Libro di Isaia: Capitolo 61, 1-11 e 62, 1-12

Due brevi e intensi capitoli, strettamente connessi tra loro da un comune universo simbolico, sono al centro della nostra attenzione meditativa. Li analizzeremo singolarmente e nella loro reciproca relazione. Il cap. 61 occupa una posizione centrale nell’economia del TritoIsaia: sia perché racconta la vocazione del profeta, sia perché contiene tutte le parole chiave del suo messaggio, dislocate nei capp. 56-66. Possiamo individuare i seguenti momenti:

  • vv.1-3a vocazione del profeta e primo annuncio: consolare gli afflitti;
  • vv.3b-9 secondo annuncio del profeta: restaurazione ed alleanza eterna;
  • vv.10-11 risposta di Gerusalemme.

I vv.1-3 hanno il tono dell’autobiografia, come già avevamo visto ai capp. 6 e 40. Il profeta si presenta come i suoi predecessori e maestri, offrendo le sue credenziali in un modo però originale. Se ripensiamo gli altri grandi racconti di vocazione, vi si afferma che la parola del Signore si è fatta incontro a qualcuno. Qui invece si parla di spirito che sta sopra il profeta come per il Messia di Is. 11,2 e di unzione.

Nell’A.T. l’unzione è tuttavia associata al re e al sacerdote, non al carisma “messianico”, legato cioè all’unzione, a differenza di quello profetico, ha carattere permanente. Il TritoIsaia si presenta dunque con un volto diverso da quello degli altri profeti, perché investito di un munus che tocca, in prima istanza, tutto Israele, popolo di re e sacerdoti (v.6), e mediato nei suoi confronti dalla figura del servo del Signore.

In coerenza con questo, non pronuncia giudizi e / o condanne, ma reca un annuncio di salvezza e consolazione. I vv.1b-2 proclamano, infatti, una “lieta notizia”. Il termine ebraico besora ricorre anche in altri contesti, riferito all’annuncio di una vittoria militare ( per es. sal.68,12); qui diventa un termine tecnico per indicare la liberazione finale di Gerusalemme e la consolazione definitiva del popolo. Del resto al v.3:

Per dare agli afflitti di Sion,
per dare ad essi una corona (pe’er) al posto di cenere (‘eper);
un olio di letizia al posto dell’afflizione,
una lode al posto di uno spirito mesto,

compare l’aggettivo “mesto” (kehah) che in Is. 42,3 individua lo stoppino “debole”: siamo allora di fronte ad un totale rovesciamento di situazione che ci aiuta a capire come mai questi versetti siano posti in bocca a Gesù nella sinagoga di Nazareth e, in certo modo, siano anche il filigrana al Magnificat. Il rovesciamento che il profeta prospetta è quello che starà al centro dell’annuncio neotestamentario. Ma in che cosa consiste concretamente?

Gerusalemme non sarà più giudicata né corretta, ma confortata: non tornerà soltanto alla condizione prospera precedente l’esilio, restaurando le rovine di un tempo (v.4), ma riavrà il doppio di quanto possedeva. Ci scontriamo qui con la difficoltà di tradurre il v.7, grammaticalmente abbastanza intricato La traduzione CEI lo corregge; i LXX ne omettono la prima parte. Il senso però sembra abbastanza chiaro ed è confermato da Zac.9,12, così come dall’interpretazione tradizionale ebraica: Dio aggiungerà una ricompensa doppia, in altre parole un’alleanza nuova e inviolabile (v.8). Il risarcimento sarà ampiamente maggiorato, non solo perché doppio per la quantità, ma soprattutto perché senza limiti quanto a durata:

In luogo di vergogna e rossore,
essi avranno una doppia porzione;
possederanno il doppio del paese e godranno di gioia eterna,

secondo la traduzione proposta dallo studioso Alonso Schoekel. L?anno di misericordia annunciato al v.2, diventa un tempo eterno, che Gesù assume, nella sinagoga di Nazareth, saltando un passaggio interessante: l’anno di misericordia infatti era anche il £giorno di vendetta” degli oppressori di Israele.

Il profeta si era già preoccupato di attenuare questo aspetto di resa dei conti con lo scarto tra “anno” e “giorno”. Gesù invece non cita direttamente il v.2c. L’accento della sua lettura si ferma così sull’anno di misericordia nel quale tutto e tutti sono riaccolti.

Al v.8 non parla più il profeta, ma il Signore in prima persona, che si autopresenta con quei titoli che garantiscono e avvalorano le promesse appena pronunciate. Egli parla esplicitamente di un’alleanza perenne, da comprendere sullo sfondo di Ger. 31 ed Ez.36, ossia un nuovo sistema di rapporti, sigillato dallo Spirito, e capace di rinnovare le relazioni con le nazioni (v.9). Molti commentatori invertono l’ordine tra i vv.10 e 11, perché la simbologia vegetale del v.11 meglio si accorda con quella del v.9. In realtà non è un’operazione così semplice da fare e si può continuare a leggere il testo come è, piuttosto traducendo con maggior acribia il v.10:

Io gioisco, gioisco nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio
perché mi ha rivestito di vesti di salvezza,
in un manto di giustizia mi ha avvolto;
come uno sposo porta sacerdotalmente la tiara
e come una sposa dei suoi gioielli si adorna.

Salta agli occhi una nuova dimensione anche del simbolismo sponsale che compare spesso nei profeti per evocare l’alleanza. Gerusalemme erompe infatti in un grido di giubilo e di ringraziamento (come non ricordare, ancora una volta, il Magnificat? )celebrando come evento nuziale la propria ricostruzione e il ritorno del Signore nel suo tempio. Dobbiamo qui richiamare alla memoria Is.60, che abbiamo meditato precedentemente, e gli altri testi analoghi per comprendere le vesti di Gerusalemme / sposa, mentre un’attenzione speciale esigono gli ornamenti dello sposo.

Egli infatti porta la corona nuziale, come Salomone (Ct.3,11) e incede con il portamento del sommo sacerdote. Dunque il passaggio dei significati del simbolo sponsale dall’insegnamento profetico in generale al TritoIsaia potrebbe essere:

-alleanza del Sinai-nozze di Dio con il suo popolo
-ricostruzione di Gerusalemme-nozze di Dio con il suo popolo-alleanza eterna

entro un rapporto nobile, con un Signore fedele e di lignaggio certamente più alto di quello della sposa. La quale però ha un suo dono proprio: è una sposa feconda, come dimostra appunto il v.11 e il seguito del cap.62.

Anche se infatti l’uso è oramai quello di seguire la consolidata ( e comoda) divisione in capitoli, la continuità tra Is.61 e 62 (dedicato come è interamente alle nuove nozze appena annunciate), è evidente. Per altro Is.62 è strettamente connesso con i capitoli che seguono e nei quali torna il tremendo tema dell’assenza / silenzio di Dio (in particolare la domanda di Is.64,11): Is.62,1 pare anzi anticipare la risposta a questo dramma. Come Dio volesse rendersi presente al suo popolo prima di essere supplicato e interpellato. Notiamo allora che il profeta riprende la parola, legando così il discorso a quello di is. 61,1, benché sia ora assente la chiave autobiografica. Egli, oramai accreditato, proclama la rinascita di Gerusalemme in tre momenti:

  1. vv.1-5 il profeta parla a Gerusalemme, sposa del Signore,
  2. vv.6-9 il profeta parla alle sentinelle di Gerusalemme,
  3. vv.10-12 il profeta parla agli esuli e ai rimpatriati.

Siamo al giorno delle nozze: non si tratta qui di una coppia che si riconcilia dopo un periodo difficile e di rottura, come leggiamo in altri testi profetici, ma di un momento inaugurale che apre qualcosa di definitivo. Il re, nel giorno delle nozze, è visto come il sole: la sentinella scruta il sorgere dell’aurora, ma annuncia anche la luce del corteo nuziale (v.1). Il re viene dopo aver difeso la giustizia e la gloria della sposa, poi la prende come sua corona e le conferisce un nome nuovo.

Il v.5 presenta un serio problema di traduzione. L’ebraico ha il termine banayik, ” i tuoi figli”; ovvero chi sposa la città sarebbero i suoi abitanti, in controluce con l’Eterno. Gran parte degli interpreti rifiuta tuttavia questa lettura letterale, che considera “inaudita e contraria la contesto”, correggendo bonek “costruttore”, termine che comunque è migliore del nostro “architetto”. E’ invece accettata dagli studiosi più vicini alla tradizione, perché comunque la città non potrebbe rinascere se i suoi figli / abitanti non ne sposassero il destino.

Il confine dell’iniziativa divina è nella volontà degli uomini: se costoro aderiscono al progetto di lui, allora le nozze avvengono a pieno titolo e sono davvero definitive. Dal canto loro le sentinelle (vv.6-9) devono ricordare allo sposo i suoi impegni, come fossero regali di nozze previsti nel contratto di fidanzamento. Tra questi doni di nozze è prevista la benedizione della prosperità della terra. Il primo segno della schiavitù infatti è la realtà di un lavoro di cui non si può godere il frutto. Qui invece siamo proprio all’interno di un clima di feconda libertà: chi lavora può godere del frutto delle sue mani e far scattare per questo la lode, il rendimento di grazie e la benedizione. Da ultimo vale la pena notare la struttura dei vv.10-12. Troviamo infatti:

sette imperativi + hinne ( “ecco”)
un imperativo + hinne + hinne.

Essi ci fanno assistere ad un ingresso trionfale: quello del popolo che torna sotto gli occhi delle nazioni. Ma soprattutto assistiamo al ritorno del tema del nome nuovo che investe sia i rimpatriati sia la città (v.12). L’Eterno ha combattuto per loro ed essi sono il suo stesso bottino di guerra, il suo premio, il segno visibile del suo trionfo. Così ora sono accomunati alla città santa che , come sposa, già aveva ricevuto un nome nuovo. Talché se sposa è Gerusalemme, anche il popolo riscattato entra adesso in questa dimensione nuziale, che non è il privilegio di qualche anima bella, ma il dono della grazia riservato a tutti coloro che accolgono l’alleanza e la salvezza divina.

Possiamo ora abbozzare una conclusione.

Costatiamo di avere davanti a noi due capitoli cui si innervano momenti fondanti del N.T. e della tradizione spirituale cristiana. Nella sinagoga di Nazareth Gesù, leggendo dal rotolo i primi versetti di Is.61 ha proclamato l’avvento di un anno di grazia irrevocabile, una sorta di perpetuo giubileo, nel quale le porte della misericordia sono sempre aperte per tutti. In particolare per tutti si è aperta una relazione d’alleanza nuziale con il Signore che investe tutti e che ha i suoi momenti privilegiati nella celebrazione liturgica, in virtù della pasqua del Signore.

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