Il Libro della Genesi: Capitolo 3

Il peccato delle origini

I capitoli 2 e 3 sono una specie di dittico, che insieme mostrano la mappa della creazione, secondo Dio (nel cap.2) e secondo l’uomo peccatore (nel cap.3).

Il capitolo 3 analizza appunto che cosa è diventato nella storia il progetto di Dio per la deformazione causata dal peccato. La struttura di tutto il capitolo è semplice ed è concatenata con quella del capitolo (come ho già detto) precedente, dove esistono le premesse con il precetto divino di non mangiare “il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male”, pena la morte (vv.16-17 e 25). Poi i temi del cap. 3 si sviluppano logicamente: la trasgressione umana con il dialogo serpente-donna, donna-uomo, è uno dei brani più curati dall’autore (vv.1-8); quindi il processo, con l’istruttoria (vv.9-10), l’interrogatorio (vv.11-13), la sentenza (vv.14-19) e, infine, l’esecuzione della sentenza (vv.20-24).

In che cosa consiste il peccato è dichiarato dalle parole del tentatore: “Sarete come Dio, conoscendo il bene e il male” (v.5). Tuttavia per intendere quest’espressione bisogna comprendere il senso del binomio “bene e male” unito al verbo “conoscere”, il simbolismo del “serpente” e la portata della “morte”.

Conoscere bene e male

Chiariamo in modo definitivo, si parla fin della troppo famosa “mela”. L’albero in generale è un simbolo sapienziale. “Bene e male” sono due poli estremi dell’ordine morale e indicano la totalità della realtà sotto il profilo morale-religioso . Un’espressione popolare si ha quando si indicano i due estremi per abbracciare tutta la realtà tra loro contenuta (esempio notte-giorno, per dire sempre; sopra-sotto, per dire dappertutto).

Situato su questo sfondo il peccato ha attinenza ad un problema che coinvolge la profondità dell’uomo: perché non posso essere io a fissare ciò che per me è bene in modo tale che lo sia veramente e senza possibilità che un altro vi si inserisca?

Anche il verbo “conoscere” è collegato in ogni ceppo linguistico a qualcosa d’arcano e, in particolare, in ebraico connota l’idea di dominio, suggerita dal riferimento alla parola “mano”, che insieme con il braccio e con la destra, appare come elemento risolutore delle battaglie.

Conoscere bene e male significa, quindi, assicurarsi il dominio di tutto ciò per cui il bene si distingue dal male. Ora questo è un attributo proprio di Dio. Affermare che l’uomo stende la sua mano e mangia il frutto dell’albero della sapienza è come dire, mediante un linguaggio convenzionale, che egli vuole dominare e determinare tutta la realtà sotto il profilo del volere religioso-morale per conto proprio. Ma tutto ciò equivale a essere come Dio.

In altre parole, il grande peccato consiste nel volere che quel che facciamo sia bene per il solo fatto che siamo noi a farlo. Quindi, peccato di “autonomia” in contrapposizione a Dio, di attacco alla sfera di Dio, di appropriazione indebita di una prerogativa esclusivamente divina, in pratica di ateismo, che in fondo è il desiderio che Dio non ci sia, rifiuto di fidarsi e di appoggiarsi su di Lui, mancanza di fede. Insomma, esasperata volontà di dominio, che , invece di mettere a disposizione la propria libertà al piano di Dio per lavorare con Lui da alleati per edificare quella storia che porta fino all’albero della vita, erige la propria libertà a valore assoluto, tentando di determinare la realtà per altra via che non sia quella della Rivelazione, della Parola di Dio, della sua Sapienza.

Il peccato originale non può, quindi, essere ridotto a una particolare forma di peccato sessuale per esempio; è, invece, il peccato radicale dell’uomo, che è sotteso a tutti i vari peccati personali e da loro è costantemente manifestato.

Nessun testo antico, al di fuori della Bibbia, spiega l’esistenza del male sulla terra col male dell’uomo. E’ esclusivamente biblico-cristiana la concezione etico-religiosa di un peccato che comporti libertà, volontarietà, autocoscienza, relazione a un Dio personale.

Il serpente

E’ la figura enigmatica del racconto. Esso, nella cultura orientale, è contemporaneamente un simbolo sessuale e sapienziale.

Si tratta allora di una ricerca, per cui si parte dal grande peccato contemporaneo dell’autore, che è quello dei culti della fertilità, i culti di Baal, i quali avevano come elemento caratteristico l’entrata in comunione con la divinità attraverso l’atto sessuale consumato con una donna consacrata alla divinità, spesso la dea-serpente, e di lì si risale all’essenza costante e universale del peccato.

Questo spiega il rilievo che la sessualità ha in questa storia; però è chiaro anche che non si parla di peccato sessuale in se stesso, ma poiché in lui si rende concreto l’idolatria. Il problema, cioè, non è quello della sessualità, ma la sessualità è la spia che permette di capire l’infedeltà che è insita nel peccato come infedeltà di un alleato (il tentatore lo sa bene), infedeltà sponsale, come assicureranno in seguito i profeti. Mai, infatti, nella Bibbia l’atto coniugale è presentato come un peccato. In fondo l’autore sacro vuole affermare che tutte le volte che l’ebreo fa una scelta per il pantheon baalico dei cananei commette il peccato di origine, il peccato radicale, che per la Bibbia è proprio la violazione dell’Alleanza (=idolatria) e del Comandamento principale, che sintetizza tutta l’alleanza, quello dell’amore a Dio e al prossimo. Infatti, vogliamo essere come dèi, e siamo, di fatto, come dèi, ma non come il Dio vero Jahwè.

L’uomo era immagine di Dio, col peccato si ritrova come un idolo. Il serpente è anche simbolo sapienziale; infatti, esso è detto “astuto” con un aggettivo tipico del sapiente. Il serpente, allora, è il simbolo del voler essere sapienti da soli (cedimento al tentatore). Anche la sua proposta: “…aprirete gli occhi…” si muove in questa linea. Nella Bibbia la frase vuole dire diventare sapienti, diventare autonomi nella propria decisione, essere il sapiente perfetto e completo come è soltanto Dio.

La morte

E’ importante notare che la morte, di cui si parla, va interpretata alla luce del peccato del cap. 2,17: “…se mangerai, certamente morirai…”, non nel senso di diventare mortali, ma nel senso di una morte giuridico-religiosa, quella del tipo del Decalogo, vale a dire la rottura dell’Alleanza, la separazione totale da Dio.

Infatti, dopo avere mangiato dell’albero del bene e del male, “Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei?. Rispose: Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo. E mi sono nascosto. Riprese il Signore Dio: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare? Rispose l’uomo: La donna che mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”.

“Il Signore Dio disse alla donna: Che hai fatto?. Rispose la donna: Il serpente mi ha ingannato e io ne ho mangiato. Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sii maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen.3,9-15)

Il dialogo serrato tra Dio e l’uomo fa emergere la confusione, l’oscurità, la vergogna del peccato dell’uomo. Quattro volte parla il Signore e i primi tre interventi sono domande precise: Dove sei? Chi ti fatto sapere che eri nudo? Che cosa hai fatto?

Tre domande perentorie che sono seguite da una terribile profezia che indica uno stato d’inimicizia e di divisione all’interno dell’esperienza umana e della storia.

Alle quattro domande di Dio, tre volte rispondono gli uomini e con risposte timide, incerte, reticenti e, in parte, menzognere. Adamo afferma di avere paura, para di Dio. Denuncia così un rapporto falsato con quel Dio d’amore in cui non sa più riconoscere il padre, il misericordioso di cui non scopre più il volto. E aggiunge, accusando Eva, la donna che gli ha messo accanto, che lei ha dato dell’albero e lui ne ha mangiato. Denuncia quindi anche un suo rapporto irresponsabile con la compagna della sua vita, ributtando su di lei la colpa che gli rimorde la coscienza. Da parte sua la donna, in timore e confusione, risponde che il serpente l’ha ingannata, mostrando un rapporto irresponsabile con se stessa, con la sua colpevolezza personale, con la chiarezza delle sue responsabilità. Nell’insieme, Adamo ed Eva, con le loro parole, rilevano la divisione, l’oscurità, la confusione che deriva dall’uomo dallo stato di peccato, in altre parole la lontananza da Dio, quindi la morte.

Per la Bibbia l’uomo è stato creato già naturalmente destinato alla morte; solo che questa morte è, di fatto, a causa del peccato, qualcosa di più profondo di un semplice evento biologico: manifesta la frattura tra l’uomo e Dio e ne fa sentire tutto il peso. L’uomo, insomma, ha in sé un rapporto che condiziona tutti gli altri: il rapporto con Dio.

In conclusione si nota bene come questo episodio, sotto un linguaggio popolare e figurato, insegni una dottrina profondissima.

L’uomo è stato creato col rischio e la possibilità della sua libertà. Il peccato fondamentale dell’uomo è di non volere partecipare al progetto di Dio e volere lui proporre un programma alternativo (sempre indotto dal tentatore).

L’idolatria (come purtroppo ai nostri giorni) è la manifestazione più alta di questa volontà alternativa. Ciò che l’uomo sperimenterà sarà la morte, il fallimento, la rottura con Dio. Infatti, il discorso dei capitoli successivi mostrerà l’umanità che non cammina più con Dio, quindi non è più nello stesso giardino, perché i piani sono diversi.

Questi capitoli iniziali sono una specie di chiave per tutta la storia sacra (3,1-8).

Le conseguenze del peccato: maledizione e speranza

Questo testo è costruito con una vera e precisa struttura processuale e la sentenza si articola lungo i tre soggetti: il serpente, la donna e l’uomo, le cui situazioni attuali dolorose e deludenti sono eziologicamente collegate con quel peccato radicale.

Di fatto, nessuno vorrà pensare che per l’autore biblico il serpente prima del peccato incedesse come una giraffa, né che l’uomo innocente passasse il tempo oziando, né che la terra prima della colpa fosse priva di spine e di cardi. La stessa cosa si deve pensare nei riguardi della donna. La sua storica condizione di subordinazione al maschio e i suoi ruoli storici sono contestati dalla pagina biblica precisamente in nome del progetto di Dio, che l’umanità ha voluto respingere. Non è, cioè, che la Genesi assicuri che le cose “debbano” essere così, perché furono così fin dal principio, situazione gregaria della condizione umana. Ma esattamente il contrario: dolorosamente le cose sono così, ma così non dovevano essere! La dottrina della Genesi, come dirà San Paolo (Rom.7,19), è che l’uomo, maschio o femmina, non può più essere da solo quello che dovrebbe essere; necessita di essere redento.

Ponendo in risalto il carattere sociale della prima colpa, la Bibbia ha voluto inculcare che l’uomo e la donna hanno escluso Dio non solo dalla loro vita, ma anche dalla vita dell’altro. Hanno occupato nella vita dell’altro il posto di Dio, che avrebbero dovuto riconoscere come generoso donatore del compagno e pietra angolare della unione dei due.

La donna non è condannata dalla Bibbia ai ruoli in cui la storia l’ha relegata, ma, al contrario, da loro liberata, proprio perché essi sono giudicati sotto il segno del peccato che condiziona e invecchia. La “donna nuova”, come “l’uomo nuovo”, stanno “avanti”; non sono ancora dati del tutto. Saranno rivelati in Gesù Cristo, nuova creazione, e da lui redenti (3,9-25).

Il proto vangelo: la prima bella notizia

Se il brano del cap.3 della Genesi rappresenta l’inizio assoluto del male, porta però anche un germe di speranza per il futuro, che si renderà comprensibile con il cap.12 quando sarà chiamato Abramo e invece della maledizione Dio darà la benedizione: “In te saranno benedette tutte le genti”.

L’amore di Dio, infatti, non si ferma davanti all’uomo peccatore. Il peccato non può bloccare il suo piano; è “dentro” il suo piano. Dio sta sempre dalla parte dell’uomo e fin dalle origini inizia la sua azione di salvezza. Egli è dalle origini “Colui che salva”, non soltanto “Colui che crea”; e, anzi, crea per salvare.

Non soltanto Dio è come un padre di famiglia che prepara le vesti, ma addirittura è colui che prende le difese dell’uomo contro il suo tentatore. Con il simbolismo bellico dell’ostilità tra il seme del serpente e il seme della donna si annuncia una storia nella quale l’alleanza originale tra l’uomo e il diavolo contro l’alleanza tra l’uomo e Dio non sarà condivisa sempre e da tutti.

La categoria ebraica del “seme” è prettamente collettiva: il seme del serpente è tutta la linea di male dell’umanità; la linea genealogica di Eva sarà il popolo di Dio, Israele; in particolare per la tradizione jahwista sarà Abramo e il suo seme Isacco, la sua discendenza, i gusti; e per il redattore finale il “resto d’Israele”.

Ma, in questo popolo, in quel piccolo resto, vi sarà un “seme” speciale, in vista e per causa del quale tutta la stirpe umana vincerà la linea del male.

Questo seme è il Messia.

L’umanità, l’uomo e la donna, il Messia e sua madre, ognuno al suo posto, sono già in qualche modo implicati e raffigurati in un affronto che avrà il suo culmine nella Passione di Gesù Cristo. Si è appena alle origini, ma la notizia del dramma e del suo lieto compimento è già stata lasciata intravedere (3,15).

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