STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTO

DOMINAZIONE ROMANA cap.3

La predicazione

 

E’ in tale ambiente molto concreto e per questo assai composito che si sviluppa il “Vangelo, in altre parole l’annuncio di Cristo e della salvezza da lui portata, quella predicazione che dal kerigma passa alla catechesi, dall’annuncio della resurrezione si estende poi alle fasi della vita di Cristo, dalla pura forma orale arriva gradatamente alla forma scritta delle opere neotestamentarie.

La predicazione, procedette di pari passo alla meditazione e comprensione del mistero cristiano e allo sviluppo della Chiesa, ma contemporaneamente n è anche influenzata e condizionata. Possiamo comprendere meglio il problema seguendolo nelle sue tre fasi.

Prima fase, quella della predicazione orale, bisognosa di una riflessione particolare.
Premetto anzitutto che se, sulla bocca di Cristo, “vangelo” significa l’annuncio che lui stesso andava proponendo, ora nella Chiesa sta ad indicare quanto si va dicendo su Cristo; nel primo caso Gesù era il soggetto, nel secondo è l’oggetto della predicazione.

Tuttavia in ambedue i momenti la presentazione di Cristo, delle sue parole e delle sue opere, rispondeva per natura sua non a preoccupazioni storico-cronachistiche nel senso di semplice informazione circa le sue varie esperienze; il Cristo si presentava ed era presentato come essere vivente, attuale, principio di salvezza che “hic et nunc” ognuno era chiamato a far proprio. Si trattava non di conoscere un personaggio storico sia pure grandissimo, bensì di “riconoscerlo” e di “seguirlo”. Si faceva appello alla mente e al cuore degli interlocutori perché accettassero la realtà di Gesù, presente e risorto, in ogni caso sempre presente nella storia per salvare l’uomo. 

Se ci si appellava ai fatti, era per motivi di fede, in pratica per ragioni apologetiche, missionarie, apostoliche. Le vicende storiche erano al servizio della fede. Questa è sempre stata l’ispirazione essenziale, dal principio alla fine; essa ispirerà pure gli scritti neotestamentari i quali, più che un resoconto storico nel nostro senso moderno ( di racconto completo, ordinato, oggettivo e imparziale), sono una predica sul mistero di Cristo e della Chiesa destinato a interpellare tutte le generazioni umane di ieri, di oggi e di sempre.

Già il tempo, però, doveva lasciare le sue impronte sulla predicazione. Se non altro perché i testimoni di Cristo, per così dire abbagliati in un primo tempo dal fatto straordinario e meraviglioso della resurrezione di cui si sentivano testimoni autorevoli di fronte al mondo, dovevano percepirne tutta la portata man mano che riuscivano a collegarlo con tutto il resto della vita terrena di Gesù. La resurrezione richiamava la passione e morte; ma quest’ultima doveva avere la sua giustificazione storica poiché Gesù aveva detto e fatto in seno alla sua comunità ebraica; inoltre la continuità di Gesù, della sua persona, portava la presenza del “mistero” di Cristo fin dalla sua infanzia. Infine non si era Gesù presentato quale profeta che continuava il messaggio salvifico proveniente dal fondo dell’A.T.?

In tal modo la presentazione di Cristo attraverso la predicazione ha percorso un cammino a ritroso nella storia: dalla resurrezione è giunta ad abbracciare progressivamente anche le fasi precedenti della sua esperienza terrena e dal N.T: è pervenuta, attraverso un periodo di riflessione presumibilmente abbastanza lungo, all’intelligenza profonda dell’A.T., nonché alla sua applicazione a Cristo.

Ma una predicazione siffatta, appunto perché legata sia alla vita concreta di Gesù come anche agli uomini cui era rivolta in vista di una loro adesione di fede, era destinata a subire i contraccolpi delle situazioni concrete nella quale si svolgeva. Per non rimanere astratto e accademico, il meditare continuo dei predicatori, il loro richiamo a Cristo e all’adempimento delle >Scritture, doveva iniziare dalle circostanze concrete che coinvolgevano tutti. 

Cito, tra le molte, quelle più evidenti:

  1. La necessità di un’autorità che assicurasse l’unità di fede e di vita. Questa sta alla base dell’accentuazione dell’autorità conferita da Cristo agli apostoli e della legittimità di una loro successione;
  2. La polemica con gli Ebrei rimasti attaccato al regime dell’A.T. e ai suoi rappresentanti ufficiali. Da qui la polemica con il Giudaismo, con Scribi e Farisei, che rimarrà tanto evidente nei Vangeli;
  3. Il problema dell’evangelizzazione dei pagani, della loro libertà di fronte alla Legge; sarà questo a rilevare nei vari atteggiamenti e nelle parole di Gesù quanto l’apertura della Chiesa verso di loro;
  4. La determinazione del comportamento da tenere nei riguardi del mondo pagano, ostile, e nei confronti delle autorità civili pure pagane. Anche questo a far rimeditare sotto un nuovo profilo l’insegnamento di Gesù;
  5. Di fronte a problemi simili appaiono di secondo ordine molti altri determinati dalle esigenze interne della prima comunità cristiana. In ogni caso non poteva essere uguale un discorso necessariamente Kerigmatico a un altro di tipo catechistico; non era possibile annunciare Cristo a gente proveniente dall’ebraismo o dal paganesimo in termini identici: diverse erano le motivazioni di un appello alla loro coscienza religiosa; lo stesso pubblico che ascoltava i predicatori si trovava di volta in volta in situazioni diverse: una liturgia comunitaria, un evento pubblico o privato, un momento di particolare gioia o al contrario di sofferenza o di incertezza; un discorso condotto metodicamente, continuato. Doveva essere impostato secondo criteri diversi da quello fatto estemporaneamente, ecc;
  6. Un ultimo esempio: il mondo esterno non ha offerto solamente dottrine e usi di fronte ai quali la Chiesa dovesse distinguersi prendendo le debite distanze. Molto spesso ha presentato dei valori che andavano salvati, sviluppati, armonizzati col dato cristiano. La predicazione doveva tenerne conto. Anche se in questo settore riesce a tutt’oggi difficile determinare con esattezza l’apporto del mondo esterno, è chiaro che parecchie sfumature del messaggio cristiano rivelano un’origine ebraica (apocalittica, essenza, rabbinica, ecc…) o ellenista (stoica, misterica, ecc…)

Seconda fase: è quella del passaggio graduale dal Vangelo orale a quello scritto. Era naturale che, allargandosi a dismisura e il numero dei predicatori e le occasioni dei predicazione, nascesse la necessità pratica di ricorrere a qualche promemoria, di fissare quel che si poteva o doveva dire in certe occasioni in base ai vari temi da trattare. Col passare del tempo era sempre più difficile attingere ai ricordi personali o dei testimoni diretti che si conoscevano, mentre urgeva la necessità di rifarsi a qualche fonte scritta. Si spiega in questo modo la nascita di scritti parziali concernenti la passione e morte di Gesù, i suoi discorsi, le parabole da lui pronunciate, i miracoli operati, o le vicende della sua infanzia. Oggigiorno poi non li abbiamo più; tuttavia ne abbiamo un segno visibile nel vangeli, nei quali tali blocchi non sono riusciti a dissolversi.
D’altra parte una fissazione scritta di tal genere, che “strappava” ogni detto o azione di Gesù dal suo ambiente naturale per rimetterlo in un ambiente letterario nuovo, faceva perdere loro i contorni storici concreti destinati ad essere sostituiti con affermazioni generiche, di maniera. Senza tener conto che, arrivati sulla carta attraverso la ripetizione orale di parole diventate “stereotipe”, questi dati hanno assunto uno stile appartenente più alla predicazione che a quello dei protagonisti iniziali.

Terza fase, è quella della composizione delle opere scritte del N.T. Dobbiamo anzitutto premettere che tutte, dal primo Vangelo alla Apocalisse, costituiscono il proseguimento della predicazione Apostolica della Chiesa la quale, attraverso i suoi scrittori ispirati, continua a chiamare gli uomini al Regno di Dio, alla conversione, alla salvezza da raggiungersi attraverso la fede in Gesù Cristo.
Composte tutte non a tavolino, nella quiete di uno studio, bensì nel vivo dei problemi che assillavano la Chiesa ed i singoli fedeli, non hanno intenti culturali, di conoscenza teorica della verità, bensì la preoccupazione di una sua interpretazione salvifica. Sono delle vere e proprie “prediche”, o “testimonianze”, con le caratteristiche proprie di tale letteratura.

Esaminiamole brevemente:

Le opere storiche, (4 Vangeli e Atti di Apostoli). Viste nella prospettiva della predicazione, costituiscono il prolungamento della voce stessa di Gesù e della Chiesa primitiva. In lei i quattro uomini di fede, Matteo, Marco, Luca e Giovanni, intendono proclamare al mondo il mistero di Cristo così come loro l’hanno sperimentato. Il materiale storico, pervenuto loro o da un’esperienza diretta di Gesù, oppure attraverso la predicazione della comunità cristiana, lo modellano e compongono in modo da esprimere il loro personale sentire.
MATTEO sottolinea il rapporto che corre tra Gesù e la fede ebraica e illustra come egli sia venuto ad adempiere L’A.T. e, nel medesimo tempo, a giudicare gli ebrei per la loro infedeltà verso la loro religione. Nessun altro vangelo denuncia con tanta energia l’ipocrisia degli scribi e farisei. Gli ebrei, chiamati a vedere in Gesù il Messia promesso, il Figlio di Davide, vengono condannati perché non sono stati capaci di farlo. Matteo presenta Gesù soprattutto come maestro e ordina in maniera sistematica il suo insegnamento relativo alla vita interna della Chiesa e alla sua missione evangelica.
MARCO presta maggiore attenzione all’attività che non all’insegnamento e sottolinea come Gesù insegnò ai discepoli che il Figlio dell’Uomo doveva soffrire e venir rigettato e che essi dovevano prepararsi a percorrere la medesima via. Chi cerca di vedere in Gesù altro dal Salvatore crocifisso lo fraintende. Gli ebrei si aspettavano nel Messia un capo politico e una figura gloriosa; per questo hanno trovato difficile riconoscere Gesù come Messia, perché egli scelse il sentiero del servizio umile e della sofferenza, riservandosi di apparire come re della gloria alla seconda venuta.
LUCA pone l’accento sui benefici della salvezza portata da Gesù, ricorda i segni della venuta del Messia profetizzati nell’A.T. e li vede realizzati nella predicazione del vangelo ai poveri e ai bisognosi e nelle guarigioni dei malati operate dal Signore. In particolare descrive la grazia di Dio rivelata in Gesù e concessa a quanti ne sembrano apparentemente i meno degni: donne peccatrici ed esattori rapaci; grazia significa infatti che nessuno può far qualcosa peer meritarla.
NEGLI ATTI DI APOSTOLI continua poi la sua predica, dimostrando come la volontà salvifica di Gesù si sia realizzata nella storia, grazie alla forza del suo Spirito, e difendendo il suo maestro Paolo dalle accuse dei giudaizzanti.
GIOVANNI ci rivela Gesù come colui che è stato inviato da Dio Padre nel mondo per esserne il Salvatore. In quanto Figlio, egli possiede l’autorità del padre e vive in stretta comunione con lui. Giovanni penetra a fondo le cose rivelate da Dio e illustra il significato eterno del “Dio – fatto – uomo”.
In complesso abbiamo opere diverse, scritte per la stessa intenzione fondamentale ma legate ciascuna ad una problematica e ad una finalità diversa, giustificanti così la “conformità difforme” o la “difformità conforme” dei Vangeli.
Tutte, intanto, interpretano la realtà di Gesù alla luce di un’intelligenza della Chiesa più profonda, che nessuno degli uomini che si trovavano accanto a Gesù aveva. Da qui la necessità di distinguere in queste relazioni evangeliche quanto è avvenuto da quanto è interpretazione della Chiesa e ancora da quello che è il messaggio specifico dell’evangelista.

Le opere didattiche. (14 Lettere di Paolo, più le 7 epistole cattoliche, 2 di Pietro, 3 di Giovanni, 1 di Giacomo, 1 di Giuda). Esse sono state scritte in anni diversi, alcune precedono addirittura la composizione del vangeli mentre altre li seguono. Ma tutte sono in parte sorte dalle necessità delle varie comunità cristiane e costituiscono una risposta immediata, data per iscritto poiché gli autori erano assenti e non potevano dirimere le questioni a viva voce.

E’ più facile cogliere in loro il carattere di predicazione scritta. Intanto grazie alla loro natura specifica costituiscono un insieme ben dosato di esposizione dottrinale, di consigli, di esortazioni e comandi, di soluzioni pratiche ai problemi più disparati, di richiamo di eventuali fatti storici concreti e al loro significato di fede. Un insieme di esercizio della potestà magisteriale, di quella pastorale e anche di quella giudiziaria.

L’opera apocalittica. L’Apocalisse di Giovanni, la possiamo anche definire “profetica”, poiché Giovanni, al pari dei profeti veterotestamentari, rivela al lettore il futuro. Difatti, nel suo linguaggio immaginoso, metaforico e di difficile comprensione, parla della manifestazione progressiva del Cristo, che lega la storia dalla fase contemporanea fino a quella ultima, trasformandola in sede di realizzazione della sua signoria.

Il lettore, non deve dimenticare un fatto analogo a quello verificatosi alla fine dell’A.T.: parallela a questa produzione letteraria “canonica” corre tutta una letteratura, detta apocrifa, dettata o dal naturale desiderio dei semplici fedeli di riempire i vuoti lasciati nella vita di ogni personaggio amato (Gesù, Maria, gli Apostoli ecc) o dalla necessità di coprire con nomi autorevoli le proprie tendenze ereticali. Si tratta di una letteratura preziosa, per conoscere meglio il complesso ambiente neotestamentario, per capire certe particolarità liturgiche e certe raffigurazioni pittoriche e simboliche, o anche solo per far risaltare la serietà e attendibilità dei libri canonici.

 

Sviluppo definitivo della Chiesa

Nella seconda metà del I secolo vediamo la Chiesa espandersi in tutto il mondo, spiegando le proprie vele che la portano “dall’uno all’altro mare”.

In Medio Oriente, non si sa per quali vie, essa prende piede in Alessandria, in Persia, in Mesopotamia.
In Asia Minore, fioriscono le comunità di cui ci informano prima Paolo, poi Giovanni, e dopo di loro Plinio il Giovane, Ignazio di Antiochia e Papia.

A Roma, una prima comunità sorge nell’ambiente ebraico; essa è visitata da Pietro e poi da Paolo, rispettivamente nel 60 e 61, i quali trovano la morte nella persecuzione di Nerone. Questa comunità, come uscita dal primo bagno di sangue, supera una seconda prova durante il regno di Domiziano (96-97). Ma più di due secoli di insicurezza non impediranno la propagazione della fede di questi cristiani in Europa.

Tramonta invece mestamente la Chiesa di Gerusalemme. Qui il giudaismo si agita contro tutti: contro i cristiani fatti oggetto di provvedimenti ostili e persecutori; contro l’impero romano che nel 70 distrugge definitivamente il Tempio e in seguito alle insurrezioni del 117 e del 135 scaccerà gli Ebrei dalla loro città santa.

La comunità cristiana, che pure aveva cercato di rimanere fedele alle sue origini ebraiche, subisce il contraccolpo di tali avvenimenti. Le comunità di Palestina legate a Gerusalemme attendono con lei di scomparire, essendo sempre più isolate nell’ambiente etnico-cristiano.

Concludo lo studio, che ci ha portati ad amare la Palestina quale terra privilegiata delle gesta divine di rivelazione e di salvezza, meditando sul doloroso fenomeno storico che ancora la umilia e la fa soffrire:

  1. Le due chiese da lei generate, quella ebraica e quella cristiana, sono andate progressivamente divaricando, attraverso tutta una serie di lotte che, se in un primo tempo vedevano come vittime i cristiani, più tardi avrebbero visto gli Ebrei perseguitati da una Chiesa cristiana diventata più forte di loro. L’ostilità reciproca, spiegabile storicamente ma non giustificabile, non è da ascrivere alle colpe della sola parte ebraica. Anche la cristianità ha il grave torto di aver scordato tante pagine del N.T. proclamanti i privilegi inalienabili degli Ebrei e la funzione unificatrice della croce di Cristo. Invece la croce è stata fatta pretesto di inimicizie e di guerre!
  2. Nel frattempo, quasi per ironia, Ebrei e cristiani col trascorrere dei secoli si sono visti rimpiazzare nella loro “Terra santa” da una terza religione, quella musulmana. Pur essa legata in qualche misura alla rivelazione ebraico-cristiana, da terzogenita che ha appreso il modo di fare delle sorelle maggiori, si è messa a perseguitarle. Ormai la Palestina è piena di minareti, di sinagoghe e di Chiese, segni di una copresenza delle tre religioni che se ne contendono i vari luoghi santi in spirito non sempre di pace ma di contenzione e di guerre.

Di fronte a questo mistero siamo chiamati a meditare: forse la Palestina, terra contesa e ancora oggi crocefissa, è voluta da Dio quale termometro segnante le vittorie e le sconfitte del Regno di Dio sul piano della storia umana. E quando Cristo ritornerà, tra le modalità di questo suo ritorno ci sarà pure il rientro pacifico in quella che fu la sua patria terrena.

E’ pure nostro dovere sperare e operare perché lo spirito ecumenico dettato dal vaticano II apra definitivamente una fase storica di comprensione reciproca, che faccia ritrovare alle tre religioni monoteiste la Palestina quale cassa comune dove coabitare nell’atmosfera di amore, di rispetto, di collaborazione, di unità che le è propria.
Questi devono essere i nostri sentimenti e costituire il segno della nostra riconoscenza verso quella “Terra Santa” che, dopo averci dato il Salvatore, con la storia, le vicende, istituzioni e personaggi suoi ci aiuta tuttora a comprenderne il mistero. 

 

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