STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTO

DOMINAZIONE ROMANA (INIZIO-63 a.C.) cap.1

crocifissioni

Fonti di conoscenza

Per quest'ultimo scorcio dell'A.T. non disponiamo d'opere bibliche. I dati esterni li abbiamo dalle fonti di storia profana, a cominciare dalle opere di Giuseppe Flavio. Per la ricostruzione del clima spirituale, interno alla comunità ebraica, riescono utili se non indispensabili i libri apocrifi dei quali dovremo parlare.

Le vicende politiche

Dopo che Roma aveva gradualmente divorato l'impero siriano, nel 65 a.C. Pompeo era diventato padrone della Siria. Due anni più tardi, nel 63, egli intervenne nella guerra civile tra i due asmonei Ircano II e Aristobulo II, condusse prigioniero a Roma il secondo lasciando al primo il solo potere sacerdotale. Il territorio palestinese, diviso in undici toparchie o distretti, fu annesso alla provincia romana di Siria. Ormai anche questa parte del mondo si trovava sotto il dominio di Roma.

I soldati romani svolgevano varie mansioni oltre il servizio specificatamente militare. Pattugliavano le strade, quando c'era pericolo di disordini, e per questo un loro reparto sostava sempre a Gerusalemme ed era rinforzato notevolmente durante le festività ebraiche, allorché grandi masse di gente eccitabile riempivano la città. Montavano la guardia ai prigionieri e li scortavano quando erano trasferiti. Erano sempre presenti alle esecuzioni di criminali per prevenire eventuali tentativi di liberazione e per eseguire la sentenza.

I centurioni erano ufficiali che comandavano 100 uomini. Generalmente venivano dalla gavetta ed erano promossi per il loro coraggio e la loro fedeltà. I vangeli e gli Atti ne menzionano diversi, di due fanno anche il nome e li presentano tutti quanti in una luce favorevole a causa del loro rispetto per gli ebrei, la loro equanimità e la risposta positiva data da alcuni a Cristo.

Sei centurie formavano una coorte, posta sotto il comando di un tribuno (At.21,31). Claudio Lisia era il tribuno incaricato di mantenere l'ordine nei cortili esterni del Tempio, quando gli ebrei si sollevarono e Paolo fu arrestato. Le coorti portavano spesso un nome. La coorte italica (At.10,1) era stata probabilmente reclutata in Italia. La coorte augusta portava questo nome in onore d'Augusto, primo imperatore di Roma. Dieci coorti formavano una legione, affidata al comando di un legato, con una forza sulla carta di 6.000 uomini.

Attuando la politica del "divide et impera", Pompeo aveva messo accanto ad Ircano II il nobile idumeo Antipatro che, per avere nel 49 appoggiato Cesare nella guerra civile contro Pompeo, nel 47 fu da lui riconosciuto procuratore, mentre i suoi figli Fasael ed Erode ricevettero rispettivamente il governo della Giudea e di Galilea. Anche Ircano II era stato ricompensato da Cesare, che lo nominò etnarca dei Giudei. Così quando Ircano fu assassinato nel 43 a.C., i figli presero il suo posto.

Fasael cadde subito vittima di un'incursione dei Parti, seguita all'assassinio di Giulio Cesare, che si era proposto di pacificare le loro frontiere. Erode fuggì a Roma e fece un'impressione così buona su Ottaviano (il futuro Augusto) da ricevere da lui il mandato di riconquistare la Palestina, cosa che fece tra il 39 e il 36 a.C.. Quindi instaurò con successo un'amministrazione filoromana e la portò avanti per 34 anni, costruendo tra l'altro il porto e la base romana di Cesarea, nonché un tempio dedicato ad Augusto in Samaria.

Erode, ambizioso e crudele, cercò di seguire le proprie ambizioni appoggiando di volta in volta Cesare, poi i repubblicani con Bruto e Cassio, infine Antonio. Dopo essersi fatto riconoscere re, in pochi anni si sbarazzò degli ultimi discendenti degli Asmonei: uccise Aristobulo III, Mariamme da lui precedentemente sposata, la di lei madre Alessandra figlia d'Ircano III e due fanciulli di sangue maccabeo. Poi, per farsi perdonare dagli ebrei tali crudeltà, e anche per il suo sangue idumeo, abbellì Gerusalemme e ricostruì sontuosamente il Tempio di Gerusalemme. Del resto egli restò celebre per altri imponenti lavori attraverso cui aveva cercato di ingraziarsi l'autorità romana: aveva edificato Cesarea, Antipatride, Fasaelite, Sebaste; aveva dotato Gerico, Damasco e Antiochia di templi, teatri e portici, ecc...
Creò una nuova casta di dignitari statali. Promosse la lealtà verso la sua casa, fondando il partito ebraico degli "erodiani"; organizzò una burocrazia sul modello di quella dei Tolomei egiziani e consolidò il potere con un esercito di mercenari e un sistema di fortezze (tra cui Masada). Pagò per questi stile di vita pericoloso con tensioni all'interno della sua famiglia, con assassini e, da ultimo, con la paranoia che lo colpì. Era questi l'Erode che regnava alla nascita di Gesù. La sua gelosia nei confronti del "re rivale" e l'orrendo massacro dei bambini di Betlemme sono in sintonia con quanto conosciamo del suo carattere.

Alla sua morte il regno, che aveva governato così a lungo, così abilmente e senza scrupoli, per suo volere fu diviso tra i suoi figli:
Archelao ereditò la Giudea, la Samaria e l'Idumea;
Filippo ereditò l'Iturea, la Traconitide, la Gaulanitide, la Batanea, l'Auranitide;
Antipa (l'Erode dei Vangeli nella parte finale) la Galilea e la Perea.
Archelao, che aveva ereditato i vizi del padre ma non la sua abilità, cercò di sopprimere nel sangue dei disordini scoppiati a Gerusalemme, provocando una sollevazione di più vaste dimensioni, che richiese il duro intervanto di Varo, governatore della Siria. Ciononostante continuò a governare fino al 6 d.C., anno in cui le proteste degli ebrei riuscirono a farlo bandire a Vienna nelle Gallie, e la Giudea fu posta sotto il controllo di un procuratore (che rispondeva del suo governo alle autorità romane). 

Invece Erode Antipa regnò a lungo come suo padre. Il fiuto diplomatico tradizionale nella sua famiglia lo aiutò a portare avanti il suo ruolo di re fantoccio sotto l'imperatore Tiberio, ma non gli fu d'ausilio sotto Caligola, cui aveva chiesto di essere nominato re. Fu deposto ed esiliato assieme alla celebre Erodiade. Come sappiamo fu Antipa ad imprigionare e a far giustiziare Giovanni Battista e fu lui che incontrò per pochi istanti Gesù, inviatogli da Pilato durante il processo.

Sappiamo che Roma distingueva tre specie di province:

  1. Province separatorie, affidate al senato e governate da un proconsole;
  2. Province imperiali, governate direttamente dall'imperatore tramite un pro-pretore;
  3. Province procuratorie, le più delicate, dove l'imperatore comandava attraverso un procuratore, dell'ordine dei cavalieri, il quale aveva da lui il potere legislativo, giudiziario, di riscossione delle imposte, e anche il potere capitale.

La serie dei procuratori romani in Giudea fu: Coponio (6-9 d.C.), Marco Ambivio (9-12), Annio Rufo (12-15), Valerio Grato (15-26) e finalmente Ponzio Pilato (26-36) . Nel 1961 fu scoperta a Cesarea una lastra di pietra con su inciso il nome di Ponzio Pilato, una delle poche testimonianze extrabibliche della vita e dell'opera di quest'uomo infelice. Lo storico romano Tacito menziona l'esecuzione di Gesù fatta dietro suo comando, mentre Giuseppe Flavio e Filone, due scrittori ebrei, ricordano diversi episodi che lo riguardano. Infine, oltre le testimonianze degli evangelisti, troviamo alcune allusioni a lui in At. 3,13; 4,27; 13,28; 1Tim.6,13.

Tutto lascia supporre che egli provenisse dalla borghesia romana e che possedesse una buona esperienza in campo militare e amministrativo, quando nel 26 d.C. fu nominato procuratore della Giudea. In tale veste (o in quella di governatore) possedeva amplissimi poteri, specie in campo militare e finanziario; tra l'altro, spettava a lui nominare il sommo sacerdote e controllare i fondi del Tempio.

Filone lo descrive come un uomo duro, vendicativo e brutale. Stando a quanto scrive Giuseppe Flavio in una delle sue opere storiche, egli prese a contrastare gli ebrei fin dall'inizio. Permise alle truppe romane di entrare con i loro vessilli spiegati in Gerusalemme, vessilli su cui era rappresentata l'immagine dell'imperatore, scatenando così l'ira degli ebrei per la profanazione della città santa. Ma alla vista dell'uragano fece marcia indietro e ordinò la rimozione degli stendardi.

Stando in Filone, in un'altra occasione gli ebrei protestarono violentemente per alcune insegne d'oro fatte erigere da lui nella sua residenza di Gerusalemme. Questa volta egli si rifiutò di farle rimuovere, ma gli ebrei si appellarono all'imperatore Tiberio, che ordinò di trasferirle a Cesarea, quartiere generale del procuratore. I Vangeli ricordano il processo di Gesù. Pilato commise un errore fatale, quando fece arrestare diversi Samaritani, che si erano radunati sul monte Garizim, prestando ascolto a una voce che parlava di vasi sacri dei tabernacolo sepolti in quel sito, e fece giustiziare alcuni dei responsabili. Dopo innumerevoli proteste, Vitellio, governatore della Siria, impose a Ponzio Pilato di recarsi a Roma per rispondere all'imperatore del suo operato. Morì prima del suo arrivo nella città eterna. Non si sa come è finito, lo storico cristiano Eusebio, ipotizza si sia tolto la vita.

La situazione degli Ebrei

Con l'arrivo di Pompeo in Gerusalemme, la Palestina cambia definitivamente padrone e si trova inserita nel grande impero romano. Ormai appare chiara la sua nullità politica: è proprio la proverbiale goccia d'acqua in mezzo all'oceano! Questo, tuttavia, non le avrebbe tolto la possibilità di sviluppare ancora una volta la propria vita religiosa se l'infedeltà degli Asmonei allo jahvismo da una parte e la crudeltà di molti responsabili romani dall'altra non avessero portato ad un clima d'esasperazione e alla radicalizzazione delle varie posizioni. Ai fautori della civiltà nuova i fedeli rispondevano con la più assoluta intransigenza e con un rifiuto totale della civiltà esterna.

In tale clima di tensione i pericoli d'esagerazione che sono insiti in ogni posizione possono avere trovato la ragione del loro trasformarsi in quei difetti reali che noi, da Cristo, siamo soliti rimproverare al giudaismo. Tenuto in debito conto questa circostanza, che comporta una distinzione tra il giudaismo in se stesso e le deviazioni cui i fattori storici hanno portato molti dei suoi cultori, mi sento di accettare una pagina riassuntiva quale la seguente:

"Il rischio d'ogni tradizione è di sclerotizzarsi con il tempo. Su tre punti importanti la tradizione giudaico-ebraica soffre di questo male al tempo di Cristo. Il culto della Legge si trasforma in giuridismo. Un'attenzione minuziosa alla lettera dei precetti finisce per coprirne lo spirito. Allora il grande slancio spirituale dei profeti, del Deuteronomio, dei maestri sapienziali, si è trovato soffocato. Un certo "formalismo" pervadeva le pratiche religiose. Per riprendere la parola del Vangelo, si aveva l'impressione che "l'uomo era fatto per il sabato e non il sabato per l'uomo".

Scotto di cinque secoli passati a lottare per restare fedeli alla Legge, i Giudei rischiano di dimenticare che la Legge è solo un elemento tra gli altri nella religione di Mosé. Barriera esterna che protegge Israele dal contagio pagano, non deve trasformarsi in una barriera interiore che inaridisce le anime.
In secondo luogo, il senso della vocazione nazionale si è trasformato in nazionalismo religioso. A forza di ripetere che Israele è il popolo di Jahvé, si è tentati di annettere Jahvé ad Israele e di confondere la gloria di jahvé con quella d'Israele. L'orgoglio nazionale trova un alimento nel più gratuito dei doni: la chiamata d'Israele, primo di tutti i popoli, al regno di Dio. Si è lungi dallo spirito del Deuteronomio. Soprattutto il grande Movimento d'universalismo religioso sollevato dalla predicazione profetica e dall'insegnamento sapienziale verso l'epoca della cattività babilonese ha subito una ricaduta. Il proselitismo delle comunità disperse rischia d'essere esso stesso posto al servizio degli interessi d'Israele.

Infine, il messianismo è caduto in un senso nazionalista e temporale. I testi messianici della Bibbia sono di tutti i tempi e portano con sé materiali eterocliti. Le immagini del trionfo guerriero d'Israele accompagnano le evocazioni più spirituali del Regno di Dio. Accanto al Messia regale nella sua gloria, si profila il ritratto del servo di Jahvé nella sua vita d'insegnamento e di sofferenza. Nell'insieme, il giudaismo tende a ritenere soprattutto i tratti che blandiscono l'orgoglio nazionale. Il Messia sofferente sembra messo da parte. La gloria del Messia regale e le sue lotte sono interpretate nel modo più letterale. Si aspetta il Regno di Dio, la salvezza d'Israele; ma in modo febbrile dove la speranza si mischia sovente alle passioni umane.

Tra queste deviazioni esistono certamente delle nobili eccezioni. Luca 1-2 ci mostra delle anime semplici e profonde, nelle quali l'attesa è purissima e molto elevata: Zaccaria, Elisabetta, Maria, Simeone, la profetessa Anna...In tali anime, la predicazione evangelica troverà risonanze profonde. E' in loro che l'A.T. arriverà alla sua perfezione. Gli altri si staccheranno da un insegnamento troppo alto per loro e quindi deludente. E' da lì che sorgerà il dramma evangelico". Una di queste esasperazioni mi sembra si riveli nelle due appendici politiche alle denominazioni religiose di Sadducei e Farisei. Faccio solo notare che non è solo di quel tempo e di quella regione la trasposizione esagerata ed indebita sul piano sociale di un messaggio religioso: certi movimenti interni alla Chiesa d'oggi lo dimostrano.

Intanto i Sadducei trovano un'ala politica del loro movimento religioso negli Erodiani. Alla loro esistenza accennano Mc. 3,6; 12,13 e Mt.22,16. Il significato di quest'appellativo è peraltro discusso: significa amici di Roma, oppure d'Erode, o impiegati della corte d'Erode Antipa, o non partigiani della dinastia erodiana?. Dai Farisei si staccano invece gli Zeloti. Essi condividono l'avversione dei primi alla dominazione straniera. Come partito politico erano seguaci di Giuda Galileo, che guidò la rivolta antiromana al tempo del procuratore Quintilio Varo (At.5,37). Anche al tempo del procuratore Tiberio Alessandro, che fece uccidere Giacomo e Simone figli di giuda, gli Zeloti dovettero mostrarsi molto attivi. Essi ebbero una parte di primo ordine nella rivolta del 66-70, sotto la guida d'Eleazaro, che dopo la valorosa e crudele difesa del Tempio, tenne la fortezza di Masada fino alla primavera del 73.

Gli Zeloti

Mentre i Farisei e i Sadducei cercavano di adattarsi nel migliore modo possibile al giogo romano e gli uomini di Qumran si attendevano un intervento potente di Dio in loro favore, molti ebrei adottavano un comportamento più attivo e combattivo. Gli Zeloti, come furono chiamati più tardi, erano dei combattenti per la libertà, i rivoluzionari del popolo ebraico, quelli che fecero esplodere alla fine la grande ribellione che avrebbe indotto Roma a distruggere Gerusalemme nel 70 d.C. Già al tempo di Gesù c'erano state alcune rivolte soffocate nel sangue (At.5,36-37; e forse Barabba), e la popolazione si dimostrava ricettiva alla propaganda rivoluzionaria. Gli Zeloti, ardenti patrioti, fondavano il loro appello sul fatto che la sudditanza a Roma era un tradimento nei confronti di Dio, il vero re d'Israele. Non scordiamo, poi, che almeno uno degli Apostoli proveniva dalle loro file.

Un giudizio più sereno può risultare dall'attenzione mostrata alla abbanodante produzione letteraria dell'epoca: gli Apocrifi (Enoch etiopico, slavo, ebraico; Giubilei; Testamento dei 12 patriarchi; Salmi di Salomone; Sibillini; Lettera d'Aristea, Vita d'Adamo ed Eva; Preghiera di Manasse; Assunzione di Mosé; Segreti d'Enoch; Ascensione d'Isaia; 3° e 4° Maccabei; 3° e 4° Esdra; 2° e 3° Baruch; Salmo di Davide; in più potremmo citare la letteratura Essenza).

Di loro abbiamo belle pagine di uno studioso francese:
" In margine alla Scrittura, ma a lei molto vicina, prendendo da lei i fondamenti, aggiungendone dettagli e commentari, una letteratura immensa si sviluppò in quest'epoca e altri redattori ci esprimevano le loro esperienze temporali, le loro concezioni escatologiche, le loro aspirazioni morali e religiose, e il ribollire delle loro speculazioni nelle quali si mescolavano la vera mistica e l'allucinazione profetica".

"Nata in un'atmosfera d'angoscia pressoché continua, a causa delle tristi condizioni politiche e religiose del tempo, quando non c'era più né potenza, né fortuna, né libertà, e l'unico bene erano la fedeltà e la speranza, essa si attacca al tesoro spirituale del passato attraverso tre tendenze fondamentali:

  1. Lo studio appassionato della Legge, dei suoi precetti, delle sue applicazioni, in modo da farne una siepe di protezione e una corazza difensiva. Tendenza coltivata da Farisei e dottori.
  2. La ricerca di un miglioramento morale individuale, dato che i mali presenti erano sentiti come conseguenza ineluttabile delle proprie colpe ( ad esempio Testamento dei 12 Patriarchi).
  3. L'evasione nel futuro, nel quale Israele avrebbe ritrovato la sua gloria e la sua forza.

L'evasione nel futuro, nel quale Israele avrebbe ritrovato la sua gloria e la sua forza. E' il caso della letteratura apocalittica che continua il profetismo, con la sola differenza, che mentre questi poggiava solidamente sulla realtà e sul presente, l'apocalittica rifiuta la realtà diventata odiosa e insostenibile, cedendo alla tentazione dell'immaginazione, del sogno, di una speranza singolarmente piatta...
E' grazie a questa letteratura che possiamo renderci conto di ciò che pensavano, ciò che attendevano gli Ebrei della comunità fedele, i quali, nei secoli antecedenti la venuta di Cristo hanno preparato il terreno spirituale in cui il seme del Vangelo stava per essere gettato. I libri apocrifi hanno contribuito a preparare l'adempimento, la venuta di Cristo, sotto due profili:

  1. Dal punto di vista morale: "E' in questi testi, molto più che in quelli del Canone ( e anche più che nei grandi profeti) che si segue l'apparire e l'affermarsi della dottrina, che sarà quella del cristianesimo, di una retribuzione che seguirà immediatamente la morte. Uno studioso scriveva che su questo punto l'A.T. non conteneva che delle scintille! In questi testi la scintilla ha già dato fuoco al legno secco e la fiamma è prossima ad alzarsi. Ugualmente il clima morale che sarà proprio di Giovanni Battista dove il pentimento e la penitenza sono intimamente legati alla promessa di redenzione, è anche negli apocrifi che offre molti dati fondamentali. Le scoperte recenti del Mar Morto, facendo risaltare la sètta degli Esseni, che come abbiamo visto ha dato alcuni autori degli apocrifi, hanno posto il problema delicato delle relazioni tra questa sètta e il Battista, vale a dire degli Esseni con Gesù tramite il precursore".
  2. Dal punto di vista messianico: "La potenza d'amore e di speranza che, di secolo in secolo, aveva gonfiato il petto d'Israele e aveva fatto scorgere nel suo spirito l'immagine dell'Essere provvidenziale che avrebbe ricostituito in gloria il popolo eletto e assicurato il suo regno su di una terra rappacificata, si trova negli apocrifi manifestata con un'intensità e una precisione impressionanti. Nella raccolta di questi apocrifi ci sono opere intere che appaiono insostituibili per la comprensione del messianismo ebreo alla vigilia della nascita di Cristo. Il libro delle parabole d'Enoch è uno di questi. Più ancora che in Daniele, il "Figlio dell'uomo" appare nel primo libro d'Enoch, preso in un'accezione estrema vicino a quella che l'espressione avrà nel Vangelo. "Il Figlio dell'uomo", che possiede la giustizia e nel quale la giustizia abita, che rivelerà tutti i suoi segreti, perché il Signore degli spiriti l'ha scelto e la cui morte ha trionfato, attraverso il diritto davanti al Signore degli spiriti per l'eternità, colui "che farà alzare i re e i potenti dai loro giacigli e i forti dai loro troni e romperà i denti dei peccatori", colui infine "che ha conservato la parte dei giusti perché hanno odiato e disprezzato questo mondo d'ingiustizia, non è vicino a colui che un cristiano può riconoscere? E lo stesso sarebbe perfettamente, se queste descrizioni esatte non si accompagnassero ad un'orchestrazione di violenza e di crudeltà espressive che collegano il Messia alla immagine classica del re glorioso, allontanandolo però da quella del Cristo sofferente".

Un altro segno della grande vitalità del mondo religioso ebraico ci proviene dalla "diaspora o dispersione".
Durante l'impero romano, il fenomeno degli Ebrei viventi fuori della Palestina raggiunge il massimo per quanto riguarda l'A.T. Anche se risultano esagerate le espressioni di Giuseppe Flavio: " I Giudei, scriveva Stradone al tempo d'Augusto, hanno già invaso tutte le città, e difficilmente nel mondo si troverebbe un angolo dove questo popolo non sia stato accolto e non sia diventato padrone", e di Filone: "Il numero degli Ebrei nell'impero raggiunge quasi quello degli indigeni", è certo che gli Ebrei si erano diffusi in Oriente, in Egitto, Asia Minore, Grecia, e in tutto l'impero romano. Qui essi vivevano in comunità chiuse, dotate di grandi privilegi, metà religiose e metà politiche, con istituzioni proprie e col loro credo jahvistico. Gli Ebrei non si sono mai integrati: pur lontani dalla madre patria, restavano membri della nazione giudaica.

Interessante è la loro posizione verso il mondo esterno: lungi dal lasciarsi assimilare culturalmente e religiosamente, si sono distinti per il loro proselitismo o attività missionaria. A tal proposito occorre rammentare che:

  1. Sebbene questo atteggiamento sia stato particolarmente marcato fuori della Palestina, tuttavia anche gli Ebrei palestinesi lo condividevano. Basta ricordare le parole pronunciate da Gesù verso i Farisei, dove egli riconosce che "attraversano il mare per fare anche un solo proselita" (Mt.23,15). Gli Ebrei hanno sempre avuto coscienza che la loro storia religiosa era voluta da Dio per la salvezza di tutti i popoli. La loro era una religione aperta, universale, anche se potevano pensare che gli altri per salvarsi dovessero farsi Ebrei (come noi possiamo ancora pensare che, per diventare cristiani oggi, sia obbligatorio accettare l'involucro europeo della fede cristiana).
  2. Se però il proselitismo era più sentito nella diaspora, il,fatto ha una sua spiegazione naturale: chi viveva nel mondo pagano, ne faceva esperienza quotidiana, era costretto a lasciar cadere tanti pregiudizi d'ordine religioso o razziale; la sua stessa esperienza lo portava a riconoscere la fondamentale uguaglianza umana, la bontà di tanti costumi, il bisogno universale di Dio e la sincerità di una sua ricerca da parte degli altri. Così il loro particolare spirito missionario può vedersi come il frutto della loro singolare esperienza d'emigrati senza ascriverlo a merito della loro maggiore perspicuità o a demerito degli Ebrei rimasti in Palestina rinchiusi nei loro confini.


Ad ogni modo, fatti coscienti di adempiere presso le altre nazioni pagane l'ufficio di missionari di Jahvé (Is.49,1-6; 50, 1-6), gli Ebrei della diaspora hanno dato vita ad una letteratura (apocrifa) nella quale difendersi da tutte le accuse, per mostrare come la loro religione corrispondesse alle aspirazioni della stessa anima greca, per far risaltare gli agganci esistenti tra la morale ebraica e la dottrina stoica. Ma questa "propaganda letteraria" arrivava solo ai letterati, trovandosi così ristretta a circoli abbastanza limitati. Molto più ampio era l'0iiradiarsi del culto praticato nelle sinagoghe e più efficace era la forza d'attrazione esercitata ad esempio dalle virtù religiose e morali prescritte dalla Legge mosaica.

Il giudaismo aveva sul,e religioni del mondo greco-romano una superiorità manifesta: presentava una dottrina assai chiara ed elevata su Dio, un culto spirituale privo d'immagini della divinità, una moralità superiore e un codice di regole precise per la condotta della vita. Le sinagoghe erano molto aperte, e i pagani che ammettevano il principio del monoteismo potevano partecipare alle assemblee liturgiche quando avessero abiurato l'idolatria.

I proseliti di rango inferiore erano chiamati i "timorati di Dio" (foboumenoi ton Theon, in Atti; sebomenoi ton Theon negli Atti di Giuseppe....metuentes, in latino) e attorno alla sinagoga formavano una clientela di serie "b". Dal giorno in cui erano stati circoncisi e avevano fatto il rituale bagno di purificazione, diventavano proseliti, o proseliti della giustizia, facevano parte della comunità d'Israele e si trovavano sottomessi a tutte le prescrizioni della Legge.
E' certo che non tutti i pagani riuscivano a superare la ripugnanza verso la circoncisione, sentendo che tale rito equivaleva ad un loro arruolamento nella nazione ebraica (per questo gli Ebrei si accontentavano che i pagani diventassero "timorati di Dio"). 

E' pure certo che questo carattere nazionale molto accentuato diminuiva la forza di penetrazione e di conquista della religione ebraica. Anzi, procurava a volte reazioni violente d'autorità e folle. Erano le prime manifestazioni di quell'antisemitismo che già allora faceva le sue prime e numerose vittime. Esso però nel nazionalismo ebraico trovava solo in parte una giustificazione. La ragione più profonda era allora che il paganesimo "prendeva la sua rivincita contro una religione più pura e contro una morale più severa; esso si vendicava nello stesso tempo del successo di un proselitismo che non era riuscito ad inquadrare".

Preannuncio dell'era nuova

Un giorno appare sulla scena Giovanni Battista, l'ultimo ispirato dell'A.T. In lui vive lo spirito dei profeti dei quali riprende la duplice funzione di denuncia e di speranza. Con la sua predicazione di penitenza (Mt.3,1), il suo annuncio del giudizio prossimo (Mt.3,7-10) del Regno di Dio e del Messia che viene ne riprende i temi essenziali che del resto erano già filtrati nel giudaismo.

Dalla sua parola nessuno è risparmiato (Lc.3,1-20). E mentre le autorità giudaico, sacerdoti, scribi, sadducei e farisei, restano a guardare con riserva e diffidenza, le folle, nella loro spontaneità, accorrono verso di lui. Tra la gente si opera un risveglio del sentimento religioso, anche se gli eventi posteriori lo confermeranno non sempre illuminato.
Così alla fine della sua corsa bimillenaria, il popolo ebraico vive nella massima intensità l'attesa del Salvatore e Liberatore, politico e religioso. Il suo complesso stato d'animo si trova riassunto nel breve grido d'invocazione d'Isaia: " Utinam dirumperes coelos et descenderes...!"

Un'aspettativa che vede gli Ebrei rappresentanti di tutta l'umanità ( che anche nella civiltà ellenistica si attende un ordine radicalmente nuovo: si pensi al vaticinio di Virgilio nella IV ecloga).
Per di più originata da Dio, attraverso il suo piano di salvezza. Come tale, non può rimanere senza una risposta dall'alto. E questa viene, una volta che i tempi siano maturati: "Ubi venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suun..."
La risposta di Dio alle attese dell'uomo ha appunto un nome: Gesù Cristo!

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