Libro di Giuditta: presentazione

L’eroina del Libro è una giovane e virtuosa vedova giudea che, grazie alla sua fede, alla sua bellezza e alla sua astuzia, salva la città di Betulla e con essa tutto il popolo di Giuda dall’assedio di cui l’ha cinta Oloferne, generale di Nabucodonosor re d’Assiria, nemico prepotente e sprezzante di Dio.

L’argomento svolto dal Libro è molto vasto e profondo, ed è eccessivo dal fatto particolare scelto dall’autore per proporre il suo insegnamento. Non per nulla il Libro di Giuditta è considerato “una pagina di teologia”.

Il nome di Giuditta, che significa “la giudea”, indica dove mira l’autore.

Il Libro appartiene ad un genere letterario che corrisponde più alla novella edificante che ad una vera e propria storia, come si rileva dalla deliberata indifferenza per le precise informazioni storiche e cronologiche.

Giuditta incarna la nazione giudaica, il popolo eletto da Dio (=che ha contratto un’alleanza), stabile nella sua fedeltà a Jahwé, praticante la sua legge, puro da ogni inquinamento d’idolatria. Infatti, l’autore esalta la fierezza religiosa del popolo di Dio al cospetto dei suoi nemici; il fatto che a salvare Betulla e i suoi abitanti sia una donna, rileva le risorse della divina Provvidenza, che si serve per le sue opere grandi d’umili e inadatti strumenti. E’ notevole anche la prospettiva universalistica della salvezza.

Verso il 150 a.C. la letteratura dei Giudei oscillava tra due generi letterari principali: “il midrash haggadico”, in altre parole il racconto edificante su uno spunto offerto da un episodio o da un testo biblico, eredità dei saggi, e la “visione apocalittica”, in pratica la descrizione del trionfo sicuro di Dio su tutti i nemici, ultima forma della profezia.

Così la storia, parabola, apocalisse, tutto ci orienta a cogliere la lezione religiosa: il popolo di Dio vince su ogni nemico anche per mano di una donna, se rimane “popolo di Dio”, come Giuditta lo rappresenta, scrupolosa osservante delle leggi di santità rituale, fiduciosa in Dio, e perciò sempre in preghiera.

La vittoria d’Israele non vale solo per se stessa, ma è segno per tutti i popoli: non per nulla il senso religioso della guerra è fatto rilevare da Achior, un Ammonita che poi si converte, e la salvezza di Gerusalemme è assicurata da Betulia (=la casa di Dio), collocata in quella di Samaria che i rigoristi del Giudaismo non stimavano affatto.

Non scordiamo la riconoscenza per l’autore ispirato che ha saputo scrivere quest’apologia della bellezza e poi cantarla tra la fede e della virtù. Nell’ammirazione della bellezza di Giuditta l’autore insinua che la migliore apologia della vera religione sta nella bellezza (certo non solo estetica ma integralmente umana) di quelli che la praticano. Così facendo evita il pericolo che il rovesciamento divino della scala dei valori sfoci nell’apologia del brutto.

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