Libro di Giobbe: Sezione “B”, cap. 23,1-24,17 – 25,1-6 e 26,5-14

Capp. 23,1-24,17: Giobbe

Da questo punto in avanti il testo si rivela piuttosto confuso e disarmonico: per poter ricomporre una continuità logica e stilistica dovremo adottare qualche taglio e qualche spostamento di pericopi, senza ritenerli decisivi. Sarà perciò opportuno seguire con maggior attenzione le indicazioni numeriche dei singoli brani.

Si tratta dell’ottavo discorso di Giobbe e si rivela complesso e pare ritornare sugli argomenti del primo ciclo d’interventi, soprattutto la richiesta indilazionabile di un processo davanti a Dio.

E’ un desiderio ardente espresso in 23,2-6 con una serie intensa d’ottativi. E’ un anelo pieno di speranza perché Giobbe è certo di essere giustificato davanti a Dio, essendo stata la sua vita totalmente integra (23,7-12). Ma Dio resta inaccessibile nella sua logica e nel suo comportamento e all’uomo non rimangono che il terrore e la desolazione (23,13-17). A questo punto subentra il capitolo 24, da alcuni studiosi ritenuto un’aggiunta tardiva per completare il pensiero di Giobbe riprendendo il soggetto del secondo ciclo: l’empio prospera ed è felice, il giusto è povero ed infelice e Dio si astiene da ogni intervento equilibratore.

Il primo paragrafo del capitolo (24,1-12) registra con amarezza la lunga teoria d’ingiustizie e di violazioni del diritto perpetrate contro i poveri il cui grido sofferente vanamente sale al cielo: “Dio non presta attenzione alle loro preghiere” (v.12). Questa gran maledizione sapienziale sulla condizione sociale dell’umanità, che ha paralleli frequenti anche nelle letterature extrabibliche e che rivela un pessimismo essenziale nei confronti delle strutture socio-politiche, termina con un finissimo “notturno”, ideale quadro della malizia e dell’ingiustizia umana (24, 13-17).

La sezione 24, 18-25 potrebbe continuare il lamento sulla perversità umana sviluppato nella precedente porzione del cap.24. Tuttavia, data una buona affinità tematica e data la brevità eccessiva di quell’intervento, molti studiosi preferiscono trasferire questa strofa nel discorso di Zofar (cap.27). E’ là che anche noi la esamineremo.

Capp. 25,1-6 e 26,5-14: Bildad

Con quest’ipotetica ricostruzione il discorso di Bildad si presenta come una specie d’inno mutilato in qualche sua parte rispetto all’originale. La solenne celebrazione qui sviluppata vorrebbe quasi consacrare la disfatta di Giobbe che, nonostante i suoi tentativi legali, non può intaccare la grandezza intoccabile ed infinita di Dio. Infatti, ogni uomo davanti a Dio è impuro (4,17; 15,14), è un verme miserabile, un bruco! (25,2-6). La sovranità di Dio si estende fino nel soggiorno dei morti e il suo sguardo perfora il nulla e tutte le forze negative che ostacolano la creazione (26,5-9).perfino i famosi mostri mitologici, come Raab e Leviatan, il “serpente velenoso”, personificazioni delle potenze del male e del nulla, sono domati e trafitti dalla sua illimitata forza (26,10-14). Di fronte a quest’immane trionfatore l’uomo, creatura microscopica, non può che tacere ed adorare.

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