Libro di Giobbe: Sezione “C”, Capp. 32-37: Entra in scena Elihu

Il ritmo logico del libro è interrotto da questo complesso di capitoli in cui appare un personaggio finora assente il cui messaggio si appoggia a quanto già scritto nel volume e il cui linguaggio è diverso da quello degli amici.

Anche l’argomento centrale del suo insegnamento, il dolore come maestro divino per la purificazione dell’uomo, è diverso da quanto è stato espresso dagli amici di Giobbe. L’introduzione del nuovo trattato teologico è motivata dal fatto che alcuni circoli sapienziali, scandalizzati per la contesa che Giobbe svolgeva contro di loro e insoddisfatti delle argomentazioni tradizionali addotte dagli amici, desiderarono precisare il loro pensiero e rendere meno offensivo e più accettabile l’intero libro. Il lavoro non fa parte del dialogo ma ha un riferimento logico ad esso, sottolineato dalle citazioni di Giobbe stesso. Da lettore Elihu si trasforma in attore del dramma che sta seguendo. E’ possibile che il fascicolo di Elihu esistesse già indipendentemente come una “risposta a Giobbe” diffuso tra i sapienti di professione.

Dopo un prologo che descrive la figura giovanile di Elihu e le motivazioni del suo intervento (32,1-5) procede con un’introduzione ampia alla disputa in cui Elihu dichiara il suo desiderio di parlare (32,6-10), la sua capacità di fronte ai tentativi falliti degli amici (32,11-14), il dovere che gli incombe: intromettersi (32,15-22).

Secondo una corrente più recente della teologia sapienziale Elihu considera la sapienza soprattutto dono dato direttamente da Dio all’uomo più che frutto d’esperienza e riflessione (vv.8.18).

Primo intervento di Elihu cap. 33. Tutti i discorsi seguono uno schema costante piuttosto accurato i cui elementi più espressivi, oltre alla citazione critica di Giobbe, sono le due argomentazioni contrarie avanzate da Elihu. Egli convoca in causa piuttosto duramente Giobbe invitandolo all’attenzione (33,1-7). Cita la dichiarazione incriminata di Giobbe sull’ostilità divina nei suoi confronti (15,2-16; 18,2-4; 20,2-3) e si condanna (33,8-12). Seguono le argomentazioni opposte di Elihu: Dio parla alla coscienza del peccatore per stimolarla (33,13-18); Dio punisce per spingere il peccatore umiliato alla conversione (33,19-24) e, con la mediazione di un angelo (v.23), l’uomo sarà perdonato. Se Giobbe accetterà questa funzione purificatrice del dolore rivedrà la felicità (33,25-30). I vv.31-33 sono probabilmente l’introduzione mancante del terzo discorso (capp.35-36).

Secondo intervento di Elihu cap. 34. Dopo il solito invito all’attenzione e alla valutazione delle dichiarazioni di Giobbe (34,2-9), si attaccano frasi precedenti pronunciate da Giobbe(9,21; 13,18; 16,8.13; 27,2) in cui si accusa Dio di violazione del diritto (34,10-15). La replica di Elihu è basata sulla retribuzione personale delle opere durante l’arco dell’esistenza e si sviluppa in due linee: Dio non commette parzialità nel suo governo del mondo sottoponendo ricchi e poveri al suo giusto giudizio (34,16-22) e fa ciò senza processo perché Lui, il Creatore, conosce interiormente ogni persona umana (34,23-30). Giobbe non aggiunga, perciò, ostinazione al suo peccato e si converta (34,31-379.

Terzo intervento di Elihu (cap.35,1-36,26). Con l’introduzione di 33,31-33 e di 35,2-3 si rivolge l’invito all’attenzione per una nuova contestazione a Giobbe.

Nel primo discorso Elihu aveva affermato che, dopo la voce della coscienza, il dolore è il secondo avvertimento di Dio al peccatore; nel secondo discorso aveva negato la necessità di un processo per far spiegare a Dio il senso del dolore, poiché egli conosce tutta la situazione esatta dell’umanità. Ora Elihu mostra che non ci si può attendere niente da Dio prima che ci si converta perché i peccati contro il prossimo sono uno schermo al dialogo con Dio.

Giobbe cessi di utilizzare la sua innocenza come argomento contro Dio (35,4-8) dal momento che il suo stato di peccatore esclude ogni possibilità d’interpellanza nei confronti di Dio (35,9-14). Si lasci, quindi, istruire (35,15-36,4) con pazienza, comprendendo che Dio conduce il mondo secondo la giustizia o l’ingiustizia degli uomini (36,5-10) che è anche la radice del loro destino (36,11-15). Ammonito da Dio, Giobbe si converta (36,16-21) e, unendosi al coro dei saggi, canti la sapienza (36,22-26). Segue poi, come nel capitolo 28, un inno alla sapienza.

Inno alla sapienza (36,27-37,13). D’origine tardiva, probabile aggiunta al ciclo di Elihu, l’inno sviluppa la finale del terzo intervento. Dio con la sua sapienza dirige la pioggia (36,27-28), le nubi (36,29-30), le folgori e i tuoni (36,31-37,1), provoca la tempesta (37,2-4), pianifica la distribuzione di neve e di pioggia (37,5-6), portando sulla terra l’inverno, il freddo e il ghiaccio (37,7-10). Tutto è nelle mani di Dio e tutto Egli usa in benedizione o maledizione per l’uomo (37,11-13).

Segue la conclusione (37,14-24) variamente interpretata anche perché ritoccata testualmente forse per preparare gli interventi successivi di Dio. Pare che Elihu inviti l’uomo, riconosciutosi peccatore e accettata la sofferenza come sanzione per la liberazione dei propri peccati, a celebrare con ammirazione la sapienza e la giustizia divina nella loro manifestazione ordinaria attraverso la natura.

Libro di Giobbe – Indice