Quaresima: Lettera agli Ebrei

Cristo Pantocratore del duomo di CefalùCon la Lettera agli Ebrei si conclude il cammino del credente attraverso la storia alla ricerca del fondamento e della professione della fede. Tutto lo scritto, infatti, sta in tensione tra la memoria e il compimento delle promesse di Dio, in vista della costruzione di un progetto di vita cristiana.
Chi e quando l’abbia scritto resta un mistero. Un personaggio forse vicino a Paolo, come indicano tanti elementi, ma non l’Apostolo, né sotto la sua supervisione diretta.

Abbiamo infatti di fronte un’opera elegantissima, in cui le idee si susseguono serrate, non alla maniera emotiva e talora incomprensibile di Paolo, ma secondo una struttura per noi difficilmente ricostruibile che alterna esposizione dottrinale ed esortazione ai fedeli, tenendo al centro di tutto il sacrificio di Cristo,sommo sacerdote perché vittima.

Non si tratta neppure di una lettera, con ogni probabilità, dato che comincia senza indirizzo di saluto e simili. E’ forse un’omelia sinagogale, che l’autore scrisse e spedì a una comunità presso la quale non poteva recarsi di persona, come sembrano confermare le parole finali di saluto (13,22-25).

Chi ne era destinatario doveva avere una conoscenza fondata e sicura dell’AT, perché l’autore discute realtà del NT col linguaggio dell’AT attraverso un continuato processo di reinterpretazione.

Quanto alla struttura della lettera,seguiamo un processo di analisi del Testo che può sembrare artificiale. Tuttavia esso non pretende di ricostruire l’effettivo cammino seguito dall’autore,ma solo di dare la possibilità di seguire il discorso nelle sue linee fondamentali.

Probabilmente è utile tenere presente che il testo era destinato ad essere pronunciato e ascoltato, più che letto con gli occhi, tanto che i passaggi da una sezione all’altra sono dati dall’uso delle parole che si riprendono e riecheggiano.

c. 1, 1-4 Esordio di tono apocalittico con l’ascensione e l’intronizzazione del Figlio, compimento della Rivelazione e della salvezza. Successivamente la Lettera prosegue guardando il Figlio in tutta la sua complessità, un elemento dopo l’altro, nei suoi rapporti con la comunità dei credenti. Egli è l’intervento di Dio nella storia.

SEZIONE A 1,5-2,18 Esposizione: Cristo divino e umano
a)1,5-2,4 superiore agli angeli = divino
b)2,5-18 fratello degli uomini
attraverso una attenta rilettura dell’AT, l’autore espone quale sia
la complessa realtà di Gesù Cristo. A Lui vengono trasmessi il potere
e la figliolanza con un complesso rituale di intronizzazione in cui
entrano tutti i simboli di una regalità superiore (1,5-14).
Accanto a questo c’è un mistero di sofferenza e abbassamento,grazie
al quale può partecipare agli uomini di cui si è reso fratello, la
medesima gloria.

SEZIONE B 3,1-6,20 Esortazione: i cristiani devono essere fedeli e avere Speranza
a)3,1-4,13 Cristo è stato fedele a Dio in misura maggiore di Mosè
(ripresa del tema della divinità): questo è il fondamento
della fedeltà dei credenti
b)4,14-6,20 Cristo è fratello degli uomini e, come tale, fonte di
pietà(ripresa del tema dell’umanità)
L’attenzione viene concentrata su Gesù Cristo nella sua qualità di mediatore, grazie alla continuità ripresa degli stessi temi, che viene enunciata e descritta nella:

SEZIONE C 7,1-10,18 Esposizione: Cristo come sacerdote e la sua azione sacerdotale
a)7,1-28 identità del sacerdozio di Cristo = secondo l’ordine di
Melkisedek
b)8,1-10,18 azione sacerdotale = è entrato nel Santuario come il sommo Sacerdote nel Giorno delle Espiazioni e si è assiso
alla destra di Dio fondando un nuovo patto, grazie al suo
sacrificio (in particolare 9,1-28 e 10,1-18)

SEZIONE D 10,19-39 Esortazione:i cristiani devono vivere nella carità e compiere opere buone come risposta al sacrificio
sacerdotale di Cristo,amando nel contesto della comunità
cultuale (10,25)

SEZIONE E 11,1-13,21 Esposizione + Esortazione: fede,speranza e amore nel Contesto della storia della salvezza
a)11,1-12,2 la fede:una realtà oggettiva che indica l’invisibile
attraverso le testimonianze dei padri,fino a Gesù
b)12,3-29 la speranza:capacità di accogliere la correzione di
Dio come requisito per guadagnare il possesso di un
Regno incrollabile
c)13,1-21 l’amore:il rendimento di grazie a Dio nel culto che
coinvolge tutta la condotta
13,22-25 ultimi saluti.

Abbiamo anticipato che la Lettera ruota attorno al sacrificio di Cristo e raccoglie e dà la chiave di spiegazione di tutti gli interventi di Dio nella storia.

Egli è il Tempio di irradiazione della vita cristiana,come si vede dalla sezione D e E. La lunga e complessa descrizione di tale sacrificio può essere forse illuminata da alcuni passi del trattato ebraico MISNA’ YOMA’, sul Giorno delle Espiazioni descritto in Lv.16; il giorno era considerato di tale importanza che lo si chiamò appunto Yomà cioè Il Giorno: in esso, come già sappiamo, il Sommo Sacerdote compiva l’Espiazione per sé e per il popolo.

L’accostamento di tale tradizione ebraica con il testo del NT dovrebbe aiutarci a raccordare tra loro ciò che il Signore anticipò nell’AT e come Egli lo compì nel NT.

Consideriamo anzitutto il rito sui due capri, dopo che su di essi è stata tratta la sorte;chi compie i vari gesti è il Sommo Sacerdote:
“Egli legava un filo di lana scarlatta sulla testa del capro espiatorio e lo girava secondo la direzione della via per la quale lo si sarebbe mandato;al capro che doveva essere ucciso legava un filo attorno alla gola. Andava al suo giovenco la seconda volta,gli imponeva le mani e faceva la confessione. Era solito dire così: O Dio,ho commesso iniquità, ho trasgredito e peccato davanti a te, io e la mia famiglia e i figli di Aronne, tuo santo popolo, come è scritto nella legge del tuo servo Mosè: “questo giorno farai espiazione per purificarti: da tutti i tuoi peccati ti pulirai di fronte al Signore” (Lv.16,30). Ed essi rispondevano dopo di lui: Benedetto il nome della gloria del suo regno adesso e per sempre!”

Poi il sacerdote uccide il giovenco su cui ha confessato le colpe; notiamo la preoccupazione di mantenere liquido (=vivo) il sangue della vittima:
“Egli uccideva il giovenco e raccoglieva il sangue in un bacino: poi lo dava a uno che doveva agitarlo sul quarto rialzo del santuario perché non si rapprendesse”.

Poi il sacerdote procede all’incensazione dell’Arca, entrando oltre il velo tra il santuario e il Santo del Santi:
“Quando raggiungeva l’Arca metteva l’incensiere tra le due sbarre, spargeva l’incenso sui carboni e tutto l’ambiente era pieno di fumo. Usciva da dove era entrato e nello spazio esterno diceva una breve preghiera. Ma non la prolungava per non fare cadere Israele nel Terrore”.

L’operazione è ripetuta col sangue del giovenco:
“Egli prendeva il sangue da colui che lo teneva vivo ed entrava nel luogo da cui era entrato e si fermava di nuovo nel luogo in cui si era fermato. Spruzzava il sangue una volta in alto e sette volte in basso, ma come con lo schioccar di una frusta”.

Immediatamente dopo,il Sacerdote uccide il capro e ripete la stessa operazione col sangue di questo. Il rito era minuzioso e andava eseguito secondo l’ordine prescritto, sennò si doveva ricominciare.

Esso tuttavia doveva essere eseguito con una certa rapidità,come si è visto. Successivamente l’altro capro era caricato dei peccati e, con molte precauzioni, spinto nel deserto.

Quello che tuttavia ci preme qui è vedere come l’autore di Ebrei ha riferito al Cristo questo complesso rituale e a che scopo.
Se facciamo attenzione,egli riprende questi gesti singolarmente, in 9,6 e fa notare che Gesù Cristo non ha fatto che avvalorare i gesti della Tradizione, compiendoli in un’altra dimensione.
Teniamo presente che prima l’autore si è preoccupato di definire Gesù Cristo,quanto è più possibile, nel suo mistero divino ed umano.

Egli perciò non ha smentito la tradizione che gli uomini conoscevano e che lo Spirito Santo aveva loro dettato (9,8) ma,essendo divino-umano, l’ ha vissuta definitivamente e ha stabilito l’Alleanza irripetibile.

Infatti: entrò una volta sola per la sua morte (9,12.26); con sangue vivo,ma suo; garantendo una riconciliazione da non ripetersi ogni anno, ma che garantisce i beni a venire (9,11.15.26); dato che entrò nel santuario del cielo (=ascese) e in questo ha concluso la sua offerta e la sua gloria (8,1-2; 9,24; 10,12.14) sorpassando il velo del suo corpo (10,20).
Dunque: sacerdote perché vittima, egli realizza le promesse e garantisce l’alleanza definitiva.

La comunità che nasce da questa partecipazione è descritta nei capitoli successivi come capace di realizzarsi solo su un piano di cultualizzazione di ogni aspetto della vita: nella persecuzione, nell’assemblea, nei rapporti tra fratelli (10,24-25; 12,3 ss.).
Amen, alleluia, amen.

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