Libro dei Proverbi: Capitolo 1, 20-32

I versetti cui ci accostiamo ci riservano una sorpresa. Con ogni probabilità, infatti, siamo abituati a sentirci affermare che la donna nell’A.T. non vale niente o anche meno di niente. Sarebbe solo una specie di pacchetto che passa dalla tutela del padre a quella del marito. Intervengono nella transazione altre figure maschili, quando il marito muore, talché una donna resta sempre una realtà di poco conto.

Ad essere onesto non è vero. Se si leggono i testi, si vede quanto sia difficile sostenere un’interpretazione tanto unilaterale (nonostante il retaggio che grava sulle sue spalle fin dalla preistoria); e adesso ne vediamo un esempio, appunto. Compare qui, infatti, la signora Sapienza, com’è stata chiamata di recente da uno studioso, cioè un’immagine femminile autorevole, di cui non si dice che governi solo la casa né che eserciti la propria autorità solo dietro le quinte, come spesso accade nel mondo beduino, ma che si esprime apertamente, parla nelle piazze, nei mercati, alle porte della città. Alza la voce là dove ferve la vita sociale, a sovrastare il chiasso del mercato e delle discussioni, per dire qualcosa di molto serio e importante, perché lei stessa importante, una realtà severa, necessaria alla vita sociale e al suo processo formativo.

Notiamo intanto che almeno tre sono gli ambiti dell’educazione.

Uno è la famiglia, come abbiamo già visto nella precedente meditazione, in cui chi educa è l’integralità del rapporto con genitori che conoscono l’arte del vivere.

Un secondo è la vita sociale (piazza, strade, porte della città) in cui parla la signora Sapienza.

Infine c’è la scuola, a quel tempo luogo del raccolto silenzio, dell’esercizio della lettura, della scrittura e della riflessione, del contatto con le culture straniere.

A questi ambiti la donna non è mai estranea, neppure alla scuola, perché se anche le donne allora non insegnavano, è pur vero che è stata una principessa egiziana, moglie di Salomone, a fornire forse il modello della scuola di corte e i rudimenti dell’educazione.

Avremo modo di vedere altre figure femminili all’interno di questa letteratura; la stessa signora Sapienza compie altri solenni interventi, il vero problema sarà capire che cosa significhi il termine ebraico: noi lo traduciamo sempre “sapienza”, ma certamente, secondo i contesti, va inteso come “buon senso”, “criterio”, “ragione”, “ragionevolezza”.

Vediamo ora che cosa dice la signora Sapienza nel suo primo intervento.

Esso è straordinariamente solenne e articolato, secondo le regole della retorica. Potremmo individuarne la struttura a blocchi come segue:

vv. 20-21 introduzione che ambienta il discorso;

v. 22 triplice apostrofe in forma di interrogazione retorica;

v. 23 esortazione;

vv. 24-25 memoria del quadruplice intervento passato (anamnesi) della Sapienza, e del quadruplice rifiuto che essa ha ricevuto;

vv. 26-27 conseguenze del rifiuto medesimo: la Sapienza non castiga direttamente, ma aspetta gli effetti che scaturiscono da sé dal fatto di ricusarne l’insegnamento e sottolineandoli con il sarcasmo;

v. 28 rovesciamento della situazione dei vv.24-25: chi non ha saputo ascoltare a suo tempo la voce della saggezza, non può aspettarsi di essere a sua volta ascoltato;

vv. 29-30 motivazione dell’atteggiamento degli uomini;

v. 31 conseguenze;

vv. 32-33 doppia sentenza conclusiva.

Il culmine del discorso è certamente ai vv.26-27 e 29; si tratta di quel che si chiama la “punta” del testo, “il sugo di tutta la storia”, per rubare un’espressione classica della nostra tradizione letteraria.

E’ da qui che deve iniziare la nostra lectio non solo del testo in oggetto, ma un po’ di tutta la sapienza biblica: si tratta cioè di una chiave di lettura generale.

Il fatto di aderire alla sapienza è premio a se stesso, rifiutarla è invece un castigo in sé; talché non ci si deve aspettare premi o castighi “da fuori”. Tutta l’esistenza umana ha una sua intima fecondità, nel bene e nel male, secondo dove si pongano le radici (non scordiamo mai il Salmo 1).

La retta decisione, a sua volta, in altre parole l’autentica saggezza, nasce dal “sapere” e dal “rispetto” (timore) del Signore.

C’è quindi una relazione strettissima tra sapienza ed etica, e le due cose confluiscono al loro meglio nella relazione con Dio. Quasi a dire che il rispetto per il Signore, principio della sapienza, come era detto in 1,7, è anche il suo punto di arrivo.

E’ attorno al Signore che ruota tutto il discorso di un’umanità autentica e del suo destino.

La signora Sapienza ci fa anche incontrare tre categorie di persone che ritroveremo nel Libro dei Proverbi. Sono gli “inesperti” (o inetti), i “beffardi” (o insolenti) e gli “sciocchi” (o stolti) che essa apostrofa al v.22.

Dico subito che non è sempre facile individuare queste categorie di persone e tradurre in maniera adeguata i termini ebraici che vi si riferiscono, un po’ come ho detto che accade al termine “sapienza”.

Chiariremo quindi nel corso della lettura, per quanto si può, di che persone si tratti.

Certamente possiamo precisare subito che si tratta di persone almeno in questo v.22, che si estraniano volontariamente (e quindi colpevolmente) dalla conoscenza e dalla disciplina che la sapienza richiede.

Di fatto si estraniano però dal rispetto del Signore, perché pongono altrove il loro progetto, e quindi i fondamenti della visione del mondo e del comportamento. I loro sono inoltre atteggiamenti pubblici, non custoditi nell’intimo della coscienza o argomento di dibattito entro la scuola di corte, a titolo di esercitazione: le loro scelte sono bensì di pubblico dominio e di pubblica risonanza, tanto che la signora Sapienza è dovuta scendere in piazza a richiamarli.

Ci potremmo chiedere, anzi, se un testo simile non sia di grande attualità e non potrebbe oggi fondare una pastorale vera e propria a partire dall’etica.

Del resto il testo ha tutte le caratteristiche retoriche del pubblico discorso, come abbiamo già detto.

Nonostante i contenuti e i singoli elementi specificamente sapienziali, alcuni studiosi non hanno esitato a richiamare, come sfondo a queste parole i grandi discorsi del Deuteronomio e gli appelli dei profeti.

Certamente quello che colpisce di più è pensare a una figura femminile con compiti profetico-didascalici pubblici data l’immagine che noi abbiamo della donna nell’A.T.

Esisteva invece un profetismo femminile in tutto il Vicino Oriente Antico ed esiste anche nell’A.T.

La tradizione rabbinica individua sette profetesse nelle Scritture: Sara, moglie di Abramo; Miriam, sorella di Mosè e Aronne (Es.15,20); Deborah (Gdc.4,4); Anna, madre di Samuele, a sua volta profeta; Abigail, moglie di David; Ulda (2Re 22,14); la regina Ester.

Profetesse Perché?

Il titolo è dato espressamente dal testo biblico ad alcune di loro; ma in generale sono donne che hanno avuto un vero ruolo profetico, perché hanno saputo leggere la storia del loro tempo, scorgere in essa le tracce della presenza del Signore e indicarne la volontà.

In tal modo hanno guidato o salvato il popolo, ne sono state la madre, il generale, l’educatore, colui che indica la direzione da seguire.

“Profeta” non è infatti chi predice il futuro, ma colui che guarda e insegna a guardare le cose con gli occhi di Dio, che vede tutto “dall’alto”, secondo un’espressione biblica, ride dei potenti e conosce gli esiti della storia che egli stesso sta guidando.

Si capisce allora perché anche la signora Sapienza possa fare un discorso pubblico e con intonazioni profetiche. Non si tratta infatti di una saggezza privata, che tende a custodire la serenità dell’anima o induce a “non sentire” contraddizioni e passioni, come accade in certe correnti filosofiche, ma è pure una partecipazione alla passione di Dio per il suo popolo e per gli uomini.

Il testo si chiude, come ho detto, con una sentenza abbastanza solenne (epifonèma), ai vv.32-33, strutturata su alcuni giochi di parole assonnanti al resto del capitolo.

E’ anche questo un espediente retorico.

Chiudere un lungo discorso con una sentenza incisiva, che si potrebbe anche memorizzare è come lasciare una parola d’ordine, un vero e proprio proverbio, in cui tutto si condensa e si sintetizza. In questi versetti la sintesi riguarda appunto tutto il capitolo 1, che vedrei come una sorta di prologo al Libro dei Proverbi: ne presenta 8infatti i contenuti e indica alcuni protagonisti dell’educazione. Non è facile individuare la struttura dell’intero libro, come non è facile individuare che cosa sia un’autentica letteratura sapienziale.

Oggi del resto non c’è più la tendenza a definire rigidamente delle strutture, quando non siamo più che probabili (questi versetti, per esempio, riguardano una porzione di testo molto ridotta e si individua cercando nel testo originale avverbi, congiunzioni e particelle di passaggio).

Certamente si possono invece cogliere i temi fondamentali e fondanti di un testo,e a chiusura del capitolo 1 possiamo individuare la saggezza come docilità, riflessione, attenzione, prudenza, in una tensione dinamica che parte da e tende al rispetto del Signore:

La ribellione infatti uccide gli irriflessivi,

la noncuranza stronca gli imprudenti,

chi mi ubbidisce vivrà tranquillo, sicuro,

senza paura del male.

Come recita una traduzione a mio avviso più adeguata di quella che abbiamo letto.

Brano della tradizione ebraica.

Dal trattato Detti dei Padri della Mishna:

1.2. Simone il giusto era uno degli ultimi membri della grande assemblea. Egli soleva dire: Su tre cose il mondo sta: sulla Torah, sul culto e sulle opere di misericordia.

1.3. Antigono di Soko ricevette (la Torah) da Simone il giusto. Egli soleva dire: Non siate come servi che servono il padrone a condizione di ricevere un salario. Siate piuttosto come servi che servono il padrone non a condizione di ricevere un salario e il timore del Cielo sia su di voi.

1.6. …Giosuè figlio di Perachià dice: Procurati un maestro, acquistati un compagno e giudica ogni uomo sulla bilancia del merito.

11.6. Hillel soleva dire: Un incolto non teme il peccato, e un ignorante non può essere pio. Il vergognoso non impara, l’iracondo non insegna e chi si dà troppo al commercio non diventa sapiente. Dove non ci sono uomini, sforzati di essere uomo.

11.8. Hillel soleva dire: Più carne, più vermi; più proprietà, più preoccupazioni; più mogli, più sortilegi; più schiave, più impudicizia; più schiavi, più furti.

Più Torah, più vita; più assiduità nello studio, più sapienza; più consiglio, più comprensione; più giustizia, più pace.

Chi acquista un buon nome, acquista se stesso; chi acquista le parole della Torah si acquista la vita del mondo che viene.

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