Avvento: Deuteroisaia


Cimabue - Caduta di BabiloniaNon si può dare un nome o un volto al Profeta a cui dobbiamo i capp. 40-55 del libro di Isaia; lo chiamiamo Deutero (=secondo) Isaia, ma con questo non diciamo nulla di lui. Pare anzi molto significativo che non ne sia rimasto neppure il nome, quasi a voler mettere in luce che ha valore il suo messaggio e non i dettagli personali.

Anche dal suo modo di scrivere si capisce poco di lui: parrebbe un pio israelita che dà all’annuncio il tono dell’inno sacro, riprendendo un tema che è tipico del Deuteronomio: l’infedeltà genera maledizione, ma la salvezza di Dio converte la maledizione in benedizione; anzi, la benedizione e il bene sopravanzano di gran lunga la maledizione e la sofferenza.

Partendo quindi dal ricordo dell’Esodo dall’Egitto e delle promesse che gli sono legate, il Profeta rammenta, di fede in fede, che il Signore, superando ogni aspettativa nel bene, invita l’uomo a tornare dall’esilio verso di lui, senza pensare al passato: la salvezza che ora il Signore offre non ha precedenti nella storia del popolo.

Il fatto che in questi capitoli si alluda più volte alla caduta di Babilonia e a Ciro, re di Persia, che ne fu la causa, fanno pensare che questo profeta sia vissuto alla fine dell’esilio.

Se riprendiamo in mano la tabella cronologica che avevamo abbozzato parlando del Protols, bisogna continuarla e completarla in questo modo:

nel 598 c’è la prima ondata di esiliati che viene portata in Babilonia da Nabikodonosor; Sedecia rimane re di Gerusalemme, benché vassallo dei babilonesi, fino al 587 anno in cui egli è sconfitto, dopo aver tentato di ribellarsi. E’ la fine vera e propria del regno di Giuda. Gerusalemme è presa, il Tempio distrutto, il re catturato.

C’è una seconda deportazione (582-581).

In questo periodo sono attivi due profeti: Geremia, che è rimasto tra le rovine di Gerusalemme con gli scampati, ed Ezechiele, che ha seguito i deportati a Babilonia. A questi due profeti bisogna ricorrere per avere notizie di quegli anni, assieme a 2 Re capp.24 e 25.

L’esilio dura per gli Ebrei finché Babilonia resta potenza politica più grossa del mondo antico. Verso il 555 Ciro diventa re di Persia e comincia con successo una politica di forza. Nel 539 la sua potenza è tale che si impadronisce di Babilonia e nel 538 emana l’editto di cui parlano 2 Cron. 36,22-23 ed Esd. 1,1-4 che permette agli Ebrei di tornare in patria.

Certo qui bisognerebbe fermarsi per investigare come l’AT giustificò questa terribile prova dell’esilio che il popolo subì e perché mai i re antichi adottavano questa tattica di deportare i popoli conquistati, almeno nelle loro classi dirigenti.

Il discorso però ci porterebbe troppo lontano. Ci limitiamo semplicemente ad accennare che nel rapporto “Dio-popolo” visto come patto tra un re potente e il suo vassallo, stipulato per pura condiscendenza del re potente, l’inadempienza alle clausole del trattato (nel nostro caso sono le Dieci Parole di Es.20,1-21 e Dt. 5,1-22) da parte del vassallo, mette in azione le maledizioni elencate in Dt. 28,15-68.

Il DeuteroIs. Che operò a partire forse dall’anno 550, sentendo prossima la fine dell’esilio, sente la vocazione di annunciarla, e quindi inizia a consolare il popolo di Dio, con una serie di benedizioni di pace e di gioia che superano quelle contenute nel patto primitivo e che troviamo in Dt.28,1-14.

Ecco perché il Profeta è così tenace nell’insistere sulla novità di quanto il Signore va facendo rispetto al passato, ed è soprattutto pronto a far coincidere due fatti in sé differenti: creazione e liberazione. Per lui infatti il Signore è creatore del mondo e creatore di Israele, popolo che egli sceglie e riscatta, chiamandolo alla vita nella sua realtà di creatura dipendente da Dio (Is.43,1.7.15; 44,2.212; 45,11-13), proprio perché Dio lo ama, lo sceglie, lo libera e in questo lo plasma.

Una lettura attenta fa cogliere anche che questa liberazione è considerata esemplare dal Profeta, non solo nel senso che supera ogni atto salvifico di Dio nel passato, ma anche nel senso che essa è come il prototipo di goni intervento futuro.

Creazione ed elezione sono poste sullo stesso piano: il popolo la cui storia pareva finita con l’esecuzione della minaccia dell’esilio, è ora segno della novità che il Signore porta nella storia e che, oltre a essere segno dell’amore fedele del Signore per il suo popolo (43,4), è segno di novità per tutti i popoli attraverso Israele stesso (43,10; 55,4).

C’è una consolazione di Dio che è per tutti e che nessuno aspettava.

Il libro si potrebbe strutturare così:

capp. 40 vocazione del Profeta, definito consolatore del popolo perché custode della parola salvifica di Dio, e annuncio della liberazione;
capp. 41 annuncio di salvezza per Israele: Dio è il suo vendicatore di sangue (v.14); notiamo in particolare:
vv.17-20 la nuova salvezza è un prodigio più grande dell’esodo dall’Egitto e
vv. 25-29 la liberazione di Dio avviene attraverso uno strumento umano: Ciro, re dei Persiani;
capp.42 vv.1-9 primo canto del Servo del Signore; seguono annunci di salvezza, eccettuati i
vv.18-25 che sono forse fuori posto.
capp.43 ancora oracoli di liberazione; ai
vv.16-21 si riprende il tema di un esodo più grande del primo.
capp.44 ha come tema fondamentale quello del monoteismo e del ritorno/conversione.
capp.45 esaltazione della grandezza e della sovranità di Dio; notiamo vv.1-5 in cui Ciro è presentato come l’Unto del Signore.
capp.46 vv.1-4 annuncio della caduta di Babilonia attraverso la fine dei suoi dei; vv.5-13 il Dio di Israele si confronta con gli dei di Babilonia.
capp.47 lamentazione su Babilonia.
capp.48 tutto il capitolo riafferma la signoria di Dio su Israele e sulla storia; notiamo i vv.12-16 su Ciro.
capp.49 vv.1-6 secondo canto del Servo; vv.7-26 canto per il ritorno dall’esilio
capp.50 vv.1-3 il Signore spiega a Israele da dove venga la sua tribolazione vv.4-9 terzo canto del Servo vv.10-11 esortazione ad ascoltare la voce del Signore.
Dai capp.51,1 a 52,12 diversi oracoli dove si parla del risveglio del Signore e di Gerusalemme.
Dai capp.52,13 a 53,12 quarto canto del Servo.
Capp.54 oracoli sulla rinascita di Gerusalemme.
Capp.55 descrizione del nuovo patto che Dio sta per fare col suo popolo; in esso la benedizione soppianta la maledizione con una promessa di gioia e di pace.

Benché il messaggio del DeuteroIs. Abbia un’estensione piuttosto limitata, è molto denso; esso però si raggruppa attorno ad alcune idee chiave:

a) abbiamo visto che il ProtoIs. Attribuisse a Gerusalemme il valore di segno e di memoriale, agli occhi del popolo, della salvezza che viene da Dio; rifacendosi alla tradizione del pellegrinaggio che ogni pio israelita compiva a Gerusalemme, il DeuteroIs. Vede ancora nella città un segno di salvezza ( è la meta del ritorno del popolo) a cui ascendere, ma che non è per gli israeliti soltanto.

Rileggiamo Is.49, 51 e fino a 52,12: chi salirà a Gerusalemme e a che condizioni? Chi è Gerusalemme per il Signore, che tipo di rapporto ha con lui (Is.54)? Si può dire che c’è come un parallelismo tra la Gerusalemme di Is.54 e il Servo descritto da Is.52,13-53,12?

b) in diversi luoghi il DeuteroIs. Descrive il patto tra Dio e il popolo come un rapporto familiare (padre/figlio, sposo/sposa), in questo seguendo la tradizione di un Profeta vissuto prima dell’esilio, che nella sua vita di famiglia aveva visto come in parabola la storia degli israeliti. Qual è questo Profeta e che altri legami ha col DeuteroIs.?

c) un discorso tutto a parte meritano i quattro canti del Servo, attraverso i quali DeuteroIs. Tratteggia il ritratto dell’Unto del Signore. Che funzione ha questo servo: re o profeta o ambedue le cose? Si affaccia tra l’altro l’idea di un servo che è mediatore sofferente: è una persona sola? È il Profeta o un Profeta? È tutto il popolo?

Che missione ha questo Servo: rivolta al popolo soltanto o universale? Gesù Cristo presenta più volte se stesso come questo Servo: cerchiamo nel NT i passi in cui i due personaggi sono legati assieme e vediamo come siano legati.

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