Libro dei Proverbi

Premessa

Anche questo Libro si è formato con un cammino di diversi secoli e rispecchia diversi tipi di ambienti culturali e di civiltà. Per capire meglio in che chiave leggerlo, conviene vedere subito su che piano è strutturato.

Capp. 1,1 — 9,18

-Esortazione alla Sapienza, Sapienza e timore di Dio, discorsi della Sapienza.

Capp. 11,17 – 19,1-29

-Prima raccolta di proverbi attribuiti a Salomone.

Capp. 22,17 – 29 e 23, – 1-11

-Sentenze di sapienti.

Cap. 25, 1-28

-Seconda raccolta di proverbi attribuiti a Salomone.

Capp. 30,1 – 31,31

-Comprende quattro appendici con detti di Agur, proverbi numerici, detti di Lemuel, poema sulla moglie ideale.

Vediamo ora come si è formato il Libro. In linea generale si può ricostruire la storia in questi termini: partendo da un materiale popolare di detti e sentenze in genere brevi, incisivi e figurati, al tempo di Salomone si misero assieme le prime raccolte scritte, sotto l’influsso della civiltà egiziana con cui il figlio ed erede di David ebbero rapporti molto stretti (1 Re 4,3).

Questo lavoro di raccolta ed elaborazione della sentenza, che in ebraico si chiama “masal”, perdura per tutta la monarchia e risente delle civiltà con cui Israele ha relazione.

Se leggiamo con attenzione questa parte del Testo (capp.10-29) ne ricaviamo un quadro e un’idea della Sapienza abbastanza particolare. Si tratta, infatti, di conoscenza della vita, di abilità tecnica, di comportamento sociale in cui non entra alcun elemento religioso specifico. Se vogliamo, è una Sapienza laica, accessibile anche all’uomo assennato retto ed esperto fuori della rivelazione.

Probabilmente questa parte del Libro fu completata prima dell’Esilio di Babilonia (587 a.C.). Il Libro, nella sua forma attuale fu invece completato un secolo dopo, in altre parole ad esilio ultimato, per definire l’aspetto morale della nuova comunità. Fu allora che fu aggiunta la prima parte (capp.1-9) nella quale è descritta la radice e la natura della Sapienza, o meglio, la Sapienza nel suo fondamento teologico.

Il popolo deve avvertire che non esiste per lui una morale, per così dire laica, ma solo una risposta di fedeltà alle proposte di Dio che si rendono note attraverso la sua Sapienza.

In altre parole, la sapienza umana sta nell’accogliere e nel rispondere alla Sapienza divina, ed ha alla radice il timore del Signore. Questa idea cardine del prologo intende, infatti, mostrare in che cosa il sapiente di Israele è diverso dai sapienti degli altri popoli, benché si regoli sulle stesse massime. Di fatto, non sono queste che lo definiscono savio, bensì il temere Dio e l’aderire alla Sapienza: poste queste condizioni, i criteri degli altri popoli possono valere per lui, non prima.

Se è importante leggere questi sapendo che rappresentano un certo grado di maturazione della coscienza del popolo di Dio, è altrettanto importante cogliere che essi aspettano il loro compimento. Tale compimento è, evidentemente, in due direzioni: quella della sapienza divina che si rivela nel Figlio Salvatore, e quella della sapienza umana che si realizza nell’accertarne il dono di salvezza.

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