STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTO

PREMESSA

I secoli che dal ritorno degli esuli ebrei in terra babilonese nella loro patria fino all’inizio dell’era cristiana sono solitamente chiamati “periodi della restaurazione”. La denominazione è giustificata solo parzialmente, quando intenda riferirsi alla ricostruzione o riedificazione del Tempio di Gerusalemme distrutto dai babilonesi: fatto che assume una grande importanza per la nuova comunità ebraica. 

Applicata all’insieme dell’esperienza storica del dopo esilio, invece, riesce impropria e addirittura pericolosa, lasciando intendere che il popolo ebraico, col ritorno in patria, non avrebbe fatto altro che riprendere le fila interrotte della propria storia, ritornando alle proprie istituzioni di un tempo. L’esilio sarebbe stato una parentesi apertasi agli inizi del secolo VI e definitivamente chiusa nel 538 a.C., senza lasciare conseguenze particolari all’infuori della definitiva perdita dell’indipendenza politica.

In realtà le cose sono assai diverse. Lungi dal prolungare l’esperienza monarchica passata, il popolo è stato nella necessità di darsi una strutturazione sociale nuova, una nuova civiltà, il Giudaismo, ove gli elementi del passato sono stati completamente rifusi, rivissuti secondo le nuove esigenze, e anche la cultura ha preso una piega diversa. Lo Jahvismo è continuato, ma su binari del tutto diversi da quelli percorsi in precedenza. Il “periodo della restaurazione” porta il marchio di un’assoluta originalità. E proprio per questo è molto interessante.

 

Importanza del nuovo periodo storico

Lo poniamo in evidenza con le parole di una grand’autorità in campo biblico:
“L’accento posto a ragione sui profeti dalla critica storica del diciannovesimo secolo…ha avuto come risultato una certa tendenza a far considerare meno importante ciò che segue. Anche prescindendo da questo, il fatto che i libri storici dell’Antico Testamento terminino, poiché la storia continua, con l’esilio e non abbiano alcunché da dirci degli avvenimenti che successero dopo la metà del V secolo, ha inconsciamente influenzato l’impostazione e la valutazione della storia d’Israele nel suo insieme. Il periodo postesilico appare semplicemente come epilogo, oppure come un semplice tempo d’attesa del Cristianesimo”.

“Ma si tratta di una valutazione errata, poiché questi cinque secoli della vita nazionale furono ben lungi dall’essere insignificanti. Se l’età dei profeti vide la nascita di idee originali, queste divennero operanti ed efficaci nella vita della comunità nel periodo postesilico…L’Antico Testamento che noi conosciamo è, infatti, il corpus della letteratura religiosa dell’ebraismo postesilico. La leggenda giudaica secondo la quale avrebbe recuperato gli antichi scritti dopo la loro distruzione (Esdra 14, 19-48) non è del tutto falsa. Non solo una considerevole parte delle scritture canoniche fu effettivamente scritta in quel periodo, ma anche tutto quello che è sopravvissuto della letteratura precedente, si conservò proprio perché gli scribi del secolo VI e dei seguenti lo giudicarono degno di sopravvivere. Sicché tutto reca l’impronta della loro opera. Il canone dei profeti stesso, fu creato dalla comunità postesilica. Probabilmente non v’è un solo libro che non abbia subito dei ritocchi alla luce delle idee dominanti di quel periodo, ed in certi casi si tratta di una revisione sostanziale”.

Vorrei aggiungere ancora un’esplicitazione: il nuovo e imponente fenomeno letterario è frutto, e segno, del clima nuovo nel quale la comunità di Israele ha dovuto prendere il patrimonio antico, rimeditarlo e approfondirlo, organizzarlo ed esprimerlo in forme che, per essere attuali, dovevano sacrificare gli schemi del passato. Cosicché il Giudaismo diventa una tappa obbligata verso quella “pienezza dei tempi” che Dio aveva stabilito per la venuta tra noi del suo Verbo.

 

Unità e divisione del periodo

Gli ultimi secoli dell’Antico Testamento sono tutti caratterizzati dalla perdita definitiva dell’indipendenza politica da parte del popolo eletto il quale dovette finalmente scoprire, secondo l’annunzio profetico, che l’elezione divina non comportava il predominio esterno di Jahvé sulle divinità degli altri popoli e col primato visibile della nazione di Israele sul mondo: Jahvé era sì il Signore e autore della storia, ma lo era animandola dall’interno, facendola concorrere all’edificazione del Regno e quindi anche al progresso religioso-morale di Israele chiamato a condividere il nascondimento e l’umiltà di Dio.

Se costante, però, è stata la condizione di asservimento alle potenze straniere, diversi furono i dominatori, come diversa si è rivelata la loro politica nei riguardi degli Ebrei.
Ecco allora giustificata la divisione di questo periodo in tre momenti: dominazione persiana, dominazione greca e dominazione romana; divisione corrispondente appunto al prevalere della Persia, delle forze politiche del mondo ellenista, di Roma. 

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