Libro di Giobbe: Sezione “B”, cap. 26,1-4

Capp. 26,1-4 e 27, 1-12 : Giobbe

Lo stato di conservazione del testo non ci permette di determinare pienamente il pensiero di Giobbe, né di decidere se siamo solo alla presenza di un frammento isolato di un discorso più lungo e sistematico. Giobbe inizialmente riprende in chiave ironica l’intervento di Bildad considerandolo un vuoto sfoggio di sapienza che nulla sapeva offrire al problema del sofferente (26,2-4). Il rifiuto delle proposte degli amici si termina con un altro genere letterario che Giobbe riesce a scovare nella tradizione giuridica, il giuramento d’innocenza da pronunciare in sede processuale (27,2-6). Questa è la sconfitta più clamorosa degli amici che, invece dell’attesa e continuamente sollecitata confessione delle colpe, si trovano davanti ad una formale proclamazione d’innocenza. Ad essa Giobbe allega una maledizione contro ogni suo avversario, a cui applica alcune espressioni che Elifaz aveva usato implicitamente nei suoi confronti (27,7-10; 22,26).

Infine, riesumando lo stile della “disputa tra saggi”, Giobbe si dichiara convinto di avere fatto un’opera d’interpretazione dell’azione misteriosa di Dio nei suoi confronti; ma i suoi amici, arroccati nelle loro formule scontate e dogmatiche, hanno chiuso gli occhi ad ogni evidenza.

Capp. 27, 13-23 e 24, 18-24 : Zofar

Questi frammenti sono da attribuire a Zofar non solo perché malamente si adatterebbero al pensiero di Giobbe, ma anche per poter ristabilire la struttura ternaria presente in tutti i cicli. Tali fenomeni di cesura, d’instabilità e di confusione della parte finale del dibattito rivelano l’intervento, probabilmente censorio, degli editori e redattori definitivi del Libro. La durezza di certi interventi di Giobbe, soprattutto ora che il discorso sta per raggiungere il suo apice, rasenta aspetti blasfemi secondo la sensibilità giudaica e per evitare lo scandalo del lettore si è preferito ricorrere a tagli pesanti che hanno mutilato il testo rendendolo talora incomprensibile nella sua logica complessiva.

Muovendo dal suo precedente intervento (cap.20) e continuando una riflessione di tipo sapienziale, Zofar riprende la descrizione del destino dell’empio. Esso sarà tragico e rovinoso (27, 13-18), improvviso ed inatteso (27, 19-23). Dio l’ha tollerato per un certo tempo, ma i suoi occhi non si staccavano mai dall’iniquo e dai suoi crimini. E la morte è piombata sul peccatore falciandolo come la testa di una spiga (24, 18-24). Si chiude così il primo atto del dramma di Giobbe: il vuoto è ormai totale, uno dopo l’altro gli amici si sono defilati, fermi nella loro saccente e distaccata cultura teologica. Essi hanno svelato la povertà della tradizione sclerotizzata che non sa accostarsi alla verità della vita, che non sa affrontare i problemi dal loro interno. Prima che si apra il sipario per l’ultimo atto del dramma, il confronto terribile tra l’uomo e dio chiamato in causa dall’uomo stesso, un intermezzo innico placa la tensione e funge quasi da coro greco nella tragedia.

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