Libro di Isaia: Capitolo 8,1-23 al 9,1-6

Il testo che ci apprestiamo a meditare si apre e si chiude parlando della nascita di due bambini. Il primo è figlio di Isaia, il secondo è quello del re di Gerusalemme.

Nascono circa nello stesso periodo: un duro tempo di guerra, in cui il re è sottoposto ad un ricatto politico militare: non vorrebbe cedere, perciò sta cercando alleanze con altre potenze. Isaia invece sostiene una politica di isolamento: solo Dio e la fedeltà a Lui può porre rimedio alla situazione e i due bambini sono il segno di questa vicinanza divina alla casa regnante, vicinanza che garantisce non solo la legittimità, ma soprattutto la continuità della dinastia davidica.

Tra i due annunci/eventi c’è una sorta di parallelismo incrociato:

  • 8,1-3 annuncio e nascita del figlio di Isaia
  • 3 suo nome simbolico e compito
  • 4 circostanza politica
  • 9,1-4 circostanza politica
  • 5 nascita del principe ereditario
  • 6 suo nome simbolico e compito.

Tra queste due unità testuali non prive di problemi interpretativi stanno altri riferimenti alla situazione politica e alla vita e missione del profeta di cui vedremo qualche dettaglio.

Siamo negli anni tra il 734-732 a.C.: è in corso una guerra che gli studiosi chiamano siro-efraimita: il re di Damasco (Siria) e il re di Samaria ( in Israele o Efraim), vv.4-6 si sono alleati per resistere alla potenza montante del re di Assiria. Per “convincere” il re di Gerusalemme ad allearsi con loro, essi lo minacciano di invasione ed assedio: una diplomazia, come si può notare abbastanza diretta e spiccia.

Quali possibilità ha il re di Gerusalemme in questa temperia?

Può cedere al ricatto, ma se la coalizione fosse sconfitta dal re di Assiria, le conseguenze sarebbero tremende anche all’interno (c’è sempre infatti qualche frangia d’opposizione che approfitta della debolezza della casa regnate per un colpo di stato); può cercarsi un alleato extra, per esempio l’Egitto, che gli consenta di resistere a pressioni e aggressioni; può anche consegnarsi direttamente al re d’Assiria, che sta invadendo tutta la regione, sperando che un atto di sottomissione lo salvi da guai peggiori; può, infine, fidarsi delle proprie risorse politiche, militari, logistiche, con non pochi rischi, strada questa che Isaia preferisce, perché corrisponde, alla fine, a fidarsi delle promesse divine sulla dinastia e sulla città santa.

L’invasione assira poi ci sarà (siamo verso il 701 a.C.), ma sarà quello il momento decisivo per la salvezza di Gerusalemme e della monarchia.

E’ in questo difficile e tormentato contesto che dobbiamo leggere gli oracoli che riguardano i due bambini, che pertanto non sono contemporanei.

Il figlio di Isaia ha un nome simbolico difficile da tradurre e comunque terribile: “Pronto Saccheggio Rapido Bottino” (vv.1-3): annuncia la rovina, che avverrà entro breve tempo, della coalizione Siria-Efraim.

Il testo pare comunicarci un’informazione biografica circa Isaia: parla infatti della moglie e del fatto che essa stessa è una profetessa. Dobbiamo qui rammentare che un profeta non manifesta il suo messaggio solo con la parola, ma anche con azioni simboliche che lo toccano direttamente, anzi con tutta la sua vita.

In altri termini, alla Scrittura non interessa tanto dirci chi fosse o che cosa facessero Isaia e sua moglie, quanto piuttosto che il mandato profetico li aveva investiti totalmente.

La rovina dei siro-efraimti è una prima indiretta affermazione del fatto che Dio non verrà meno a quanto promesso.

Ma come davvero si manifesterà la fedeltà divina è detto in 8,5-10, in maniera certamente prossima al paradosso. Per capirlo dobbiamo cercare anzitutto di immaginare il paesaggio.

Gerusalemme sorgeva su uno sperone roccioso, parte di una catena collinare assolutamente brulla. Non sappiamo come, i Gebusei, che avevano fondato e costruito la città prima di Davide avevano scoperto, l’unico sperone in tutta la catena in cui si trovava una sorgente di acqua. Lì si erano insediati provvedendo a raccogliere e canalizzare l’acqua. Queste acque di Siloe, che scorrevano lente, silenziose e remote nel sottosuolo, sono prese dal profeta come il segno della protezione divina, che permane, benché celata, anche di fronte alla marea montante dell’armata assira.

Perché la salvezza avverrà infatti attraverso una dura correzione: gli Assiri, che abitavano un paese allora prospero e ricco d’acqua (l’attuale Iraq), invaderanno il paese, letteralmente dilagheranno (i verbi ebraici dei vv.7-8 sono in crescendo), e tuttavia il Signore li tiene in pugno: li lascia venire come acqua montante, e può farli ritirare, come un fiume dopo una piena.

Due volte compare in questi versetti il termine tipico della protezione divina: Emmanuele/Dio-con-noi vv.8-10, riportandoci al grande annuncio di 7,13ss, che Isaia aveva proferito incontrando il re proprio all’imbocco del canale delle acque di Siloe 7,3.

Il piano di salvezza di Dio si attuerà silenziosamente, come il loro scorrere: Egli non preserverà il suo popolo dalla sventura in assoluto, ma farà rientrare entro gli argini di salvezza anche quello che è male, dolore e distruzione.

Isaia annunzia dunque che Dio è l’unico alleato affidabile per il popolo. Strano alleato, forse, vista la dolorosa strategia che ha in animo di attuare, me è proprio qui che dobbiamo vedere in azione il carisma profetico di Isaia. Dal punto di vista strettamente politico-militare infatti, è probabile che non vi fossero coalizioni efficaci contro gli Assiri e che la cosa migliore, politicamente, fosse proprio quella di accettarne l’invasione, senza aggravare le cose stringendo accordi incongrui. Quello che pare un semplice opportunismo politico è però rimandato dal profeta ad un più alto livello di lettura.

Suo compito infatti è annunziare la necessaria correzione del popolo, il giudizio su di esso e il permanere di un resto, ed è questo che egli fa entro e al di là dei semplici accadimenti.

Lo scopo della sua missione è dichiarato infatti e raggiunto in 8,16-18.

Sono, questi, versetti importantissimi e davvero tribolati. Secondo la Bibbia e del commentario che si prenda in mano si troveranno più o meno cospicue variazioni di traduzione. Per esempio forse si tradurrebbe meglio:

19. Chiudi la testimonianza,

sigilla l’insegnamento (Torah) alla presenza dei miei discepoli.

Compiuto il proprio annunzio, Isaia mette per iscritto quanto ha insegnato, perché ne rimanga sicura testimonianza al di là dell’ascolto del popolo, sul quale non può contare. Il memoriale scritto attesterà, anzi, che davvero il popolo si è indurito davanti ai suoi avvertimenti, così come gli era stato detto al momento della chiamata (Is.6,10ss).

Siamo davanti ad un atto giuridico e di tradizione in senso stretto, in altre parole l’atto del passare ad altri un patrimonio di rivelazione perché lo custodisca, ne verifichino l’integrità, e proseguano sulla via dello stesso insegnamento.

Il profeta infatti stende un vero e proprio documento, lo lega, secondo l’uso, per proteggerne il contenuto, e lo sigilla per autenticarlo. Poi il documento poteva essere posto in un vaso di terracotta, a sua volta ben chiuso e affidato ai discepoli, che, attendendo di verificare che accada quanto annunziato, vengono così a trovarsi dalla parte del profeta e quindi dalla parte di Dio.

E’ probabile che dopo questi avvenimenti Isaia non abbia più parlato in pubblico per molti anni, se non episodicamente, continuando invece a rivolgersi ai discepoli, ai quali dobbiamo l’elaborazione finale di quanto egli ha detto.

In quest’atto solenne Isaia cita anche i suoi figli con i loro imponenti nomi simbolici: uno lo abbiamo visto, l’altro si chiama She’ ar Yashub “un resto tornerà” (Is.7,3): nei nomi dei due figli ritroviamo i cardini della sua parola profetica.

Veniamo ora all’altro bambino di cui il profeta ci dà l’annuncio.

Anche questa nascita è legata alla salvezza del popolo, ma in chiave positiva, rispetto a quello del figlio di Isaia, e, potremmo dire, in una chiave positiva sovrabbondante che investe l’ambiente (con il passaggio dalle tenebre alla luce nel corso di un pellegrinaggio), le persone (con il passaggio dal cordoglio alla gioia straripante), la storia (dalla guerra alla pace).

E’ molto difficile datare quest’oracolo, che alcuni spostano al 701 a.C. o che considerano riferito al solo regno del nord che beneficerebbe, per così dire, della salvezza accordata al regno di Gerusalemme, o addirittura al postesilio.

Non potendo certamente vagliare queste ipotesi, limitiamoci a cogliere il contenuto essenziale cercando di capire chi sia annunciato e quali caratteristiche e compiti abbia.

Di lui si parla come di un “bambino” e di un “figlio” (v.5) senza che si faccia alcun accenno alla madre, come era successo nell’oracolo dell’Emmanuele.

Anzi “è nato” ed “è dato”: questa forma verbale al passivo indica come questa nascita sia opera di Dio. L’oracolo annuncia infatti l’avventi di un principe che è oggetto dell’elezione divina.

Subito dopo ce n’è descritta l’intronizzazione: egli riceve infatti il segno del principato (v.5) e i nomi di regno, che manifestano il suo programma politico, ma che sono, di fatto attributi divini.

I nomi di regno sono quattro a garanzia dell’universalità del suo potere:

Consigliere prodigioso.

Dio potente.

Padre per sempre.

Principe di pace

Titolo, quest’ultimo, che è ripreso dall’affermazione del v.6:

Senza fine la pace.

Dunque un principe pacifico, non guerriero; un principe disarmato, visto che tutti i ricordi della guerra sono stati bruciati (v.4).

L’attesa di tale Messia disarmato, confermata anche da altri profeti, non è dunque retaggio solo del N.T., come talora pensiamo, ma ha antecedenti biblici e giudaici di grande importanza.

Sarebbe ora possibile, rileggendo tutta la collezione degli oracoli dell’Emmanuele, ricostruire il progetto dell’Eterno sulla storia degli uomini attraverso i nomi di questi figli e bambini.

I figli di Isaia ci mostrano il versante umano, storico e i tempi prossimi della salvezza, cioè come l’uomo abbia bisogno di correzione e richiami, anche estremi, per tornare/convertirsi al suo Signore e come tutto questo avvenga a breve o medio termine.

L’Emmanuele e il Principe-Messia ci mostrano invece il versante divino dal quale vedere la nostra storia, spesso dolorosa: ci sono in essa un disegno e un potere che mettono in opera la volontà di pace e di paternità, che Dio persegue nei nostri confronti, quale che sia la nostra risposta.

Tale disegno però non diventa sempre palese ai nostri occhi: o per miopia nostra, che non scorgiamo i segni dell’azione divina, o perché a volte esso si attua in tempi lunghi o addirittura lunghissimi, forse troppo lunghi per noi, che confondiamo la fecondità delle promesse divine con l’efficienza.

Questa tematica tornerà sovente nel Libro di Isaia, invitandoci sin d’ora alla pazienza, alla fede e alla speranza.

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