STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTO

DOMINAZIONE ROMANA cap.2

Gesù Cristo e il Nuovo Testamento

 

Vita terrena di Gesù

In una data, capitale per la storia del mondo, ma difficile a determinarsi sia per l’indeterminazione dei documenti storici, come anche per un errore di calcolo fatto più tardi quando si è voluto computare gli anni in base all’era cristiana, Gesù fa la sua apparizione su questa terra: è circa l’anno 7-5 della nostra era.

L’ingresso di Gesù nel mondo ha del meraviglioso, per la sua natura (un Dio fattosi uomo), per la sua portata ( il mondo che comincia ad essere salvato), per la sua modalità (concezione verginale di Gesù). Questa grandezza, però, anche se di per sé atta a sconvolgere e a rivoluzionare il mondo, resta a tutta prima intima, nascosta a tutti, avvolta nella più profonda umiltà. Il Natale di Gesù, le vicende della sua fanciullezza e giovinezza, più tardi il suo ingresso nella vita pubblica (con le tentazioni nel deserto, il battesimo da parte di Giovanni Battista e la rivelazione divina) non hanno che pochi testimoni, di solito i suoi genitori o addirittura nessun testimonio.

Probabilmente, l’irradiarsi esterno della gloria del Figlio di Dio riferito dai “Vangeli dell’infanzia (capp: 1-2 di Luca e di Matteo), più che una cronaca esteriore di quanto è avvenuto è un modo di cogliere e rilevare il meraviglioso significato d’avvenimenti solo apparentemente comuni. Quest’osservazione è sostanzialmente vera.

Gesù, verso l’anno 28, è in piena dominazione romana, rompe il nascondimento presentandosi ufficialmente al mondo esterno, allorché dà inizio al suo ministero pubblico. Il meraviglioso, lo straordinario, lo porta addentro di sé, lo ha in alcuni elementi della sua vita terrena precedente che però non sono ancora noti; gli altri, le folle, i capi spirituali del popolo, i primi discepoli, vedono in lui un Maestro nuovo, un nuovo Rabbi. Egli percorre le strade della Palestina predicando e spiegando anzitutto se stesso, il mistero della propria persona, quello del Regno di Dio di cui lui occupa il centro, il disegno del Padre di cui egli è il Figlio. Lo fa ricollegando la propria realtà alla complessa tematica dell’A.T., che nella sua persona trova il proprio adempimento. Parla soprattutto in parabole. Opera compiendo miracoli che sono l’inizio della restaurazione o “redenzione” del mondo sconvolto dal peccato.

Le reazioni da lui suscitate sono le più disparate: di fronte a quest’uomo nuovo ci si divide; le folle si entusiasmano e accorrono a lui senza poterlo seguire stabilmente (anche per la propria incostanza). I capi del popolo lo guardano dapprima con sospetto e poi lo gratificano della loro inimicizia. Per loro si tratta di uno che ha certo del fascino, ma che ha il triplice torto di insegnare senza aver frequentato scuole, di credersi Messia ( e non è stato il solo!) e di finire per fondare una nuova sètta. I pochi discepoli da lui raccolti lo seguono conquisi, ma senza poter cogliere il fulcro della sua realtà misteriosa, non per ignoranza particolare ma appunto per la grandiosità immensa di quanto sta dinanzi a semplici uomini.

Gli inizi della rivoluzione dell’uomo e del suo mondo si presentano così veramente duri (come difficile è ogni inizio), apparentemente disperati. Un uomo solo (tale appariva allora Gesù) si accinge a reimpostare l’esistenza umana, con le sue particolari visioni religiose, politiche e sociali, con le sue abitudini ed espressioni esterne inveterate, rivendicando per sé un’autorità fino a quel tempo inaudita.

Gesù si prepara così al suo apparente fallimento, gettando però il seme del futuro nelle folle palestinesi e soprattutto nei Dodici che costituiscono il fulcro della nuova Chiesa. Dopo di che (secondo i Sinottici dopo circa un anno di predicazione, secondo Giovanni circa tre) viene la condanna a morte! Più tardi la società dei credenti identificherà in lui che opera su questa terra un nuovo e vero Mosé. Sì, Gesù Cristo pellegrino in terra di Palestina è come e più di Mosé, ma non dispone come il primo di una folla su cui esercitare un comando effettivo e continuo, e dagli uomini riceve non solo minacce di morte, ma la morte effettiva. Anche questa avvenuta in fretta, quasi di nascosto, priva di quei tratti esterni grandiosi sotto i quali solitamente ce la raffiguriamo (frutto di interpretazione di fede) e che avrebbero costituito per Gesù una specie di rivincita sui nemici persecutori.

 

Resurrezione e Pentecoste

Ma ecco il fatto straordinario, di una forza davvero dirompente: Gesù Cristo risorge da morte e riappare ai suoi intimi, in una serie di incontri che coprono l’arco di circa 40 giorni, rivelandosi concretamente per quello che egli veramente è, e confermando la loro fede per quanto aveva loro detto precedentemente. Ormai sulla terra c’è chi lo ha identificato, anche se ancora teme ed è paralizzato dalla paura. In queste poche persone gli uomini lo hanno ormai riconosciuto. E non lo potranno più dimenticare.

A distanza di pochi giorni dal commiato dell’Ascensione, alle prime ore della solennità ebraica della Pentecoste lo Spirito Santo di Cristo scende sui discepoli e li trasforma: ad una fede più illuminata si accompagna ora un coraggio straordinario, perciò nessuna difficoltà li potrà fermare. Inizia così la predicazione o testimonianza, e prende subito corpo la Chiesa quale società dei nuovi credenti.

 

Avvio della Chiesa

I discepoli, spinti da una duplice urgenza (quella di comunicare agli altri la propria meravigliosa esperienza di gioia e di salvezza; quella di rispondere al comando del Maestro di predicare, di battezzare, di imporre le mani liberando gli uomini dai demoni e dalle malattie, e di convertire i fratelli), affrontano il lavoro di evangelizzazione. E rapidamente la Chiesa si forma prima a Gerusalemme, poi nella Giudea, Samaria e Galilea, per arrivare in pochi decenni a tutto il mondo greco-romano.

Le nostre fonti (Atti e Lettre di Paolo) ci aiutano a capire le enormi difficoltà dell’espansione mostrandola cosparsa di numerosi miracoli. Così, guardando ai racconti del Pentateuco, vediamo ripetersi le meraviglie dell’Esodo.
Proprio questo fatto, più che indicare l’entusiasmo degli inizi, sta a testimoniare la grandezza delle loro difficoltà, superabili soltanto per merito di Dio. Il quale non gioca al miracolo, ma interviene più frequentemente e visibilmente nei periodi storici di maggior bisogno. 

La prodigiosità della sua azione conferma quindi la straordinarietà di quel tempo (ma Dio, nel nome di Gesù e dello Spirito Santo, non cessa mai di operare per il bene del suo popolo, ieri come oggi!) in cui i primi passi verso la conquista del mondo e si trovavano particolarmente esposti alle sue reazioni. 
Al riguardo occorre non lasciarsi ingannare dal racconto degli Atti: nella sua schematicità esso riporta solo quanto costituisce un reale progresso della Chiesa, e solo indirettamente accenna alle difficoltà della sua espansione. Le lettere paoline sono in grado di darci un quadro più realistico.

L’impegno dei primi cristiani è duplice: una meditazione continua sempre più profonda e completa sul mistero di Cristo risorto e sulle sue implicazioni per l’uomo; la traduzione pratica di questa fede nella vita umana attraverso l’appello di tutti alla fede e all’entrata nell’Israele nuovo. Due momenti, questi, che s’intrecciano continuamente alimentandosi l’un l’altro.

 

I problemi

La prima predicazione apostolica è rivolta agli Ebrei di Gerusalemme e la Chiesa dei primissimi inizi è quindi gerosolimitana, ebraica. In questo ambito ristretto la novità della fede comportava un nuovo genere di vita, individuale e collettiva, il quale anche se spontaneo andava regolato, rifinito, così da creare tutta una serie di problemi sia dottrinali sia organizzativi.

Leggiamo con attenzione Atti 2,11-17:
“ Quelli dunque che accolsero la sua parola…erano assidui alla predicazione degli apostoli, alle riunioni comuni, alla frazione del pane e alle preghiere comuni; ora tutti erano presi da timore, poiché molti segni e miracoli si compivano dagli apostoli. E tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano tutto in comune. Vendevano i loro beni e ne distribuivano il prezzo fra tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ed erano assidui nel frequentare ogni giorno tutti assieme il Tempio e, spezzando il pane nelle loro case, prendevano cibo con semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo”.

Tutto ciò suppone la messa a punto di una prima organizzazione del culto (in parte tradizionale, svolto nel Tempio, e in parte nuovo tenuto in case cristiane), con una predicazione atta ad approfondire la fede ricevuta, con preghiere che pure dovevano riflettere la novità cristiana, con la celebrazione dell’Eucaristia; suppone pure un certo stile di vita comunitaria che si esprimeva nel pranzo in comune e nell’uso esterno dei beni. Il tutto ricadeva sulle spalle dei Dodici, chiamati a rendere effettiva la loro autorità col regolare la vita della comunità; essi non potevano più affidarsi alle decisioni del Maestro ed erano direttamente chiamati in causa.

All’interno della Chiesa di Gerusalemme si è poi manifestata una prima pericolosa tensione, quella tra gli Ebrei palestinesi ed Ebrei ellenisti che si sentivano, a ragione o a torto, trascurati dai primi: forse per il pregiudizio ereditato dal vecchio mondo giudaico che vedeva negli Ebrei della diaspora dei fedeli di secondo grado, contaminati dal paganesimo. Ed ecco la decisione di creare dei “diaconi” ellenisti, forse in aggiunta al altri palestinesi. Il “vecchio fermento” è duro a scomparire nella comunità degli “uomini nuovi”.

La comunità viveva poi a contatto con gli Ebrei non convertiti, immersa nel loro ambiente. Ed ecco altri problemi: si condivideva in parte la loro fede nel Dio dell’A.T. e si frequentava insieme con loro il Tempio. Ma era possibile farlo a lungo? Bisognava, di fronte a loro, giustificare la propria posizione, non solo, ma cercare anche di convertirli a Cristo. Da qui la predicazione tenuta dagli apostoli nei loro riguardi, i rilievi che vanno sempre più assumendo il carattere di accuse, ed il sorgere di un risentimento che ben presto arriva l’inimicizia e alla persecuzione. Cosicché, se in un primo momento si era pensato a una convivenza pacifica basata su quanto era patrimonio comune di fede, si è dovuti arrivare ad una distinzione netta, ad un’opposizione radicale con tutte le conseguenze organizzative e dottrinali. La strada nuova imboccata dai cristiani provenienti dall’ebraismo non cessava di mostrare sviluppi imprevedibili e di richiedere decisioni nuove.

Proprio la persecuzione in Gerusalemme, provocando la fuga di molti credenti verso altre parti della Palestina, è alla base del passaggio alla Chiesa della gentilità, comprendente anche persone provenienti dal paganesimo. Da un’universalità di diritto la Chiesa inizia a passare all’universalità di fatto. Ma si delinea subito un problema capitale: è lecito portare la Buona Novella ai pagani, quando lo stesso Gesù si è limitato alla predicazione palestinese? Al riguardo mancava un’esperienza qualsiasi e Dio dovette intervenire con la visione a Pietro a proposito del centurione Cornelio (Atti 10).

Una volta risolto questo problema, eccone sorgere un altro: cosa si doveva richiedere ai pagani venuti alla fede, l’accettazione dei riti religiosi ebraici, l’osservanza della Legge di Mosé, oppure solo l’adesione a Cristo attraverso il battesimo? Il dilemma andava risolto non pragmatisticamente, bensì in conformità a convinzioni di fede. Da qui la necessità di studiare il proprio credo, di determinare l’essenziale e il rapporto con la Legge mosaica, onde avere un parametro sicuro di comportamento.

Intanto i cristiani si dividono in due fazioni: la prima in favore della Legge di Mosé, la seconda in difesa della libertà cristiana. La questione non è risolta nemmeno dal Concilio di Gerusalemme, almeno sul paino pratico, perché vedremo Paolo sempre perseguitato dai credenti provenienti dall’ebraismo per la sua politica verso i pagani. Si è trattato di una lotta decisiva, dalla quale dipendeva l’universalità della salvezza.

Finalmente, soprattutto per merito di Paolo, la Chiesa varca gli angusti confini della Palestina e si porta in pieno mondo pagano, fondando tutta una serie di comunità poste nei gangli vitali dell’ellenismo. Da questo momento la Chiesa, per quanto fondata sulla libertà data dallo Spirito Santo, non istituzionalizzata, necessitava di salvaguardare l’unità, dato che unico era il Cristo della fede, unico il battesimo. E l’unità interiore, bene essenziale, non si serve né si salva se non attraverso l’unità esterna. Perciò altre difficoltà e problemi:

  1. Come mantenere unite le varie chiese locali?;
  2. Come arrivare in concreto a dirigerle, soprattutto da parte dei responsabili, dei Dodici?;
  3. In che modo insegnare loro a superare gli ostacoli offerti dall’ambiente pagano, ellenista, con tutte le seduzioni religiose e morali sue?;
  4. Come mantenerle distinte dalle sinagoghe locali, pronte a muovere guerra ad una religione cristiana da loro considerata eretica?

Un’altra serie di non piccoli problemi portava alla Chiesa il puro e semplice fluire del tempo. La crescita continua portava la Chiesa, per forza di cose, ad istituzionalizzarsi, con tutta una serie di conseguenze facilmente intuibili. 

Ad esempio:

La predicazione, nelle comunità ormai formate, doveva passare dal genere Kerigmatico (di primo annuncio) a quello catechetico ( nel quale approfondire sistematicamente la fede abbracciata). Il Kerigma continua invece nelle zone di missione;

Il battesimo, che nei primi tempi si amministrava subito a quelli che accettavano il messaggio degli Apostoli, andava ora regolato, fatto precedere da un debito periodo di preparazione o catecumenato, amministrato secondo un cerimoniale espressivo, portato a persone che magari provenivano da famiglie già cristiane, ecc…La necessità di portare il Vangelo a tutto il mondo rendeva urgente la formazione di un numero congruo di missionari, ai quali si doveva offrire adeguata preparazione, non solo teologica ma anche morale;

Le celebrazioni liturgiche, specie quella dell’Eucaristia, ma anche le riunioni di preghiera, le festività, i vari riti, non potevano certo essere lasciate, almeno totalmente, alla libera iniziativa delle singole comunità. Si rendeva necessario almeno un quadro generale entro il quale muoversi;

Lo stesso credo doveva restare conforme ad una tradizione che andava definita, tanto più che le varie comunità locali andavano soggette a stimoli esterni diversi. Infatti, le eresie del II° secolo, anziché essere stati dei fenomeni improvvisi, hanno avuto le loro radici in tendenze già presenti nel I° secolo dalle quali occorreva premunirsi. In più, col passare del tempo, i cristiani andavano facendo le esperienze più varie di dolore e di gioia, di pace e di lotta, le quali tutte andavano confrontate col Vangelo. Il quale andava anche per questo approfondito e reso comprensibile.

<< indietro        indice      torna su        avanti >>
 

>>home page<<


 

© Dal 2002 in poi Fede Speranza Amore
E' consentita la diffusione gratuita dell'opera, o parte di essa, previa autorizzazione.