Il Libro della Genesi: Capitolo 1 e 2

Il piano di salvezza del Creatore

E’ la pagina che fa da introduzione non soltanto alla Genesi ma a tutta la Bibbia. Essa celebra la potenza di Dio che crea con la sola Parola e mette ordine attraverso lo Spirito Santo, rimanendo distinto e sovrano, sopra la sua creazione, che è opera sua non sua emanazione.

Il racconto è attribuito alla “corrente sacerdotale”, le cui caratteristiche sono chiare: presentano di Dio un’immagine molto pura e trascendente, usando una schematizzazione di formule, e rivelando una precisa finalità culturale giacché si conclude sul riposo di Dio proposto come fondamento al riposo liturgico del Sabato.

Tutti gli studiosi distinguono tra la sostanza della narrazione, che è storia, e il quadro letterario, che è compilato secondo un genere artistico legato a norme stilistiche dell’Oriente Semitico.

Possiamo notare il rincorrersi delle formule identiche:

Annuncio: “E Dio disse…”

Comando: “Sia…”

Resoconto: “E fu così…”

Valutazione: “E Dio disse che era buono…”

Cornice temporale: “E fu sera, e fu mattina…”

Che peraltro non sono mai state usate tutte, ma sono disposte in modo da costituire parallelismi tra la prima e la seconda sezione. Sono poi usati due schemi evidentemente artificiali: lo schema delle opere in due serie corrispondenti di quattro, e quello della settimana, che dimostrano senza possibilità di dubbio che ci troviamo davanti più ad una pagina di poesia che di prosa, o, se si vuole, ad una parafrasi prosaica, probabilmente un riassunto di un antico testo poetico.

1° giorno: luce e oscurità – giorno e notte

2° giorno: atmosfera terrestre – il firmamento

3° giorno: separazione della terra asciutta dai mari – piante e animali

4° giorno: sole, luna e stelle – stagioni, giorni, anni

5° giorno: creature marine e uccelli

6° giorno: animali terrestri e umanità

7° giorno: portata a termine la creazione, Dio riposa.

Il quadro così molto schematico fa risaltare l’ordine della creazione. Nulla è lasciato al caso, ma tutto è ben organizzato e tutto procede come pensato dal Creatore.

Il primo atto creativo è la luce, anche se ciò che dà luce, il sole e la luna, non sono creati fino al quarto giorno. Il redattore ispirato non è preoccupato del fatto scientifico ma di un universo ordinato, e la luce è necessaria per vedere. Per il nostro redattore, la luce non è più proprietà degli dèi, ma un elemento del mondo creato. Dio denomina la luce “giorno” e le tenebre “notte”. Di conseguenza non è lecito pensare che la Bibbia abbia inteso insegnare che Dio ha creato in sei giorni, e neppure in sei epoche. Non è stata la narrazione della creazione a dare origine alla settimana, ma la settimana ad offrire uno schema comodo per l’insegnamento.

Quest’insegnamento è ciò che ha valore permanente ed esso è ricco e profondo. Dio è unico. Tutte le cose, anche le più grandi, anche quelle venerate dagli altri popoli, come gli astri e gli animali, non hanno alcuna dignità divina. Tutte, pero, sono “un bene”, cioè corrispondono ai progetti di Dio, e, dunque, nessuna è male in se stessa.

Soprattutto la “coppia umana” è un bene, essa ha un destino superiore, e tutto il mondo è creato per essere il luogo e lo strumento della sua elevazione, perché l’umanità è “immagine somigliante di Dio”.

L’essere umano, caratterizzato dalla differenziazione sessuale, è incaricato di dominare il mondo.

Il riposo di Dio non è ozio, ma consiste nel governo del mondo ed è qui che entra in scena l’umanità, uomini e donne, come aiutanti di Dio e quindi loro immagine. Questo significa che l’immagine di Dio si realizza nell’uomo non perché egli lavora, ma a condizione che il suo lavoro si svolga in modo tale che lo avvicini a Dio. In effetti, accetta di lavorare insieme con Dio secondo i suoi disegni d’amore, di cui il culto sabbatico era un segno e memoria.

Il Libro della storia di Dio con gli uomini, deve aprire anche gli anni della storia degli uomini con Dio.

La mappa della creazione secondo Dio e secondo l’uomo.

Il significato profondo di quest’inno d’introduzione solenne è salvifico. Il popolo d’Israele scopre la potenza di Dio come creatore non nel fatto stesso della creazione che si perdeva nell’ombra della misteriosa antichità, ma nell’esperienza dell’azione di Dio che incessantemente operava la creazione d’Israele come suo popolo: se Dio ci salva, significa che è Dio creatore. E se Dio è creatore significa che può e vuole salvarci. Questo è il fondamentale atto di fede della Bibbia.

In questi capitoli non vi è tanto un secondo racconto della creazione, quanto piuttosto, prima la narrazione della formazione dell’uomo (distinta da quella del mondo, e che non è veramente tale se non con la creazione della donna, cap.2,4b.8.18-24), e poi un racconto sul paradiso terrestre perduto (2,9-17), la caduta e il castigo (3,1-24).

Di tutto ciò l’unica fonte è la Rivelazione. Essa ha guidato l’intuizione sapienziale dello Jahwista, il quale, meditando sul triste stato del popolo e sulla costante bontà e fedeltà del Dio Salvatore, ha compreso che tutto ciò era legato ad una situazione originale, che egli poi descrive usando liberamente alcune idee mitiche, purificate accuratamente del loro sottofondo politeistico e ciclico, tipico del suo mondo culturale ( giardino degli Elohim. L’uomo tratto dall’argilla, la derivazione della donna dall’uomo, convivenza con gli animali; alberi della vita e della sapienza, il serpente, le vesti, i cherubini, la spada sfolgorante).

Tutto questo materiale è stato organizzato sotto un concetto teologico unitario mirante a mostrare come tutti i mali della storia umana (vergogna , paura, concupiscenza, dolori del parto, desiderio concupiscente della donna per l’uomo, dominio brutale dell’uomo sulla donna, fatica, ostilità del serpente, morte, idolatria), cioè il caos etico di questo mondo, era stato causato da un peccato d’origine.

Dio che aveva liberato il mondo dal caos cosmico (cap.1 tradizione sacerdotale) lo aveva liberato anche dal caos morale ( cap.2 unito al cap.1). Ma l’uomo con la sua superba autonomia ha preteso di costruire la storia da solo senza Dio, erigendosi a criterio unico di ciò che è bene e di ciò che è male, e in questo modo ha fatto progredire la cultura materiale, ma ha fatto regredire la morale e la pace con Dio e con gli uomini (capp. 2-3).

La formazione dell’uomo.

Con un linguaggio ingenuo, ma non superficiale, che per la sequenza delle azioni divine usa quattro verbi antropomorfici, “plasmare”, “soffiare”, “piantare”, “collocare”, lo scrittore sacro presenta l’uomo come “polvere”, poiché l’esperienza elementare faceva costatare che dopo la morte l’uomo si riduceva in polvere. Però era una polvere che respirava.

L’arcano di questo respiro, che lo distingue da quello degli animali, che pure respirano, è che esso viene direttamente da Dio. Vi è, dunque, qualcosa nell’uomo che lo accomuna alla natura, ma anche qualcosa che lo apparenta con Dio.

Questo soffio che mette l’uomo in rapporto con Dio è detto altrove “spirito”, oppure “anima”, quando si vuole indicare questo elemento arcano come presente nell’uomo.

L’uomo, presentato così come respiro e polvere, non è tanto un composto, quanto un’unità complessa, che agisce seguendo l’uno o l’altro aspetto del suo essere.

E’ chiamato “Adamo” perché preso da “adamah”, che in ebraico significa suolo coltivato. La Bibbia, dunque, parla dell’uomo in quanto tale, e afferma che esso ha da una parte una connessione con le realtà terrestri, con la materia, che perciò non è la sua prigione, e dall’altra uno speciale rapporto con Dio (2,4-9).

La condizione originale dell’uomo – Il giardino.

Questo rapporto è ancora più speciale perché l’uomo, creato nel suolo, è trasportato nel “giardino” ( noi lo chiamiamo “paradiso” da una parola persiana), colmo di ogni acqua e di ogni albero; e, poi, dopo il peccato, è di nuovo rimandato nel suo suolo.

Attraverso questo spostamento locale si vuole fare presentire la destinazione dell’uomo ad un orizzonte più grande di lui, dove ha la reale possibilità di accedere “all’albero della vita”, che è un simbolo di Dio, il Vivente per eccellenza.

La narrazione più che presentare uno stato di felicità primitiva, una specie di età dell’oro, cronologicamente e spazialmente esistita, presenta la destinazione finale, “escatologica”, alla quale Dio ha destinato Adamo, l’Uomo, e che sarà rivelata pienamente da Gesù, il Figlio vivente di Dio, alla cui vita siamo chiamati a partecipare (2,10-17).

La formazione della donna.

E’ un racconto ampio e particolareggiato dell’origine della donna, che non si trova altrove nella Bibbia né in altre letterature antiche. E già questo è espressivo per comprendere il posto della donna nella storia della salvezza secondo il pensiero biblico.

La scena narrativa è successiva all’origine dell’uomo, ma non nella realtà. Essa è un mezzo letterario che permette all’autore di porre in risalto con un linguaggio drammatico l’identica dignità della donna, il rapporto dei sessi e la relazione d’amore.

Gli animali sono la prima possibilità offerta all’uomo per superare la sua incompletezza; è la possibilità offerta dalla scienza, dalla tecnica, dal mondo. Ma è insufficiente. Solo la donna “può stare di fronte” all’uomo come sua perfetta controfigura, perché costruita dalla sua stessa vita.

Infatti, il termine ebraico, che si traduce con “costola”, corrisponde anche foneticamente all’ideogramma numerico TI (L), che ha il duplice significato di costola e di vita, il che spiega facilmente in quanto il sollevarsi e l’abbassarsi ritmico delle costole è indizio della vita.

Per di più esso offre il modulo per indicare la nascita. Gli studiosi citano questo breve dialogo che si svolge tra il dio Enki, che si lamenta di un forte dolore al fianco, e la dea Ninhursag:

Fratello mio, che cosa ti fa male? –
Mi fa male la costola. Alla dea Nin-ti…ho dato vita per te” –

In questa collocazione culturale la scena un po’ misteriosa dell’origine della donna significa allora questo: la donna ha la stessa scintilla di vita che è presente nell’uomo.

Il primo canto d’amore dell’umanità vibra di questa felicità dell’incontro, di due uguali che si riconoscono, e può essere tradotto in due modi: “Costei è osso tratto dalle mie ossa e carne della mia carne”, oppure: “Costei è osso più che le mie ossa e carne più che la mia carne”.

Nel primo caso l’uomo ravvisa nella donna una parte di se stesso; nel secondo vede il lei il congiunto più stretto di qualsiasi parente. In ogni caso la donna è presentata, si direbbe, come “uomo” in carne ed ossa! Difatti è chiamata “ishsha” da “ish” (uomo).

Uomo e donna sono due “cose” successivamente avvenute nel mondo, ma le due facce di questa realtà nuova nel mondo, che è la persona umana.

Vi è in tutto questo una concezione altissima del rapporto sessuale e del matrimonio, l’affermata parità assoluta dei sessi, la necessità reciproca e la comunione profonda. Il “simile” dell’uomo, cioè la donna, è qualcosa di alto, di qualificato, di grande tanto quanto l’uomo, e niente può cancellare quel rapporto profondo, intimo, interpersonale che si stabilisce tra i due, neppure i motivi tribali: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre…”. Il matrimonio è veramente qualche cosa che non può essere cancellato da nessun’altra imposizione sociale. Se, poi, si riprende il significato del verbo “uscire” nel suo senso biblico, bisognerebbe affermare che il matrimonio è una vocazione, come tutte le vocazioni che sono sempre un “partire”. Così la donna è proposta non solo come l’esempio fondamentale del dialogo, ma anche come la radice delle nuove comunità che si diffondono sulla terra. Perciò nel terzo capitolo, sarà chiamata “Eva”, in altre parole “vivente (2,18-25).

Il Libro della Genesi – Indice