STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTO

DOMINAZIONE GRECA (332-63 a.C.) cap.3

SITUAZIONE RELIGIOSA

Sacerdozio
I sacerdoti, che a Gerusalemme erano in sostanza diventati i capi della comunità ebraica, in seguito alla rivoluzione maccabica e precisamente con gli Asmonei vedono accentrarsi nelle proprie mani il potere religioso e anche quello politico. Il sommo sacerdote è anche monarca. In tal modo la classe sacerdotale vede crescere enormemente il proprio prestigio. Ma come contropartita, si vede sempre più coinvolta nei torbidi meandri della vita politica: antagonismi, lotte feroci tra le varie famiglie sacerdotali per l'elezione al sommo pontificato; il tutto a scapito delle funzioni religiose.

Il calendario liturgico
Si arricchisce di nuove feste. E' probabilmente di questo periodo l'introduzione del "Giorno dell'espiazione" , festa di riposo completo, di penitenza e digiuno, dedicata all'espiazione per il santuario, per i sacerdoti e per tutto il popolo. Sicuramente di questo periodo è la festa delle "Encenie", stabilita da Giuda Maccabeo che purificò il santuario profanato da Antioco Epifanie e lo inaugurò il 25 dicembre del 164 dopo avervi costruito un altare nuovo.
Finalmente la festa dei "Purim" (sorti), di carattere popolare, sorta in Persia a probabile ricordo di un "pogrom" evitato dagli Ebrei; passata poi in Mesopotamia e penetrata solo più tardi in Palestina verso il 190 a.C., per la prima volta essa appare in 2 Macc.15,36.

Il Sinedrio
Il periodo greco vede probabilmente la nascita del Sinedrio (ebraico: sanhedrin; greco: sunédrion; Atti 5,21: gerousìa=anziani).
Esso sembra continuare il governo delle città anticamente affidato ad un consiglio d'anziani, uomini che per età, rango, ricchezza, davano peso alle loro decisioni. E' naturale che il consiglio o Sinedrio di Gerusalemme, quale consiglio della capitale religiosa, abbia finito per sovrastare tutti gli altri e per acquistare autorità legislativa e giudiziaria su tutti gli Ebrei sia della Giudea sia della diaspora.
La sua presidenza spetta al sommo sacerdote in carica, considerato magistrato supremo nativo sotto il governo imperiale. 

La sua composizione originale è aristocratica. Fino ad Alessandra era costituito di due classi, poi di tre:

  1. I presbuteroi o rappresentanti più responsabili del popolo, di stirpe non sacerdotale;
  2. Gli arkieréis, sommi sacerdoti retrocessi e membri delle quattro famiglie dalle quali si sceglievano i sommi sacerdoti;
  3. I grammatèis, o scribi, per lo più di tendenza farisaica.

Il numero dei membri è di 71. Vi si può entrare per elezione, oppure per designazione imperiale. Di altro non si sa. Le riunioni sono tenute in un luogo apposito, vicino alla spianata del Tempio. Le sue competenze in un primo tempo sono assai vaste, includendo tutte le questioni religiose e tutti i casi criminali o civili non riservati al governo imperiale. Ma dopo il 63 a.C., con l'arrivo dei Romani, sono limitate assai: Roma avoca a sé la tradizione dei crimini capitali.
Gli scribi che vi fanno parte vi agiscono solo in base alla stima di cui personalmente godono, anche da parte del pubblico, per la loro scienza. Non rappresentano alcun gruppo costituito.

Partiti o denominazioni religiose
Questo è il paragrafo più interessante, destinato non a rilevare un supposto "spirito contenzioso" in base al quale gli Ebrei si sarebbero divisi in tante fazioni ma a fare toccare con mano la ricchezza di posizioni che, allora come sempre, era possibile assumere pur nell'ambito di una sola fede, e quindi la vivacità che la comunità credente della fine del V.T. e del tempo di Cristo sapeva mostrare.

Per una conoscenza approfondita di questa parte, oltre alle opere bibliche composte dopo l'esilio, occorre usare i libri apocrifi: Giuseppe Flavio, le fonti postbibliche ebraiche e aramaiche (testi di Qumran, Talmud, Midrashim), e le opere del N.T. di cui va però tenuto presente lo spirito polemico.

Purtroppo gli studi condotti in questo settore sono ancora lungi dal riuscire esaustivi; le ombre sono ancora più numerose delle luci. Occorre accontentarsi spesso di semplici supposizioni.

Gli Assidei ( da Hasidim = pii)
Vanno menzionati per primi, perché compaiono nella prima metà del secolo II a.C., al tempo dei Maccabei (1 Macc.2,29-42) e poi scompaiono, a quanto pare in seguito ad una crisi dalla quale sfoceranno i Farisei e gli Esseni.
Sarebbero stato un gruppo non omogeneo, formato da sacerdoti e laici ispiratisi ad Isaia 60,21: "Il tuo popolo sarà un popolo di giusti che possederanno in eterno la terra, germogli delle piantagioni del Signore, opera delle sue mani, fatta per glorificarsi". Per questo più tardi si sarebbero divisi, i laici per dar luogo al fariseismo ed i sacerdoti per confluire nell'essenismo.

Le loro idee religiose, professate con tanto zelo da meritare loro il titolo di "pii", sarebbero: un grande scetticismo verso il Tempio di Gerusalemme, sconsacrato e servito da sacerdoti da loro ritenuti indegni; l'attesa per la fine dei tempi di un sacerdote che sarebbe stato superiore al messianico Figlio di Davide; l'attesa di un Tempio nuovo scendente dal cielo e di una nuova Gerusalemme; l'uso di un calendario liturgico diverso da quello gerosolimitano; la visione dualista del mondo in buoni (quelli della loro comunità) e cattivi (gli altri), i primi destinati alla resurrezione gloriosa e i secondi alla dannazione.

Possiamo chiederci se gli Assidei siano stati in relazioni cordiali con i Maccabei, come lascia intendere 1 Macc. 2,42, o se invece li abbiano considerati alla stregua dei loro successori Asmonei, vale a dire degli ipocriti che si accontentavano della libertà di culto e della sicurezza politico-militare senza voler provocare una vera svolta del mondo. Questa seconda ipotesi sarebbe suffragata da Daniele 11,34, originato da circoli assidei.

I Farisei
Premetto che, nonostante i moltissimi studi condotti in proposito, si lamenta tuttora la mancanza di una presentazione del fariseismo che sia soddisfacente, per mancanza di spirito polemico o apologetico, per completezza di documentazione, per interpretazione esatta delle fonti. Io mi limiterò pertanto all'esposizione della dottrina oggi più diffusa.

Origine: i Farisei, compaiono con questo nome sotto Ircano (135-104 a.C.), e costituiscono un movimento le cui origini restano tuttora assai oscure. Solitamente si fa derivare dagli Assidei, ma la sua apparizione deve essere legata anche allo sviluppo della classe degli scribi e alla crescita della tradizione orale, nonché all'influenza dell'ellenismo.
Nome: il termine "fariseo" può avere una duplice accezione. Facendolo derivare dal verbo ebraico "paras" significherebbe "interprete della Legge". Ma sembra più probabile che voglia dire "separato". In questo caso ci si chiede da che cosa il fariseo sia o si intenda separato: dalla tradizione sacerdotale, o dai consigli costituiti da Arcano e dalla conduzione degli affari, oppure dalla gente che non praticava la Legge? Se fosse vera l'ultima ipotesi, il titolo avrebbe un contenuto dispregiativo ( nel qual caso sarebbe stato affibbiato ai farisei dal popolo) o un senso corretto legato magari ad Esodo 19,6: "Sarete per me regno di sacerdoti e una nazione santa"; oppure in Lev.20,26: "Siate santi, separati, come io, Jahvé, lo sono" (ma allora si tratterebbe di un'autodefinizione dovuta ai farisei stessi?). 
Organizzazione: l'idea di separazione sembra essersi concretata nelle habeuroth o confraternite nelle quali però non si sa se fossero associati tutti i farisei. Queste erano associazioni nelle quali ci si obbligava all'osservanza stretta delle leggi, specie quelle del nutrimento e della purità rituale. Esigevano una sorta d'iniziazione o noviziato, cui seguiva un impegno solenne a seguire le regole della Haburah tra le principali delle quali era il pasto comune soprattutto al sabato e nei giorni di festa, pasto compiuto secondo un determinato cerimoniale.
Secondo Giuseppe Flavio i farisei, al tempo d'Erode, erano circa seimila, esclusi i simpatizzanti.

Natura del fariseismo: si trattava di un movimento non politico ma religioso. I farisei credevano che il Regno di Dio si sarebbe stabilito per intervento diretto di Dio, senza bisogno di sforzi umani. Il governo straniero era ritenuto una punizione divina per i propri peccati e, come tale, andava accettato con sottomissione. D'altra parte esso costituiva una profanazione della terra Santa e del popolo eletto, nonché un ostacolo allo stabilirsi del Regno. Come tale il potere degli stranieri doveva essere distrutto mediante una rivolta. Per questo i farisei non furono dapprima amici degli Asmonei ai quali rimproveravano poco o nessun attaccamento alla causa del Regno (sostennero solo Alessandra); poi furono attivi in ogni guerra di ribellione, da quella dei Maccabei fino a quella di Bar Kokheba nel 135 d.C. Intanto, dato il loro modo di pensare e di agire, i Romani non potevano che diffidare di gente la quale, ossequiente quando essi erano forti, era sempre tra i rivoltosi nei momenti per loro critici.

Elementi specifici del fariseismo sono almeno tre:

  1. Il carattere laico, che portava i farisei, associazione laicale, ad avversare i sacerdoti ed il loro partito (iSadducei) non tanto per quello che rappresentavano o avrebbero dovuto rappresentare ma per le loro compromissioni politiche e per la loro interpretazione della Legge; inoltre li portava a studiare e interpretare la Legge in base al ragionamento, tanto da stabilire determinate regole ermeneutiche in base alle quali dedurre verità nuove dalle affermazioni scritturistiche tradizionali;
  2. l'ammissione di una tradizione orale accanto al testo scritto, così che i farisei potevano attualizzare la Legge e renderla vincolante anche in punti non esplicitati dal testo scritto cui invece i Sadducei si limitavano (così questi ultimi tacciavano i farisei di spirito razionalistico e rivoluzionario, mentre i farisei cercavano d'essere davvero fedeli ai valori religiosi provenienti dal passato);
  3. la ricerca di impostare la vita quotidiana sul ritmo della Legge e delle sue numerosissime prescrizioni. Il che portava certamente al pericolo del "legalismo", ma ancor prima poteva essere un modo concreto per realizzare il duplice precetto dell'amore a Dio e al prossimo cui la Legge tendeva per natura sua.

La scienza giuridica, enormemente sviluppata dai farisei, concerneva in modo particolare in tre punti:

  1. l'osservanza del sabato, da loro fissata fin nei minimi dettagli;
  2. la purità legale, da mantenere o recuperare attraverso tutta una serie minuta di prescrizioni riguardanti, gli alimenti, le malattie, il contatto coi cadaveri, gli utensili d'uso quotidiano, le abluzioni e i bagni di purificazione, il contatto con persone e cose ritenute impure, ecc...(sono ben 630 le prescrizioni);
  3. il pagamento dei tributi sacri. Essi allungano notevolmente la lista delle decime dovute a sacerdoti e leviti, determinano meglio cosa e quanto va pagato, sviluppando anche al riguardo una casistica raggiungente la pignoleria.

Tutto ciò va considerato quale frutto di una mentalità puerile, di formalismo esteriore, oppure di una serietà di sforzi nel far sì che la religione restasse una cosa viva, una vera pratica di vita? Il paragone che possiamo fare tra questa legislazione e la nostra morale cristiana quale si era andata configurando nei testi di un recente passato credo ci costringa ad un giudizio sfumato, non troppo categorico né in un senso né nell'altro.

In campo dottrinale o teologico i farisei hanno alimentato la fiamma della pietà giudaica portando il "credo" ad un ulteriore sviluppo dovuto in parte alla deduzione di verità dalla rivelazione antica ed in parte basato sulla tradizione orale. I farisei professano ad esempio l'immortalità personale, il giudizio dopo la morte, la resurrezione dei corpi e l'esistenza degli angeli; danno grande spazio al rapporto tra libertà umana e azione della Provvidenza, attendono fermamente la venuta del Regno di Dio sulla terra e professano la più viva fede messianica.
I rimproveri mossi da Gesù ai farisei riempiono le pagine dei Vangeli: ostentazione nella vita esterna, amore al denaro, orgoglio, falsa pratica della giustizia attraverso i vari adempimenti della Legge; ipocrisia nel pregare, digiunare, fare elemosina, nell'imporre agli altri pesi da loro personalmente evitati, proselitismo non illuminato, attaccamento cieco alla lettera della Scrittura, ecc...

Tutti rimproveri veri, sacrosanti! Ma riguardano il fariseismo in se stesso o non piuttosto i singoli farisei? Costituiscono una critica al sistema in se stesso o non alla dottrina farisaica comparata con la novità evangelica? Si tratta in ogni caso di una critica polemica che, per natura sua, non vuole esprimere tutta la verità e che, assolutizzata, deformerebbe la realtà storica.
E proprio sul piano storico va rilevato che i farisei sono stati ( e i loro discendenti lo sono tuttora) le vere guide spirituali dell'ebraismo, stimate dal popolo più che non le altre denominazioni religiose, proprio per la sincerità e coerenza loro.

Questi maestri erano insieme teologi, esegeti, giuristi e moralisti: formavano dei discepoli attraverso l'insegnamento e l'esempio; attorno a adepti convinti si radunava una larga clientela di simpatizzanti. Giuseppe, che aveva aderito alle dottrine farisaiche, ha presentato questo partito come una scuola filosofica, ma non era che un artificio destinato ad accecare il lettore romano. Ogni volta che essi sono stati trascinati a parteggiare sul terreno politico, il loro atteggiamento è stato dettato dai loro principi religiosi; per loro non esisteva nulla fuori della religione nazionale, concretata nella Legge. Da questo si spiega la loro azione e l'influenza da lei esercitata.

Annotazione: Il vangelo spesso accomuna farisei e scribi con "guai a voi, scribi e farisei..."; in realtà i due gruppi non s'identificano. Lo scriba è, infatti, un esperto della Scrittura, della Legge. Ma nell'interpretarla egli può condividere il pensiero dei Farisei oppure condividere la dottrina dei Sadducei. Così gli Scribi si trovano sia tra i Farisei sia tra i Sadducei. Di fatto, però, la maggioranza degli Scribi, che erano laici, hanno militato tra le fila del partito laicale dei Farisei. Da qui l'accoppiamento operato dalle fonti evangeliche.

I Sadducei
Il nome di questa denominazione religiosa (se non si fa derivare da Saddiq=giusto) riesce comprensibile mentre si traccia la sua origine preistorica.
Da Davide e da Salomone il sacerdozio era legittimamente esercitato dai discendenti di Sadoc (1 Re 1-2; Ezech.40,46; 44,15). Dopo il 538 (editto di Ciro) il sacerdozio, sempre sadocita, svolgeva una funzione cultuale ed anche politica poiché era il rappresentante dell'autonomia interna ebraica o giudaica. Da qui l'apertura alla collaborazione politica e conseguentemente al sincretismo cultuale. Le riforme in senso contrario di Esdra e Neemia sembra non abbiano avuto conseguenze durevoli per i sadociti. Così le tendenze assimilatrici della famiglia sommosacerdotale continuarono sotto i Tolomei ed i Seleucidi fino alla rivolta maccabica.

Il successo di quest'ultima (168-164) e gli ultimi successi politici e militari dei Maccabei allontanarono anzitutto i sadociti dalla loro influente posizione politica, in altre parole dalla carica di sommo sacerdote.
Dal 152 a.C. questa rimase nelle mani della famiglia sacerdotale degli Asmonei, che appartenevano solo a un ramo collaterale e non a quello principale dei sadociti.

Ben presto però la realtà del dominio asmoneo fu accettata da quelle famiglie sadocite che rappresentavano le tendenze assimilatrici e che erano in grado di conciliarle con una politica nazional-giudea indipendente. Gli Asmonei si allontanarono dai circoli conservatori ai quali dovevano la loro ascesa e strinsero rapporti coi sadducei. Questi ultimi procedettero logicamente secondo la linea seguita dalle famiglie sommo sacerdotali sadochite già dal secolo V a.C., praticarono cioè una politica nazional-assimilatrice. L'alleanza con Giovanni Arcano e con Alessandro Ianneo lo prova.
Tale origine, oltre al nome "Sadducei", spiega come il gruppo fosse per buona parte costituito da membri delle alte famiglie sacerdotali, provenienti quindi da famiglie benestanti e costituenti l'aristocrazia giudaica. La loro influenza era legata soprattutto al loro rango sociale. Inoltre, essendo essi padroni del Tempio, capi del personale del culto, eredi delle tradizioni dei sacerdoti che anticamente avevano il compito di insegnare la Legge, versati nella conoscenza del cerimoniale liturgico, applicavano la maggior parte della loro attività alle questioni religiose. Erano quindi un "partito" religioso, al pari dei farisei, e come questi annoveravano tra le proprie file degli Scribi o esperti della Legge.

Dai Farisei divergevano invece a ispirazione. Alla loro intransigenza religiosa opponevano l'apertura all'ellenismo e la comprensione politica. Ed è proprio questo a giustificare la loro concezione della Legge. Riducendola, infatti, al solo testo scritto, proveniente dal passato (questo dava loro, tra l'altro, il diritto di ritenersi i veri difensori della tradizione), senza l'aggiunta di ulteriori precetti fondati sulla tradizione orale, erano meno vincolanti nel proprio agire e facilitati sulla via del compromesso col mondo esterno.

Ne conseguiva anche un credo più ristretto di quello farisaico. Isadducei negavano, infatti, l'immortalità personale e la vita ultraterrena, il giudizio individuale dopo la morte e la resurrezione dei corpi, e non ammettevano nemmeno l'esistenza di angeli e demoni. Difendevano poi strenuamente il libero arbitrio umano, negando decisamente ogni predestinazione delle azioni dell'uomo da parte di Dio.

Possiamo far nostro il giudizio di Giuseppe Flavio, secondo il quale i Sadducei non godevano del favore del popolo. Nella loro interpretazione letterale della Legge, infatti, ne applicavano le prescrizioni rigorosamente, senza preoccuparsi di addolcirle eventualmente attraverso l'interpretazione della tradizione orale ( è il caso della legge del taglione, sostituita dai farisei con una pena pecuniaria). Erano poi duri e arroganti nei loro rapporti coi piccoli, mentre si mostravano assai indulgenti coi membri del proprio partito. Soddisfatti infine della sorte loro toccata sulla terra, non si preoccupavano molto della venuta del Regno di Dio, mentre la tendenza a non perdere le proprie posizioni di privilegio li portava a adattarsi molto bene al dominio romano (odiato invece dal popolo).

In tali condizioni il partito dei Sadducei non poteva sostenersi a lungo. E di fatti crollò insieme a Gerusalemme nel 70 d.C. Da allora la comunità ebraica rimase senza sacerdoti (non essendoci più il legittimo luogo del culto sacrificale) ed anche senza il partito che si era sempre trovato legato a loro. Sulla breccia restavano solo i Farisei.


Gli Esseni
Le scarse e non chiare conoscenze della sètta degli Esseni, delle quali eravamo debitori a Giuseppe Flavio, d'improvviso si sono enormemente accresciute in seguito ai ritrovamenti di Qumran (deserto di Giuda, presso il Mar Morto, avvenuto tra il 1947 ed il 1956). Ritrovamenti di grande interesse storico, linguistico, paleografico, giuridico, toponomastico, letterario. Ma per noi, ora, importanti soprattutto perché ci offrono la possibilità di conoscere meglio una delle correnti religiose più importanti tra quelle che formavano l'ambiente giudaico nel quale si è calata la rivelazione cristiana.

Non sono ancora del tutto chiare le loro origini (bisognerà attendere lo studio finale di quanto ritrovato). Probabilmente anche gli Esseni provengono, come i Farisei, dal gruppo degli Assidei dai quali si sono distaccati in seguito ad una crisi religiosa e politica. Forse costituenti la parte sacerdotale, estremistica-apocalittica degli Assidei, subito dopo la scisma hanno avuto una forte personalità, il "Maestro di giustizia" che li ha organizzati dottrinalmente e anche esternamente.

Essi si consideravano quel "resto" di Israele che il piano salvifico di Dio aveva contemplato quale sede di attuazione della Nuova Alleanza di cui parlava Geremia 31,31-34. Solo che, per essere i continuatori autentici dell'antico popolo della salvezza, occorreva portarsi nel deserto, onde ripetere colà il cammino quarantennale dei padri verso la terra promessa. Là, in una comunità strutturata secondo le indicazioni del libro dei Numeri (tribù divise per centinaia, migliaia, cinquantine, decine ), in una vita di penitenza tutta tesa ad eliminare il male annidatesi nell'uomo, si attendeva il gran giorno della venuta del Messia che, con una grande battaglia tra i figli delle tenebre e quelli della luce, avrebbe inaugurato i tempi nuovi. E ci si sarebbe ritrovati in una situazione come quella di prima dell'esilio, quando la prosperità del regno dipendeva dalla coordinazione ordinata di due capi, quello religioso (il gran sacerdote) e quello politico (il re).

Però, mentre l'antica comunità dell'alleanza era fondata sui vincoli di sangue, in questa comunità nuova si entrava invece per libera elezione, che trovava un limite ben preciso nelle condizioni fisiche e morali del candidato: "Gli stupidi, i pazzi, i fatui, i ciechi, gli storpi, gli zoppi, i sordi, i minorenni, nessuno di questi entra in seno alla comunità, poiché gli angeli santi stanno in mezzo a loro". Ovviamente questo la rendeva una "comunità chiusa, di privilegiati".

Gli Esseni avevano vari centri di abitazione:
Qumran, dove vivevano insieme in regime di comunanza di beni, povertà, celibato (quest'ultimo dovuto non ad un'anticipazione dell'ideale cristiano bensì a considerazioni di carattere sacerdotale e cultuale nonché ad un certo grado di misogenismo; Terra di Damasco, dove, contemporaneamente a Qumran secondo alcuni, nel periodo dopo Erode il grande secondo altri, vivevano in comunità di almeno dieci membri ciascuna, in relazione stretta con Qumran, in rapporto col Tempio e con l'ambiente giudaico, e non sottoposti alla disciplina comunitaria;
Villaggi e città palestinesi, dove molti seguivano gli ideali del movimento a guisa di terz'ordine, pronti ad ospitare gli affiliati della sètta che fossero di passaggio; Luoghi deserti, dove alcuni conducevano una vita anacoretica.

Il libri della sètta, dai quali possiamo trarre le notizie che ci concernono, sono:
La regola della comunità (manuale disciplinare);
Il Documento di Damasco, contenete una serie di riflessioni sul piano salvifico di Dio quale si svolge nella storia, e una serie di prescrizioni atte a regolare la vita dei membri della Nuova Alleanza nei campi di Damasco;
La regola della guerra, che offre istruzioni necessarie alla riuscita della guerra escatologica nella quale deve sfociare necessariamente la lotta attuale:
Una serie di Cantici o Inni di ringraziamento.

Come appare da queste opere, specie dalla Regola della Comunità, a Qumran gli aspiranti dovevano sostenere un postulandato di un anno, durante il quale si sforzavano di vivere la regola della comunità, mantenendo però il diritto di abbandonarla. Seguivano due anni di noviziato. Alla fine del primo anno partecipavano a certe pratiche comuni mentre alla fine del secondo prendevano parte ai banchetti sacri. Entrando nella comunità i novizi rinunciavano al possesso dei beni. Cerimonie determinate fissavano l'accettazione al probandato, al noviziato, all'ammissione nella comunità dove ognuno aveva un suo posto fisso.

La giornata era divisa tra il lavoro manuale (coltivazione della terra nella vicina oasi di En Gaddi e trascrizione di testi vari) e la riunione liturgica che occupava quotidianamente tutta la serata e consisteva nella lettura dei libri sacri, nella loro spiegazione e nelle preghiere nonché nel banchetto durante la quale si consumavano pane e vino ( il nome usato può voler dire vino dolce, mosto).

Sacerdoti ritirati dalla vita pubblica, per la disistima che nutrivano nella classe sacerdotale del tempo, nel Tempio e nel culto gerolimitano ( avevano anche un calendario liturgico proprio), conducevano una vita ascetica caratterizzata da una concezione profondamente dualistica della realtà: il mondo si divideva in due parti, i buoni e i cattivi. Questi ultimi non andavano convertiti, ma vinti, sconfitti. E Dio li aveva annoverati tra i buoni, per una grazia, onde averli a fianco nella lotta finale tra le forze del male capeggiate da Belial, principe delle tenebre, e quelle del principe della luce. La battaglia e la vittoria si sarebbero celebrate nel giro di 40 anni, grazie alla presenza di due mediatori: il Messia di Aronne, sacerdote, e il Messia di Israele, principe.
Intanto essi dovevano snidare il male da se stessi attraverso un'ardua ascesi. 

E non si può affermare che certi passi dei loro scritti non raggiungano un'alta sensibilità morale. "Non rendo a nessuno male per male; col bene io raggiungo l'uomo". Il Documento di Damasco prescrive che parte dei beni della comunità sia destinata "ai poveri, ai miseri, ai vecchi, agli invalidi, ai sinistrati, a quelli che sono prigionieri in paese nemico, alle donne non sposate, ai bambini abbandonati". Si affermava che Dio è il Santo e Onnipotente del quale l'uomo non può pretendere di conoscere il piano salvifico. E si confessava che, pur lottando contro il male, si sperimentava la gioia di una particolare intimità con Dio.

Parecchi detti riguardanti il loro Maestro di Giustizia richiamano certe pagine bibliche che parlano del Messia, troviamo negli Inni:
"Io sono stato oggetto di derisione per i ribelli
E contro di me si è levata l'assemblea degli empi...
Tu mi hai posto quale segno per gli eletti di giustizia
E sapiente interprete dei misteri meravigliosi
Per provare (quelli che fanno) la verità
Per mettere alla prova quelli che amano la correzione".
"Sono stato oggetto di dispute e di discussione per i vicini,
Di gelosia e di ira per quelli che sono entrati nella mia alleanza"
Al Maestro di Giustizia "Dio ha fatto conoscere tutti i misteri delle parole e dei profeti suoi", " La sua interpretazione è circa tutti quelli che eseguiscono la Legge nella casa di giuda, che Dio libererà dalla casa del giudizio a causa delle loro afflizioni e della loro fede nel Maestro di Giustizia"....
Ma nonostante tutti gli agganci col V.T., e nonostante le molte anticipazioni del N.T., l'Ellenismo è solo un fenomeno rilevante la ricchezza raggiunta dalla fede veterotestamentaria senza poter essere posto alla radice del fatto cristiano.

Il popolo della terra
Sullo sfondo delle denominazioni religiose finora illustrate sta l'insieme del popolo, quello che in senso solitamente dispregiativo chiamiamo "massa". E proprio in tal senso esso era chiamato "popolo della terra" (Am ha 'ares), vale a dire popolo di ignoranti la Legge, di impuri, di contaminati dal paganesimo.

Senza togliere nulla ai meriti, e anche ai difetti, di Farisei, Sadducei, Esseni, dobbiamo riconoscere che pure la comunità di queste anime semplici era portatrice di veri valori morali e religiosi, anche se questa gente non era protetta dalle contaminazioni dovute alla forzata convivenza con popolazioni pagane, non era sufficientemente istruita sulle minuzie della Legge. Tenuto in debito conto il fatto che la massa è fatta di anime generose, mediocri e anche cattive, si deve pur affermare che, nell'insieme, il popolo ebraico mostrava un grande attaccamento alla sostanza della religione tradizionale. In lui trovava una sua eco la predicazione profetica, vibravano le promesse messianiche, era presente lo spirito universalista e missionario dello jahvismo, non mancavano esempio di profonda pietà individuale.

La riprova di tutto questo si avrà nel fatto che Cristo si rivolgerà soprattutto, e troverà rispondenza, a queste persone umili, cui bene si attaglia la definizione biblica di "poveri di Jahvé".
La loro spiritualità sembra ben riassunta così:

"...nella prova essi esprimono davanti a Dio la loro angoscia con umiltà maggiore di quella di Giobbe; chiamano Dio in aiuto attendendo di vederlo manifestarsi nella sua giustizia trionfante. In nessuna altra parte il lamento della umanità sofferente si è alzato davanti a Dio in termini più eloquenti e patetici ( che nei Salmi, recitati dal popolo); Gesù stesso sulla croce pregherà mutuando dai Salmi le parole, ove la passione vi era come prefigurata. Ma la sofferenza, affinando le anime, è anche scuola di umiltà. I poveri di Jahvé prendono coscienza della morale miseria loro di fronte a Dio Creatore. Più di una volta il loro lamento termina con una confessione di colpevolezza. Trovano accenti penetranti per cantare la gioia e la confidenza del peccatore perdonato...Malgrado la sofferenza, la persecuzione e la malattia, i poveri di Jahvé conoscono al gioia. Mentre all'epoca dei profeti e del Deuteronomio gli Israeliti non immaginavano per l'uomo altra felicità all'infuori del possesso dei beni materiali, i salmisti scoprono un'altra fonte di gioia, infinitamente più alta e più pura: la gioia tutta intima, spirituale, di Amare Dio e di Adempiere la sua volontà..."

PRODUZIONE LETTERARIA

A testimonianza della vivacità e del fervore religioso del periodo sta la grande e complessa attività letteraria, ormai intrinsecamente legata alle esigenze della religione e non più concepita come puro fatto personale.
E' anzitutto proseguita la creazione di opere nuove.
Nel settore della storia vanno ricordati:

L'opera del cronista (1 e 2 Cronache, Esdra e Neemia) nella quale un fervente giudeo, influenzato dagli ambienti sacerdotali, riscrive la storia che da Adamo va fino alla riforma di Esdra e Neemia, con l'intento di esaltare due istituzioni assai care: la dinastia davidica, e il sacerdozio di Aronne. Opera a tesi, che da una parte idealizza (è il caso della presentazione di Davide) dall'altra tralascia fatti anche considerevoli (non dice nulla del Regno del Nord, considerato scismatico) riuscendo così incompleta.

1 e 2 Maccabei, due libri indipendenti tra loro , tanto diversi per contenuto e per stile letterario ma, comunque, pieni di insegnamenti dogmatici e morali. Anche se alla fine non saranno accolti nel canone ebraico, non meritano la svalutazione che alcuni danno loro.

In campo sapienziale vedono la luce:
Ecclesiaste, il libro più critico di tutto l'A.T. (vanità e inconsistenza del tutto), che prepara il terreno alla rivelazione ulteriore sbaragliandolo di tutte le certezze false o parziali.
Ecclesiastico, qui un maestro dotato di grandissima fede e innamorato della tradizione espone il frutto della propria esperienza di vita, ad edificazione soprattutto dei giovani.
Sapienza, non una raccolta di detti sapienziali, bensì un'illustrazione della sapienza, della sua natura, dei vantaggi che essa offre a chi la segue, del ruolo da lei ricoperto nella storia.
I Salmi, dopo una costante produzione loro, in questo periodo sono probabilmente raccolti e editi sotto il nome di Salmi di Davide.

La seconda attività è stata quella traduttoria
Nel periodo che va dalla metà circa del secolo III a quella del secolo II in Alessandria d'Egitto si è proceduto alla versione in greco dei libri sacri. E' nata così la Bibbia del LXX (settanta), che porta nel nome stesso il fatto di essere frutto di collaborazione. L'importanza subito acquisita ha dato luogo a numerose leggende. La Bibbia greca ha servito anzitutto agli Ebrei della diaspora per alimentare la propria fede e per fare opera di proselitismo tra i pagani. Nel N.T. sarebbe stata usata dalla comunità cristiana quale mezzo di conoscenza della rivelazione vetero testamentaria, di polemica con la Chiesa ebraica, di apologia presso i pagani cui si mostrava la superiorità del monoteismo giudeo-cristiano sulle altre religioni. 

I LXX costituirono poi la base per la traduzione della Bibbia in molte altre lingue. La Bibbia ebraica ha infine il vantaggio di contenere anche i deuterocanonici, sette libri che gli Ebrei non riconoscono ispirati.
C'è una scuola esegetica (quella francese) che tende a considerare la Bibbia greca opera scritta sotto ispirazione divina.

La terza linea di impegno
E' stata quella della definizione della lista o "canone" dei libri sacri, sui quali gli Ebrei erano chiamati a fondare la loro fede. Anche se al riguardo non abbiamo notizie precise, esistono indizi in base ai quali ritenere che alla Torah o Legge gli Ebrei abbiano aggiunto in questi secoli la lista dei "Profeti": cioè che io chiamo "opera deuteronomistica (Giosué- 2 Re) contenente la menzione di molti profeti, e in più i libri contenenti la sostanza della predicazione profetica vera e propria. Con la chiusura di questa seconda parte del canone veterotestamentario, si è subito aperto il lavoro di definizione della terza parte: "Gli scritti", destinata a comprendere opere di natura diversa, libri storici, sapienziali, d'edificazione a base storica.

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