quasi certamente in periodo ellenistico, quando i persecutori sono i Seleucidi, che derivano il loro dominio dall’impero di Alessandro Magno, sono i generali Antioco III° che prestano il nome a quelli di Nabucodonosor. Costui è quindi la personificazione della lotta di tutta la storia contro il piccolo popolo di Dio. Per questo motivo la vicenda si svolge al cospetto di tutti i popoli della terra, sconfitti, alleati o complici del grande impero di volta in volta di turno.

L’enorme spiegamento di forze, il progetto di conquista universale attribuito a Nabucodonosor, l’insistenza sul completo sterminio contribuiscono a fare della lotta che il Libro descrive un evento di portata cosmica. E’ la potenza malvagia di tutta la storia di tutti i tempi che si scaglia contro Israele!

Aggiungiamo inoltre che Nabucodonosor è presentato come un dio, anzi come l’anti-Dio, che giura per se stesso senza invocare nessuna divinità, distrugge tutti i santuari degli altri dèi e presenta la sua venuta come “il suo giorno”, quasi in contrapposizione con il grande giorno del giudizio divino, il “giorno di Jahwé”. Per di più Nabucodonosor è sì il protagonista del conflitto, ma non agisce di persona, egli è arretrato in una lontananza sacrale e tremenda, che lo colloca nell’inaccessibilità di un dio.

Questa concentrazione di tutta la malvagità della storia in un personaggio quasi divino e antidivino, e lo scatenarsi di una guerra cosmica e decisiva sono le caratteristiche della visione apocalittica.

Dell’apocalittica tratteremo in altri commenti. Per ora ci basta rammentare qualche particolare utile alla comprensione del testo di Giuditta.

Durante la dominazione dei Seleucidi e, in particolare, durante la persecuzione di Antioco IV° Epifanie, gli Ebrei persero la speranza di potere riavere un futuro di sicurezza e sviluppo mediante qualche modifica della situazione storica contingente. Il subentrare di un impero all’altro, senza che mutasse l’ostilità verso gli Ebrei o diminuisse la loro emarginazione dalla storia, li spinse a credere che solo un intervento divino, che ponesse fine alla storia stessa, avrebbe potuto essere portatore di vera salvezza. Iniziarono cos’ a passare da una speranza in mutamenti della storia all’attesa di una fine della storia, o, almeno, di questa storia. Immaginarono questa fine come un’enorme lotta tra potenze terrene e Dio stesso. Per questa lotta la malvagità terrena avrebbe chiamato a raccolta e concentrato tutte le sue forze in un sol punto e, in un tremendo scontro, tutta questa malvagità sarebbe stata eliminata.

Nel nostro racconto si presenta appunto questa concentrazione dell’inimicizia nella figura dell’Avversario, unico e ultimo.

Egli risponde al nome di Nabucodonosor re di Assiria, ma è, evidentemente, un personaggio simbolico, la sintesi vivente d’ogni opposizione al popolo di Dio. Un episodio certamente fondato nella storia è ingigantito dal narratore fino a rappresentare la descrizione dello scontro apocalittico. Esso mantiene però anche dei contorni storici, pur nell’esagerazione che esalta quasi ogni elemento della narrazione. Proprio su quest’intreccio dei due piani, narrativo e apocalittico, si fonda l’energia letteraria del testo ed evidenzia il messaggio teologico mostrando al lettore come si deve attendere l’irruzione della risoluzione metastorica degli eventi.

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