STORIA DEL POPOLO EBRAICO
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SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTODOMINAZIONE GRECA (332-63 a.C.) cap.3 |
SITUAZIONE RELIGIOSASacerdozio Il calendario liturgico Il Sinedrio La sua composizione originale è aristocratica. Fino ad Alessandra era costituito di due classi, poi di tre:
Il numero dei membri è di 71. Vi si può entrare per elezione, oppure per designazione imperiale. Di altro non si sa. Le riunioni sono tenute in un luogo apposito, vicino alla spianata del Tempio. Le sue competenze in un primo tempo sono assai vaste, includendo tutte le questioni religiose e tutti i casi criminali o civili non riservati al governo imperiale. Ma dopo il 63 a.C., con l'arrivo dei Romani, sono limitate assai: Roma avoca a sé la tradizione dei crimini capitali. Partiti o denominazioni religiose Per una conoscenza approfondita di questa parte, oltre alle opere bibliche composte dopo l'esilio, occorre usare i libri apocrifi: Giuseppe Flavio, le fonti postbibliche ebraiche e aramaiche (testi di Qumran, Talmud, Midrashim), e le opere del N.T. di cui va però tenuto presente lo spirito polemico. Purtroppo gli studi condotti in questo settore sono ancora lungi dal riuscire esaustivi; le ombre sono ancora più numerose delle luci. Occorre accontentarsi spesso di semplici supposizioni. Gli Assidei ( da Hasidim = pii) Le loro idee religiose, professate con tanto zelo da meritare loro il titolo di "pii", sarebbero: un grande scetticismo verso il Tempio di Gerusalemme, sconsacrato e servito da sacerdoti da loro ritenuti indegni; l'attesa per la fine dei tempi di un sacerdote che sarebbe stato superiore al messianico Figlio di Davide; l'attesa di un Tempio nuovo scendente dal cielo e di una nuova Gerusalemme; l'uso di un calendario liturgico diverso da quello gerosolimitano; la visione dualista del mondo in buoni (quelli della loro comunità) e cattivi (gli altri), i primi destinati alla resurrezione gloriosa e i secondi alla dannazione. Possiamo chiederci se gli Assidei siano stati in relazioni cordiali con i Maccabei, come lascia intendere 1 Macc. 2,42, o se invece li abbiano considerati alla stregua dei loro successori Asmonei, vale a dire degli ipocriti che si accontentavano della libertà di culto e della sicurezza politico-militare senza voler provocare una vera svolta del mondo. Questa seconda ipotesi sarebbe suffragata da Daniele 11,34, originato da circoli assidei. I Farisei Origine: i Farisei, compaiono con questo nome sotto Ircano (135-104 a.C.), e costituiscono un movimento le cui origini restano tuttora assai oscure. Solitamente si fa derivare dagli Assidei, ma la sua apparizione deve essere legata anche allo sviluppo della classe degli scribi e alla crescita della tradizione orale, nonché all'influenza dell'ellenismo. Natura del fariseismo: si trattava di un movimento non politico ma religioso. I farisei credevano che il Regno di Dio si sarebbe stabilito per intervento diretto di Dio, senza bisogno di sforzi umani. Il governo straniero era ritenuto una punizione divina per i propri peccati e, come tale, andava accettato con sottomissione. D'altra parte esso costituiva una profanazione della terra Santa e del popolo eletto, nonché un ostacolo allo stabilirsi del Regno. Come tale il potere degli stranieri doveva essere distrutto mediante una rivolta. Per questo i farisei non furono dapprima amici degli Asmonei ai quali rimproveravano poco o nessun attaccamento alla causa del Regno (sostennero solo Alessandra); poi furono attivi in ogni guerra di ribellione, da quella dei Maccabei fino a quella di Bar Kokheba nel 135 d.C. Intanto, dato il loro modo di pensare e di agire, i Romani non potevano che diffidare di gente la quale, ossequiente quando essi erano forti, era sempre tra i rivoltosi nei momenti per loro critici. Elementi specifici del fariseismo sono almeno tre:
La scienza giuridica, enormemente sviluppata dai farisei, concerneva in modo particolare in tre punti:
Tutto ciò va considerato quale frutto di una mentalità puerile, di formalismo esteriore, oppure di una serietà di sforzi nel far sì che la religione restasse una cosa viva, una vera pratica di vita? Il paragone che possiamo fare tra questa legislazione e la nostra morale cristiana quale si era andata configurando nei testi di un recente passato credo ci costringa ad un giudizio sfumato, non troppo categorico né in un senso né nell'altro. In campo dottrinale o teologico i farisei hanno alimentato la fiamma della pietà giudaica portando il "credo" ad un ulteriore sviluppo dovuto in parte alla deduzione di verità dalla rivelazione antica ed in parte basato sulla tradizione orale. I farisei professano ad esempio l'immortalità personale, il giudizio dopo la morte, la resurrezione dei corpi e l'esistenza degli angeli; danno grande spazio al rapporto tra libertà umana e azione della Provvidenza, attendono fermamente la venuta del Regno di Dio sulla terra e professano la più viva fede messianica. Tutti rimproveri veri, sacrosanti! Ma riguardano il fariseismo in se stesso o non piuttosto i singoli farisei? Costituiscono una critica al sistema in se stesso o non alla dottrina farisaica comparata con la novità evangelica? Si tratta in ogni caso di una critica polemica che, per natura sua, non vuole esprimere tutta la verità e che, assolutizzata, deformerebbe la realtà storica. Questi maestri erano insieme teologi, esegeti, giuristi e moralisti: formavano dei discepoli attraverso l'insegnamento e l'esempio; attorno a adepti convinti si radunava una larga clientela di simpatizzanti. Giuseppe, che aveva aderito alle dottrine farisaiche, ha presentato questo partito come una scuola filosofica, ma non era che un artificio destinato ad accecare il lettore romano. Ogni volta che essi sono stati trascinati a parteggiare sul terreno politico, il loro atteggiamento è stato dettato dai loro principi religiosi; per loro non esisteva nulla fuori della religione nazionale, concretata nella Legge. Da questo si spiega la loro azione e l'influenza da lei esercitata. Annotazione: Il vangelo spesso accomuna farisei e scribi con "guai a voi, scribi e farisei..."; in realtà i due gruppi non s'identificano. Lo scriba è, infatti, un esperto della Scrittura, della Legge. Ma nell'interpretarla egli può condividere il pensiero dei Farisei oppure condividere la dottrina dei Sadducei. Così gli Scribi si trovano sia tra i Farisei sia tra i Sadducei. Di fatto, però, la maggioranza degli Scribi, che erano laici, hanno militato tra le fila del partito laicale dei Farisei. Da qui l'accoppiamento operato dalle fonti evangeliche. I Sadducei Il successo di quest'ultima (168-164) e gli ultimi successi politici e militari dei Maccabei allontanarono anzitutto i sadociti dalla loro influente posizione politica, in altre parole dalla carica di sommo sacerdote. Ben presto però la realtà del dominio asmoneo fu accettata da quelle famiglie sadocite che rappresentavano le tendenze assimilatrici e che erano in grado di conciliarle con una politica nazional-giudea indipendente. Gli Asmonei si allontanarono dai circoli conservatori ai quali dovevano la loro ascesa e strinsero rapporti coi sadducei. Questi ultimi procedettero logicamente secondo la linea seguita dalle famiglie sommo sacerdotali sadochite già dal secolo V a.C., praticarono cioè una politica nazional-assimilatrice. L'alleanza con Giovanni Arcano e con Alessandro Ianneo lo prova. Dai Farisei divergevano invece a ispirazione. Alla loro intransigenza religiosa opponevano l'apertura all'ellenismo e la comprensione politica. Ed è proprio questo a giustificare la loro concezione della Legge. Riducendola, infatti, al solo testo scritto, proveniente dal passato (questo dava loro, tra l'altro, il diritto di ritenersi i veri difensori della tradizione), senza l'aggiunta di ulteriori precetti fondati sulla tradizione orale, erano meno vincolanti nel proprio agire e facilitati sulla via del compromesso col mondo esterno. Ne conseguiva anche un credo più ristretto di quello farisaico. Isadducei negavano, infatti, l'immortalità personale e la vita ultraterrena, il giudizio individuale dopo la morte e la resurrezione dei corpi, e non ammettevano nemmeno l'esistenza di angeli e demoni. Difendevano poi strenuamente il libero arbitrio umano, negando decisamente ogni predestinazione delle azioni dell'uomo da parte di Dio. Possiamo far nostro il giudizio di Giuseppe Flavio, secondo il quale i Sadducei non godevano del favore del popolo. Nella loro interpretazione letterale della Legge, infatti, ne applicavano le prescrizioni rigorosamente, senza preoccuparsi di addolcirle eventualmente attraverso l'interpretazione della tradizione orale ( è il caso della legge del taglione, sostituita dai farisei con una pena pecuniaria). Erano poi duri e arroganti nei loro rapporti coi piccoli, mentre si mostravano assai indulgenti coi membri del proprio partito. Soddisfatti infine della sorte loro toccata sulla terra, non si preoccupavano molto della venuta del Regno di Dio, mentre la tendenza a non perdere le proprie posizioni di privilegio li portava a adattarsi molto bene al dominio romano (odiato invece dal popolo). In tali condizioni il partito dei Sadducei non poteva sostenersi a lungo. E di fatti crollò insieme a Gerusalemme nel 70 d.C. Da allora la comunità ebraica rimase senza sacerdoti (non essendoci più il legittimo luogo del culto sacrificale) ed anche senza il partito che si era sempre trovato legato a loro. Sulla breccia restavano solo i Farisei.
Non sono ancora del tutto chiare le loro origini (bisognerà attendere lo studio finale di quanto ritrovato). Probabilmente anche gli Esseni provengono, come i Farisei, dal gruppo degli Assidei dai quali si sono distaccati in seguito ad una crisi religiosa e politica. Forse costituenti la parte sacerdotale, estremistica-apocalittica degli Assidei, subito dopo la scisma hanno avuto una forte personalità, il "Maestro di giustizia" che li ha organizzati dottrinalmente e anche esternamente. Essi si consideravano quel "resto" di Israele che il piano salvifico di Dio aveva contemplato quale sede di attuazione della Nuova Alleanza di cui parlava Geremia 31,31-34. Solo che, per essere i continuatori autentici dell'antico popolo della salvezza, occorreva portarsi nel deserto, onde ripetere colà il cammino quarantennale dei padri verso la terra promessa. Là, in una comunità strutturata secondo le indicazioni del libro dei Numeri (tribù divise per centinaia, migliaia, cinquantine, decine ), in una vita di penitenza tutta tesa ad eliminare il male annidatesi nell'uomo, si attendeva il gran giorno della venuta del Messia che, con una grande battaglia tra i figli delle tenebre e quelli della luce, avrebbe inaugurato i tempi nuovi. E ci si sarebbe ritrovati in una situazione come quella di prima dell'esilio, quando la prosperità del regno dipendeva dalla coordinazione ordinata di due capi, quello religioso (il gran sacerdote) e quello politico (il re). Però, mentre l'antica comunità dell'alleanza era fondata sui vincoli di sangue, in questa comunità nuova si entrava invece per libera elezione, che trovava un limite ben preciso nelle condizioni fisiche e morali del candidato: "Gli stupidi, i pazzi, i fatui, i ciechi, gli storpi, gli zoppi, i sordi, i minorenni, nessuno di questi entra in seno alla comunità, poiché gli angeli santi stanno in mezzo a loro". Ovviamente questo la rendeva una "comunità chiusa, di privilegiati". Gli Esseni avevano vari centri di abitazione: Il libri della sètta, dai quali possiamo trarre le notizie che ci concernono, sono: Come appare da queste opere, specie dalla Regola della Comunità, a Qumran gli aspiranti dovevano sostenere un postulandato di un anno, durante il quale si sforzavano di vivere la regola della comunità, mantenendo però il diritto di abbandonarla. Seguivano due anni di noviziato. Alla fine del primo anno partecipavano a certe pratiche comuni mentre alla fine del secondo prendevano parte ai banchetti sacri. Entrando nella comunità i novizi rinunciavano al possesso dei beni. Cerimonie determinate fissavano l'accettazione al probandato, al noviziato, all'ammissione nella comunità dove ognuno aveva un suo posto fisso. La giornata era divisa tra il lavoro manuale (coltivazione della terra nella vicina oasi di En Gaddi e trascrizione di testi vari) e la riunione liturgica che occupava quotidianamente tutta la serata e consisteva nella lettura dei libri sacri, nella loro spiegazione e nelle preghiere nonché nel banchetto durante la quale si consumavano pane e vino ( il nome usato può voler dire vino dolce, mosto). Sacerdoti ritirati dalla vita pubblica, per la disistima che nutrivano nella classe sacerdotale del tempo, nel Tempio e nel culto gerolimitano ( avevano anche un calendario liturgico proprio), conducevano una vita ascetica caratterizzata da una concezione profondamente dualistica della realtà: il mondo si divideva in due parti, i buoni e i cattivi. Questi ultimi non andavano convertiti, ma vinti, sconfitti. E Dio li aveva annoverati tra i buoni, per una grazia, onde averli a fianco nella lotta finale tra le forze del male capeggiate da Belial, principe delle tenebre, e quelle del principe della luce. La battaglia e la vittoria si sarebbero celebrate nel giro di 40 anni, grazie alla presenza di due mediatori: il Messia di Aronne, sacerdote, e il Messia di Israele, principe. E non si può affermare che certi passi dei loro scritti non raggiungano un'alta sensibilità morale. "Non rendo a nessuno male per male; col bene io raggiungo l'uomo". Il Documento di Damasco prescrive che parte dei beni della comunità sia destinata "ai poveri, ai miseri, ai vecchi, agli invalidi, ai sinistrati, a quelli che sono prigionieri in paese nemico, alle donne non sposate, ai bambini abbandonati". Si affermava che Dio è il Santo e Onnipotente del quale l'uomo non può pretendere di conoscere il piano salvifico. E si confessava che, pur lottando contro il male, si sperimentava la gioia di una particolare intimità con Dio. Parecchi detti riguardanti il loro Maestro di Giustizia richiamano certe pagine bibliche che parlano del Messia, troviamo negli Inni: Il popolo della terra Senza togliere nulla ai meriti, e anche ai difetti, di Farisei, Sadducei, Esseni, dobbiamo riconoscere che pure la comunità di queste anime semplici era portatrice di veri valori morali e religiosi, anche se questa gente non era protetta dalle contaminazioni dovute alla forzata convivenza con popolazioni pagane, non era sufficientemente istruita sulle minuzie della Legge. Tenuto in debito conto il fatto che la massa è fatta di anime generose, mediocri e anche cattive, si deve pur affermare che, nell'insieme, il popolo ebraico mostrava un grande attaccamento alla sostanza della religione tradizionale. In lui trovava una sua eco la predicazione profetica, vibravano le promesse messianiche, era presente lo spirito universalista e missionario dello jahvismo, non mancavano esempio di profonda pietà individuale. La riprova di tutto questo si avrà nel fatto che Cristo si rivolgerà soprattutto, e troverà rispondenza, a queste persone umili, cui bene si attaglia la definizione biblica di "poveri di Jahvé". "...nella prova essi esprimono davanti a Dio la loro angoscia con umiltà maggiore di quella di Giobbe; chiamano Dio in aiuto attendendo di vederlo manifestarsi nella sua giustizia trionfante. In nessuna altra parte il lamento della umanità sofferente si è alzato davanti a Dio in termini più eloquenti e patetici ( che nei Salmi, recitati dal popolo); Gesù stesso sulla croce pregherà mutuando dai Salmi le parole, ove la passione vi era come prefigurata. Ma la sofferenza, affinando le anime, è anche scuola di umiltà. I poveri di Jahvé prendono coscienza della morale miseria loro di fronte a Dio Creatore. Più di una volta il loro lamento termina con una confessione di colpevolezza. Trovano accenti penetranti per cantare la gioia e la confidenza del peccatore perdonato...Malgrado la sofferenza, la persecuzione e la malattia, i poveri di Jahvé conoscono al gioia. Mentre all'epoca dei profeti e del Deuteronomio gli Israeliti non immaginavano per l'uomo altra felicità all'infuori del possesso dei beni materiali, i salmisti scoprono un'altra fonte di gioia, infinitamente più alta e più pura: la gioia tutta intima, spirituale, di Amare Dio e di Adempiere la sua volontà..." PRODUZIONE LETTERARIAA testimonianza della vivacità e del fervore religioso del periodo sta la grande e complessa attività letteraria, ormai intrinsecamente legata alle esigenze della religione e non più concepita come puro fatto personale. L'opera del cronista (1 e 2 Cronache, Esdra e Neemia) nella quale un fervente giudeo, influenzato dagli ambienti sacerdotali, riscrive la storia che da Adamo va fino alla riforma di Esdra e Neemia, con l'intento di esaltare due istituzioni assai care: la dinastia davidica, e il sacerdozio di Aronne. Opera a tesi, che da una parte idealizza (è il caso della presentazione di Davide) dall'altra tralascia fatti anche considerevoli (non dice nulla del Regno del Nord, considerato scismatico) riuscendo così incompleta. 1 e 2 Maccabei, due libri indipendenti tra loro , tanto diversi per contenuto e per stile letterario ma, comunque, pieni di insegnamenti dogmatici e morali. Anche se alla fine non saranno accolti nel canone ebraico, non meritano la svalutazione che alcuni danno loro. In campo sapienziale vedono la luce: La seconda attività è stata quella traduttoria I LXX costituirono poi la base per la traduzione della Bibbia in molte altre lingue. La Bibbia ebraica ha infine il vantaggio di contenere anche i deuterocanonici, sette libri che gli Ebrei non riconoscono ispirati. La terza linea di impegno |
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