Sono stato una pecora che si era allontanata su altri pascoli

Gesù il buon pastoreLa parabola narrata da Gesù descrive la gioia del “buon pastore” quando ritrova la pecora smarrita; una chiara risposta del maestro a coloro (Scribi e Farisei) che “mormoravano” perché accoglieva e rivolgeva la sua “Parola” anche ai peccatori, “liberandoli” dalla durezza di una religione che s’imponeva come giudizio e non come misericordia. Gesù, con la sua condotta e le sue parole, ricorda quello che da sempre è l’autentico comportamento di Dio nei confronti degli ultimi e di coloro che erano considerati peccatori, e lo spiega attraverso la parabola, con un’immagine comune che tutti possono facilmente comprendere. Il racconto si svolge nel deserto, luogo di morte e di solitudine dove è importante rimanere “in gruppo”; per questo il pastore, prima di allontanarsi a cercare la pecorella smarrita, lascia le altre al sicuro nel gruppo dove si sentono protette e sostenute. Il deserto è il luogo dell’insicurezza dove l’uomo, anche il più forte, rischia la perdita della sua sicurezza interiore, psichica e morale; è per tradizione il “posto del diavolo” (colui che disperde), dove l’uomo è “messo a nudo” e rivela fino a che punto sia in armonia con il Padre.

La pecora che lascia il gruppo e si perde nel deserto è l’immagine dell’anima che si è “staccata” dall’amore del suo Pastore, e si è inoltrata nell’indistinto e nell’isolamento; una separazione che facilita il dubbio e l’angoscia e predispone il sopravvento di “Satana”, perché l’uomo che si stacca dal Padre cerca disperatamente altre sicurezze che possono portare alla completa perdita di se stesso. Nella narrazione emergerebbe anche la colpevolezza del pastore che non si era accorto subito del pericolo al quale andava incontro la sua pecora. Ma Dio non ha nessuna responsabilità per la fragilità o la debolezza dell’uomo; egli non può impedire alla sua creatura più cara di allontanarsi da Lui perché, pur amandola, la lascia libera di scegliere tra la strada della salvezza e il deserto della stoltezza umana. Nonostante questo, l’uomo rimarrà per sempre l’oggetto dell’amore di Dio, come una pecora sarà sempre di un valore enorme per il pastore che, per questo, lascia le altre novantanove da sole al sicuro per cercarla nel deserto.

Per trent’anni il Signore mi ha cercato e alla fine mi ha trovato e, abbracciandomi, mi ha riportato nel gregge al sicuro, donandomi il suo amore.

Gesù attraverso questa parabola manifesta l’amore forte, quasi possessivo di Dio Padre; lui è il Dio “geloso” dell’Antico Testamento, che non vuole rassegnarsi a perdere chi rappresenta per lui un grande valore, perché parte integrale del suo gregge e del suo amore; un Dio che al tempo stesso evidenzia anche una cura e una preoccupazione materna, perché da solo, nel “deserto”, separato da lui, qualsiasi uomo è in pericolo e può essere perso per sempre. In questo comportamento di Dio emerge il suo amore e la sua sofferenza; lui, in un certo senso, si sente tradito e soffre perché, per lui, la perdita di un’anima è sempre una sconfitta, e per questo cercherà sempre di ricondurre all’ovile ogni pecora smarrita. Per trovare la pecora smarrita il pastore deve ripercorrere nel deserto lo stesso cammino pieno d’insidie e pericoli “entrando” nella stessa realtà di solitudine, e rifare la stessa esperienza esponendosi, così, al pericolo della morte e al rischio del non ritorno. Anche Dio con l’Incarnazione del Verbo è entrato nel deserto dell’esperienza umana alla ricerca dell’uomo peccatore; Lui “abbracciando” la condizione umana, in Cristo, ha lasciato la sua gloria per condividere la prova del “deserto” dell’uomo, e per andarlo a ritrovare proprio là dove più grande era il pericolo.

Il racconto evidenzia un comportamento naturale per l’uomo: la ricerca di ciò che si è perduto; quindi, a maggior ragione, Dio non può accettare di perdere una delle sue creature; nel suo grande amore egli la desidera, l’insegue, la bracca, prevede i possibili sentieri per i quali può essere passata, la cerca nei luoghi più nascosti, trascorre notti all’addiaccio nel pericoloso deserto, perché non vuole assolutamente perderla. A questo punto rimane solo alla pecora la disponibilità di farsi ritrovare per rientrare nell’ovile (la Chiesa di Dio); un ritorno che avviene nella grazia, perché è veramente la grazia o, meglio, l’amore divino a riportarla nella pienezza della comunione divina e nella sicurezza della comunità.

La gioia del pastore per il ritrovamento della pecora smarrita è la gioia di Dio che ha ripreso possesso dell’oggetto del suo amore; una gioia intimamente legata alla sua realtà di Padre e Creatore. Dio è felice di essere un Padre che dona gratuitamente il suo amore accogliente; una gioia così traboccante che non può che essere condivisa. Lui non può tenerla solo per sé e la trasmette all’intera comunità che, se in sintonia con il “sentire” di Dio, gioisce con lui quando una nuova pecorella rientra all’ovile. E come Dio si realizza pienamente, in virtù della sua felicità, nell’accoglienza e nell’amore misericordioso, così la comunità si realizza per quello che veramente è agli occhi di Dio, se accoglie, di nuovo nella gioia, qualsiasi fratello che si era perduto. Escludere ed emarginare nella condanna, come fanno gli scribi ed i farisei, significa non aver conosciuto Dio e assimilato l’amore presente nel cuore del Figlio che oggi la Chiesa ricorda con solennità. Contro ogni logica umana Dio mostra maggior sollecitudine o, meglio, amore misericordioso, proprio nei confronti di chi lo ha abbandonato, di chi lo ha oltraggiato e tradito. Dio conosce il male e il peccato, e solo Lui, che è amore e tutto può, vuole riconquistare chi lo rifiuta. Con questa parabola Gesù fa comprendere che cercherà sempre la pecora smarrita per riportarla con gioia all’ovile, perché c’è più festa in cielo per un peccatore che si converte che per molti “giusti” che non hanno bisogno di convertirsi. È l’amore che gioisce nel salvare, l’amore di Dio che si è incarnato in Cristo.

Cristo è veramente il Buon Pastore che conosce per nome ognuna delle sue pecorelle, e la sua missione di ricondurre all’ovile le pecore perdute d’Israele (l’intera umanità) è ora demandato ad ogni vero cristiano; egli si è chinato in particolare verso gli umili ed i peccatori (i disprezzati dalle autorità e da coloro che si vantavano di essere l’elite religiosa del popolo), ai quali ha offerto i tesori del suo amore misericordioso affinché ritrovassero la salvezza in Dio. È questo che Gesù vuole da chi crede nella sua “Parola”, vale a dire non trascurare nessuno nelle proprie relazioni umane e religiose, ed essere pronti ad accogliere con amore e umiltà ogni contatto veramente utile e sincero, nella consapevolezza di essere in ogni modo dei peccatori. Poco importa, poi, se il proprio apostolato sembra deludente e poco efficace perché, come diceva San Francesco di Sales, se per un vescovo un’anima è una diocesi già abbastanza grande, tanto più deve essere per un vero cristiano.

Solo l’amore guarisce e trasforma

Non si può vivere senza amore; la mancanza d’amore genera tristezza nel cuore dell’uomo. Oggi si parla molto di depressione; è considerata una sorta di malattia del secolo. Ma ci siamo mai chiesti cosa genera la depressione? Personalmente me ne sono fatto un’idea, perché ho potuto constatare direttamente che tale malattia è scatenata dalla tristezza del cuore. Molte persone non sorridono proprio perché hanno il cuore chiuso all’amore, al sorriso di Dio. Cosa cercano? Cercano un impero da costruire e lo cercano nell’alcool, nel denaro, nella droga, nell’edonismo. Sono depressi perché sono senza amore, perché sono convinti che la nostra esistenza si svolge e finisce su questo pianeta. Gli insegnamenti errati, i falsi profeti e i tanti lupi rapaci vestiti da agnelli divorano la mente delle persone. Anche il materialismo è responsabile di questa mancanza di amore. C’è anche il continuo inganno della voce menzognera di Satana, che penetra nell’intimo e cerca di convincere i malcapitati che “più ha e più sarà felice”; “L’importante è avere, il credere in Dio è un sovrappiù!”.

“O uomini senza fede”, è il rimprovero di Gesù a tutti quelli che stanno costruendo sulla sabbia.
“Cercate prima il Regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappiù”, continua a dirci Gesù con tanta misericordia e amore. “Non si può essere cristiani a singhiozzo”. Ed è così; bisogna insegnare una dottrina, non una filosofia, ovvero il Regno di Dio nella persona vivente di Gesù Cristo, che è assiso alla destra del Padre e che un giorno verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti.

Non si può essere cristiani senza la visione del Paradiso perché senza questa visione l’uomo perde il senso della vita, considerando la terra come mèta e non volgendo più lo sguardo al Cielo. L’unica salvezza dell’uomo da qualsiasi tristezza e depressione è la fede nel Paradiso che Gesù ci ha guadagnato con la sua morte, resurrezione e ascensione al cielo, dove ci ha preceduto per prepararci un posto. Non lasciatevi ingannare dice S. Paolo: “La vostra Patria è nel cieli e di là aspettiamo il Salvatore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso…” (Fil 3,20). Se vuoi che il tuo cuore viva, tieni sempre in alto lo sguardo.