Libro di Giobbe: Sezione “B”, cap. 19-20

Capitolo 19: Giobbe

Questa parte è famosa per alcuni versetti particolarmente consistenti ed offuscati (vv.23-27). Il capitolo comincia con un’introduzione scritta in stile giuridico in cui Giobbe prega gli amici di interrompere la loro malevolenza nei suoi confronti (19,2-4). “Sono dieci volte (il numero sta ad indicare pienezza e saturazione) che mi insultate e mi maltrattate senza pudore” (v.3). Segue poi un lungo lamento salmico (19,5-27), in cui Giobbe afferma che è Dio la fonte d’ogni sua sofferenza (19,5-8), è lui il nemico che lo sta distruggendo, sradicandogli dal cuore ogni speranza (19,9-12). La solitudine è totale, attorno a lui si è creato il vuoto di amici, conoscenti, parenti; è solo una presenza statuaria in un deserto (19,13-16). Tutti hanno schifo di lui, anche moglie e fratello hanno ribrezzo della sua persona (19,17-20).

“Abbiate pietà almeno voi, amici miei”, non abbandonatemi e non accanitevi con i vostri ragionamenti distaccati: questo è il grido dei vv.21-22. Seguono poi i vv. 23-24 che più che ad un’iscrizione funeraria alludono alla speranza di vedere conservata in maniera indistruttibile la sua affermazione d’innocenza. Essa varcherà i secoli e almeno i posteri non considereranno Giobbe come l’esempio stesso del peccatore.

Più difficile è l’interpretazione dei vv.successivi (19,25-27). La Volgata e molti Padri latini, in conformità ad un’esplicitazione del testo ebraico oscuro, hanno visto questo passo come una dichiarazione di fede nella resurrezione, mentre i Padri greci e gli esegeti contemporanei sono molto più reticenti. Per risolvere brevemente l’enigma dobbiamo escludere subito una sopravvivenza della sola anima, possibilità inaccettabile per l’antropologia biblica che vede un’assoluta unità psico-fisica nell’uomo. Dobbiamo anche escludere che il “Vendicatore” (in ebraico “go’el”) sia un mediatore diverso da Dio pronto ad intervenire dopo la morte a giustificare Giobbe premiandolo. Infatti, il mediatore è Dio stesso, secondo il v.26 e quanto è stato spiegato in 16,18-22: quel passo negava esplicitamente una speranza dopo la morte (7,9-10; 10,21; 17,16). L’unica soluzione possibile è da ricercare secondo lo schema giuridico dell’alleanza. Il “difensore” divino, “vivo”, cioè pronto ad entrare in azione, “si alzerà”, come nel dibattimento processuale, dopo tutti gli altri difensori-accusatori umani (gli amici) e difenderà Giobbe ormai prossimo alla soglia della morte giustificandolo davanti a tutti. Giobbe, ridotto allora a pelle e ossa, vicino alla polvere della tomba, vedrà la parola giudicatrice e liberatrice di Dio. Questa speranza anticipa l’incontro finale risolutivo tra Dio ed il sofferente. Gli amici, perciò, siano vigilanti e controllati nei loro assalti a Giobbe perché “c’è un giudice che alla fine interverrà” (19,28-29).

Capitolo 20: Zofar

Con un avvio (20,2-3), come il solito colmo di rimproveri e di reazione contro Giobbe, riappare Zofar a terminare il secondo ciclo d’interventi. Egli riprende in blocco la tesi di Bildad (cap.18) e la colora d’altre immagini e d’altre considerazioni sapienziali desunte dall’esperienza comune dell’uomo e della natura. La caratteristica dell’esortazione di Zofar risiede soprattutto nell’insistenza sulla qualità effimera della felicità dell’empio e sull’aspetto di sorpresa che la punizione successiva riveste. Fin dagli inizi dichiara che “il trionfo degli empi è breve” e transitorio, come sterco il peccatore sarà spazzato via (20,4-7). La sua, infatti, è una felicità apparente, pronta a svanire come un sogno dorato per lasciare il risveglio amaro davanti ad una morte incombente (20,8-11). Tutto ciò che egli ha amato si rivelerà nella sua intima essenza, è solo cibo guasto e veleno d’aspide che egli ha gustato e sorseggiato come se si trattasse di miele (20,12-16). Non avrà più nessun ricavo dal male operato, tutte le sue ingiustizie e la sua voracità si trasformeranno in sciagura. Il Dio guerriero usa come sua armatura malattie, flagelli e gli elementi cosmici per annientare l’empio (20,17-23). Una punizione inevitabile e raffinata calerà su di lui (20,24-26): l’ordine stesso dell’universo è disgustato per la presenza del peccatore, sarà il creato stesso a combattere contro di lui (20,27-29).

Zofar non ha applicato questa serie d’invettive a Giobbe, ma egli sa che, ascoltandolo, Giobbe non può non concludere che è proprio il soggetto della fosca e tenebrosa descrizione.

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