Rilievi critici sulle interpretazioni del discorso della montagna

In alcune delle interpretazioni considerate nel capitolo precedente sono contenuti elementi di verità, ma ad un esame approfondito si rivelano tutte parziali o addirittura completamente errate.

La teoria perfezionistica fa senz’altro delle osservazioni giuste. Il discorso della montagna riguarda davvero la volontà di Dio e contiene davvero richieste precise. Gesù dice ciò che s’aspetta dai suoi discepoli: “Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo prudente” (Nt.7,24). E’ esatto affermare che Gesù era radicato nel suo tempo o, meglio, che Gesù e il tardo giudaismo erano entrambi radicati nell’A.T. Ma l’intero discorso della montagna, e con particolare chiarezza Mt.5,21-48 e 6,1-18, si trova piuttosto in consapevole, netto contrasto con la religiosità rabbinico-farisaica. Anzi Gesù osa addirittura opporsi alla Torah. La critica che egli esercita contro la Torah è bestemmia agli orecchi dei suoi contemporanei, e ciò significa rottura con la religiosità giudaica. Non è quindi tanto semplice inserire il discorso della montagna nell’ambito del tardo giudaismo, perché Gesù non era per niente uno dei maestri della legge e dei predicatori di saggezza del suo tempo: il suo annuncio ha anzi infranto gli schemi del giudaismo.

Non si può legittimamente sostenere che le richieste di Gesù siano rivolte solo ad una ristretta cerchia di persone. Il discorso della montagna presenta, infatti, le condizioni necessarie per entrare nel regno dei cieli e ha quindi validità universale. Non è una regola “monastica”, i “consigli” sono dispensati a tutti. Non entra nel regno dei cieli chi non compie la giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei.

Per quanto riguarda la terza teoria, si deve affermare che in nessun versetto del discorso della montagna si fa allusione a una simile interpretazione. Nessuna parola di Cristo offre l’occasione per una simile teoria interpretativa. In nessuna parte vi sono riflessioni sull’inettitudine dell’uomo a compiere la volontà di Dio; al contrario, Gesù si attende che i suoi discepoli attuino ciò che egli chiede. Il carattere vincolante delle sue richieste non può essere facilmente negato. Gesù contrappone alla legge mosaica dell’A.T. una nuova legge che gli ascoltatori dovevano intendere allo stesso modo dell’antica come un reale comando. Con particolare evidenza lo rivela il finale del discorso della montagna. Le quattro serie d’immagini della porta stretta e di quella larga, dell’albero buono e di quello cattivo, degli uomini davanti al trono di Dio nel giudizio finale e della casa costruita sulla roccia e sulla sabbia (Mt.7,13-27).

La teoria dell’etica interinale sostiene, come si è visto, che il discorso debella montagna contiene leggi d’eccezione, valide in un’epoca di crisi. Le parole del discorso della montagna sono un incitamento ad una tensione estrema delle forze prima della catastrofe, un ultimo invito alla penitenza, prima della fine. Si deve però affermare che in esso non troviamo proprio nulla degli spasimi di un’estrema tensione delle forze. Essa non è etica dell’ultima ora, non sfogo di uno stato d’animo da fine del mondo; l’etica di Gesù non è espressione dell’angoscia che precede la catastrofe. Al contrario in Gesù è predominante un altro sentimento: egli sa che la salvezza è presente. Le esigenze radicali di Cristo non rappresentano un’etica interinale. Chi legge senza preconcetti il discorso della montagna non ne riceve quest’impressione: non c’è traccia di una restrizione dei comandamenti di Gesù ad un tempo breve e non si accenna all’imminenza della fine del mondo.

A proposito della quinta interpretazione si deve assicurare che Gesù non s’interessa soltanto all’intenzione, ma vuole che le sue richieste vengano intese come veri precetti da tradurre in pratica. Egli si presenta affermando di interpretare autoritativamente la volontà di Dio (“Io però vi dico…”) e sviluppa questa volontà in comandamenti singoli. Gesù non era soltanto un uomo interiormente infiammato, con un’insuperabile sensibilità per la più pura moralità e pietà interiore.

La soluzione politico-sociale non sta in piedi per il suo carattere utopistico: non tiene conto della potenza del male e inoltre la negazione e la distruzione dell’ordine legale non è il mezzo adatto per organizzare la pace. E’ errato interpretare il discorso della montagna come il progetto, da mettere in atto alla lettera, di un nuovo ordine sociale, che vanifichi il potere statale e l’ordinamento giuridico. E’ ovvio che esso non va interpretato in chiave meramente privata, applicandolo soltanto alle relazioni personali e familiari, ma neppure va dilatato fino a farne un programma sociale.

La benevola esegesi dell’ultima interpretazione è insostenibile, poiché quanto Gesù dice o chiede presuppone manifestamente proprio situazioni di questo mondo. Nel mondo futuro non vi saranno processi, né vita matrimoniale, né inimicizie.

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