STORIA DEL POPOLO EBRAICO
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PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIOMONARCHIA DIVISA |
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Le fonti di conoscenza I libri storici 1 Re 12 e 2 Re 25; 1 e 2 Cronache, considerano il regno del nord come scismatico, non lo prendono in considerazione, è così una fonte incompleta. Le opere dei Profeti del tempo: Amos, Osea, Isaia, Michea per il secolo VIII°; Geremia Nahum, Sofonia, Abacuc per il secolo VII°, ci danno la situazione dall’interno. Di qualche utilità riescono anche alcune parti dei libri sapienziali. Teniamo sempre presente di trovarci di fronte a scritti di tematica religiosa, presentanti una storia incompleta, per di più perseguita secondo canoni spesso divergenti dai canoni storici attuali.
Divisione e conseguenzeSua occasione Nonostante i forti governi di Davide e Salomone che si erano proposti di ridurre a regno unitario quella che era una confederazione di tribù, né Israele né Giuda avevano perduto la coscienza d’essere metà di uno stesso regno. Così la morte di Salomone, che negli ultimi anni di vita era ormai sopportato come un dispotico tiranno, rappresentò il riaccendersi di grandi speranze per le tribù del Nord, perché finalmente potevano pensare che il servizio obbligatorio del lavoro sarebbe stato alleggerito e che le redini troppo tese dell’accentramento amministrativo si sarebbero allentate. Essendo andate deluse le attese, le tribù settentrionali si staccarono dal regno e crearono uno stato indipendente. Divisione politica Troviamo i fatti descritti con sufficiente ampiezza e chiarezza in 1 Re 12,1-25. La scissione va ascritta alla poca saggezza politica del successore di Salomone, Roboamo, mal consigliato dai suoi. Scisma religioso La separazione politica delle tribù settentrionali ha subito portato ad una scissione anche sul piano religioso. La forza d’irradiazione del Tempio di Gerusalemme era troppo grande perché i nuovi sovrani del nord le potessero restare indifferenti. In realtà, pellegrinando a Gerusalemme i loro sudditi non avrebbero tardato a sentire nuovamente la comunanza degli ideali religiosi, e chissà se non sarebbe rinato in loro il desiderio di tornare all’unità politica. Dal canto loro i profeti operanti al nord si aspettavano che Geroboamo restaurasse in tutta la sua purezza il culto di Jahvé, liberandolo da tutte le sovrastrutture pagane. In tal modo la politica s’impadronì della religione e ciò che inizialmente voleva essere solo una separazione politica causò uno scisma religioso vero e proprio. Ricostruiamo le fasi della sua attuazione, operata in modo veramente accorto e logico, senza che il re desse l’impressione di essere un innovatore:
Conseguenze La separazione dei due regni rappresenta uno dei momenti più tristi della storia ebraica. Si ebbe, infatti, una dissoluzione sia all’interno sia all’esterno della Palestina. Internamente ne risultavano due regni assai deboli. Il regno di Giuda comprendeva soltanto le tribù di Giuda e di Beniamino il cui territorio era alquanto ristretto, e quindi la sua forza politica e militare riusciva irrilevante. Ma nemmeno il regno del nord poté mantenere la potenza del regno unito, anche se il suo territorio restava ancora molto vasto ed era occupato dalla maggioranza delle tribù. Esso minacciava, infatti, di essere dilaniato da lotte intestine; cosa che avvenne: i vari re morirono quasi tutti violentemente in seguito a congiure di palazzo dovute al principio dell’elezione del re da parte del popolo. La caccia al trono ha fatto sì che si succedessero ben nove dinastie. Già deboli, i due regni si dissanguarono spesso, anche se non sempre, anche attraverso guerre reciproche: “E v’era guerra tutti i giorni tra i re d’Israele e di Giuda” (1 Re 14,30; 15,6.7.16.32). All’esterno da una parte tutte le popolazioni soggiogate da Davide e Salomone e che non fossero state assorbite potevano approfittare della situazione per riprendere la loro autonomia; dall’altra i regni divisi dovettero ora guardare da soli come equilibrarsi nel gioco delle forze politiche del Medio Oriente, cambiate pure loro in modo violento: c’era una continua tensione tra le grandi potenze (Egitto da un parte, Assiria e Babilonia dall’altra) per il dominio della zona siriana, ed i due regni si appoggiavano in modo diverso all’una e all’altra.
Profilo del tempoEloquenza della lista dei re Riporto l’elenco dei vari re di Israele e di Giuda, apparentemente arido ma, ad una considerazione attenta, assai eloquente.
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Notiamo che:
Situazione politica generale Egitto: esso si fa sentire all’inizio e alla fine del periodo. Sosenq, fondatore della XIII dinastia, compie un’ampia scorribanda in tutta la Palestina, con l’intento di impadronirsi delle vie commerciali degli Arabi. Roboamo, primo re di Gerusalemme, si salva inviandogli tesori dalla sua capitale (1 Re 14,25-28; 2 Cron.12,1-12). In tal modo l’Egitto si assicura il dominio stabile della Palestina fino al tempo di Acab (873-854). Regno di Damasco: è stato il regno col quale gli stati di Israele e di Giuda ebbero maggiormente a che fare nel periodo che va dalla separazione fino alla distruzione di Samaria (721 a.C.). Già dominato da Davide, si era poi sottratto al regno di Salomone quando Rezon si era impadronito di Damasco scacciandovi il governatore posta colà da Davide e insediandovisi re, senza che Salomone sapesse o volesse muoversi al contrattacco. Assiria: questa potenza, dopo un lungo periodo di assenza dagli immensi territori circonvicini dovuta alla necessità di risolvere crisi interne, si scatena per così dire in tutto il Medio Oriente dalla metà del secolo VIII con i tre sovrani citati. Sotto di loro i regni palestinesi conoscono invasioni, distruzioni, durezze dei tributi, fino a quando Samaria è distrutta e il suo regno annientato nel 722-721 ad opera di Salmanassar e Sargon. Babilonia: alla fine del secolo VII l’Assiria, con Sin-Sariskun figlio di Assurbanipal (629-612), deve cedere il comando ai Babilonesi, momentaneamente sostenuti dai Medi e ostacolati (ma invano) dall’Egitto. Nabupolassar (626-605) e Nabucodonosor sono i due re babilonesi che causeranno l’agonia e la morte del regno di Giuda. Situazione sociale La monarchia divisa vede il consolidarsi definitivo della civiltà sedentaria, con la sua organizzazione della vita agricola (lavorazione dei campi, delle vigna, degli oliveti, allevamento del bestiame, cura dei frutteti), di quella cittadina ( con la sua sempre più complessa macchina politico-economico-amministrativa) e di quella commerciale. La sedenterazzizazione aveva già portato una profonda trasformazione sostituendo alla tribù il clan (mispahah) installato in una città che poi era il villaggio; qui però tutte le famiglie erano ancora uguali. Ora, la monarchia centralizzata introdusse dei cambiamenti importanti. Gli ufficiali e funzionari del re, civili o militari, raggruppati nelle due capitali o distribuiti in provincia quali agenti dell’autorità, formarono una specie di casta staccata dagli interessi municipali e talvolta in conflitto con loro. Soprattutto il gioco della vita economica, le transazioni commerciali e fondiarie ruppero l’eguaglianza tra le famiglie, alcune delle quali divennero molto ricche mentre altre si impoverirono. E’ però abusivo ritrovare nell’antica società israelitica i contrasti conosciuti da altri gruppi umani tra i nobili e plebei, capitalisti e proletari. In Israele non ci sono mai state classi sociali in senso moderno, vale a dire gruppi coscienti dei loro interessi particolari e in opposizione tra loro. E’ bene ricordare: I notabili: gruppo aperto della classe dirigente, di funzionari e capi delle famiglie influenti, i quali godevano nelle città e nel regno di certi privilegi e possedevano gran parte delle terre;
Sviluppo dello JahvismoPremessa: considerando lo jahvismo come un’entità formatasi nel suo complesso di credenze a di riti dal tempo di Mosé e destinata a mantenersi intatta nel corso della storia, finiremo per giudicare le sue vicissitudini del tempo della monarchia divisa come negative e fallimentari. Un giudizio più positivo e, tutto sommato, maggiormente oggettivo, lo possiamo avere pensando che lo jahvismo è andato definendosi man mano nel corso della storia veterotestamentaria. Potremo allora considerare anche le tentazioni e i momentanei fallimenti suoi quali tappe del suo tormentato cammino che l’ha condotto ad essere di volta in volta se stesso. Storicamente abbiamo , infatti, un’ispirazione unica che ha trovato espressioni man mano diverse, legate ai vari periodi storici. Pericolo e tentazioni Cominciando dagli ostacoli che lo jahvismo ha trovato sul suo cammino, affermiamo che nel nostro periodo esso è andato soggetto a tre grandi tentazioni: La prima è stata quella di un suo abbandono in favore delle religioni idolatriche dell’ambiente. Un pericolo persistente, ma che ha avuto uno dei culmini nel secolo IX allorché, sotto gli Omridi, la politica di alleanza con Tiro aveva aperto le porte della Palestina al Pantheon fenico e al dio Baal. La minaccia fu sventata grazie all’intervento prodigioso di due grandi figure di “profeti dell’azione”, Elia ed Eliseo (1 e2 Re). Tuttavia, come dimostrano gli scritti profetici e storici , coi loro giudizi sui vari re, essa non è mai completamente scomparsa fino alla fine dei due regni. A questo pericolo hanno ovviato i vari educatori e maestri di Israele, grazie ai quali il nostro periodo ha fatto registrare un grande balzo in avanti della fede veterotestamentaria. Possiamo identificarli nelle tre categorie di profeti, sacerdoti e sapienti, non tutte operanti però né sullo stesso piano né con la stessa intensità né contemporaneamente.
I Maestri del popolo elettoI profeti Se esiste una categoria di persone che già nel nostro periodo merita i titoli onorifici di “educatori” o “maestri”, questa è senz’alcun dubbio la categoria dei Profeti di Israele. La loro opera è stata tanto grande ed è stata di tale portata da darci il diritto di parlare di un’epoca dei profeti e di chiamare lo jahvismo non solo religione mosaica ma anche religione profetica e dei profeti. Origine del profetismo. Il fenomeno profetico in quanto tale non è esclusivo della religione ebraica. Da molto tempo le religioni orientali avevano tutte i loro veggenti, indovini. L’ambiente religioso cananeo aveva visto da qualche secolo svilupparsi confraternite di devoti che si abbandonavano pubblicamente a trasporti estatici. La storia delle religioni cita fatti analoghi sotto tutte le latitudini, dai lama del Tibet agli stregoni africani, dalle baccanti greche ai dervisci dell’Islam e ai convulsionari di San Medardo. Durante la loro estasi si pensava che questi uomini parlassero a nome della divinità; e probabilmente il loro nome: nabi, profeta, porta-parola di Dio, potrebbe voler dire semplicemente “il chiamato” colui che ha ricevuto la chiamata divina. Per combattere ad armi pari contro l’idolatria, la religione di Israele ebbe pure i suoi veggenti, poi confraternite di profeti raccolti attorno ai santuari; ma le loro pratiche si conformavano alle esigenze della Legge. Erano una delle forze vive dello jahvismo, grazie al prestigio di cui godeva il loro entusiasmo religioso presso le masse. Erano come i monaci del tempo. Facendo essi professione di profetismo, tra di loro si contavano credenti sinceri, addirittura fanatici, ma indubbiamente anche persone mediocri e cupide. Intanto emerge in Israele poco a poco tra questi veggenti o profeti di mestiere un’altra specie di uomini: sono i profeti di vocazione. Una vocazione autentica non l’ha chi vuole! Nei secoli precedenti, senza parlare di Mosé, Samuele è chiamato veggente. Quando si parla di profeti in Israele, occorre perciò distinguere accuratamente questi due sensi della parola profeta. Le confraternite profetiche hanno certo contribuito a mantenere la tradizione religiosa in Israele; ma è grazie all’azione degli ispirati, chiamati con una vocazione personale, che la Rivelazione biblica deve il suo approfondimento all’epoca dei re. I profeti di corte costituiscono un’altra categoria di persone che dovremo distinguere dai nostri profeti di vocazione. Del loro modo di essere e della natura della attività loro sappiamo ben poco; la Bibbia registra soltanto la loro presenza presso i vari re. Eccone un elenco:
I profeti classici, uomini di vocazione e del presente. Una volta ricevuta direttamente da Dio la chiamata in molti modi possibili (visione esterna, interna, intellettiva), il profeta portava a conoscenza del popolo la volontà divina (attraverso discorsi, azioni simboliche, esperienze personali o magari scritti). Come tale il profeta (= portavoce di Dio) non va confuso con l’indovino che predice il futuro, ma va considerato uomo del presente, interessato a mostrare le esigenze attuali di Dio, anche se per fare questo ricorre talvolta al passato con le sue premesse che vanno tutt’ora rispettate e al futuro verso il quale si è incamminati. In quest’ultimo caso, invero relativamente raro, abbiamo la profezia che diventa pure predizione. A questa caratteristica fondamentale corrispondono i vari appellativi attribuiti al profeta: nabi (etimologia incerta), re’eh (veggente), hozeh (veggente), uomo dello spirito, uomo di Dio, servo di Jahvé, messaggero, sentinella, custode, pastore. Ambito della missione profetica. Oggetto della predicazione del profeta era tutta la vita del popolo ebraico: pubblica e privata, religiosa morale e profana. Egli si rivolgeva a re, principi, sacerdoti, uomini e donne, commercianti, ricchi e poveri, sottolineando per tutti le esigenze di Dio nei loro riguardi. Così, lungi dall’essere un visionario che in nome di una realtà futura perdeva contatto con il presente, il profeta era predicatore dell’impegno concreto, era portato ad essere un contestatore di fondo dei mali del tempo. Cose che l’ha quasi sempre portato a pagare di persona la propria attività con la persecuzione e magari con la morte (Ebrei 11,32-38). Intanto non bisogna meravigliarsi dell’intervento continuo dei profeti negli affari profani; basta ricordare la stretta connessione esistente allora tra vita religiosa e civile. In Israele, anche al tempo dei re, il governo fu sempre teocratico: il re era mandatario di Dio, questi gli inviava i propri rappresentanti a consigliarlo, dirigerlo, minacciarlo, rimproverarlo. All’occasione, i profeti spiegavano l’azione provvidenziale di Dio sul popolo eletto: la sconfitta, l’esilio, i diversi malanni erano presentati come castighi per l’infedeltà; ma a causa della missione di Israele ed in virtù delle antiche promesse, nei grandi pericoli un soccorso dall’alto avrebbe impedito la rovina totale. I profeti scrittori. I profeti che ci hanno le opere inserite nella Bibbia (distinti in profeti maggiori e minori, non in base alla loro importanza ma per la mole più o meno ampia dei loro scritti), li troviamo raggruppati nei punti più incisivi della storia dei due regni: per restare alla nostra epoca: Secolo IX: Elia ed Eliseo (profeti non scrittori, ma denominati “profeti dell’azione”, dei quali la Bibbia parla diffusamente) ostacolano vittoriosamente la marcia del dio Baal di Tiro. Amos ha parlato del Dio giusto, che interviene non tanto a soddisfare le esigenze dei rivalsa degli Ebrei, quanto a domandare anche a ciascuno di loro la ragione del loro operato. La giustizia divina va sì invocata, ma anche temuta! Parallela a questa rivelazione, i profeti sviluppano quella circa il debito comportamento religioso dell’uomo. Singoli e comunità non possono onorare la giustizia, l’amore, la santità e l’intimità di Dio, se non vivendo dentro di sé, in tutte le manifestazioni singole e comunitarie della vita (=monoteismo etico, morale). Questo insieme di verità dottrinali e morali è fondato soprattutto sul Patto Sinaitico cui i profeti fanno continuo riferimento (tanto da poter essere considerato “tradizionalisti) nonché sul futuro messianico verso il quale richiamano spesso l’attenzione con le loro predizioni (così c’è chi li considera dei “novatori”; intanto essi hanno, tra gli altri, anche il merito della formazione della grande attesa messianica). Influsso dei profeti. La loro predicazione ha finito per permeare la vita religiosa di tutto il popolo, specie quando la catastrofe nazionale da loro ripetutamente predetta ha portato ad un profondo ripensamento del passato. Ormai, pur scomparendo il profetismo, il suo messaggio si identificava con la vita religiosa della comunità; e avendo quest’ultima espresso la propria fede nelle opere bibliche diventate più tardi letteratura canonica e normativa, la dottrina dei profeti ha finito per essere presente non solo nei libri profetici ma, indirettamente, anche in quelli storici e sapienziali. I dacerdoti Se tra gli educatori di Israele di questo periodo menzioniamo anche i Sacerdoti e gli Scribi, dobbiamo ricordare che la loro influenza è stata di gran lunga inferiore a quella esercitata dai primi. Per quanto riguarda il sacerdozio, sappiamo che raggiungerà il suo massimo splendore tra la fine di Gerusalemme nel 597 e gli ultimi secoli del V.T. Una volta scomparsa la monarchia e declinando il profetismo, i sacerdoti si troveranno non più coperti dall’ombra del re e si vedranno restituito il compito di interpretare la Parola divina condensatasi negli scritti sacri. Per il momento rammentiamo:
Gli Scribi Il discorso sugli Scribi nel periodo della monarchia divisa riesce alquanto difficile. Questi esperti nell’arte di leggere e scrivere emergeranno e copriranno un ruolo specifico con la composizione e con l’interpretazione dei libri sacri. Per ora essi sono presenti, diciamo non ufficialmente sul piano religioso, nel compilare tutto il materiale letterario che si sta moltiplicando attraverso gli annali di corte, le tradizioni jahvista, elohista, deuteronomista, le raccolte di detti sapienziali e che costituisce già un grande patrimonio della comunità ebraica. Sviluppo dello jahvismo Il seme gettato da Dio al tempo dei Patriarchi e di Mosé non ha trascorso invano tanti secoli: anche se non è ancora una pianta matura, non è nemmeno rimasto un tenero filo d’erba. I contorni del culto del credo, del sentire morale sono ormai ben definiti e numerosi. Il meno che si possa dire è che: Il credo è ormai quello di uno jahvismo teorico, che in seguito alla critica dei profeti ha raggiunto la consapevolezza dell’esistenza di un Dio unico, Signore del tutto: gli altri déi sono delle “divinità false e bugiarde” perché assolutamente e semplicemente non esistenti. Dietro il Patto sta un Dio non più ignoto: oltre al nome se ne conoscono vari attributi: amore, giustizia, trascendenza, vicinanza all’uomo, onnipotenza creatrice e sostenitrice dell’universo, ecc… E’ quasi naturale che di fronte a lui, le altre divinità abbiano lasciato in sua eredità le virtù proprie. E non costituendo il presente l’optimum raggiungibile dall’uomo, lo sguardo si trova già aperto sul futuro, “sull’eschaton”, composto di due elementi:
La morale si è approfondita in parallelo al credo. Notiamo intanto che, sia per riflesso del tipo di civiltà sedentaria e cittadina costituitasi da tempo, come anche per la predicazione profetica, si sta passando anche in campo religioso da una mentalità collettivista ad un’altra individuale, in altri termini al personaggio religioso: a rispondere dei propri atti dinanzi a Dio non è più il solo popolo, ma saranno anche e prima di tutto gli individui. Manca appena l’ultima parola che Ezechiele pronuncerà durante l’esilio. Osserviamo pure che la grande varietà dei profeti e della loro predicazione legata alla psicologia di ciascuno, ha finito per creare varie scuole di spiritualità costituenti una ricchezza per la comunità di Israele:
Il culto ha già trovato molte delle espressioni che incontreremo alla fine del V.T., anche se molte altre le attende dal periodo della restaurazione.
Tramonto della monarchia
Iniziata con tante speranze, la monarchia, dopo aver accompagnato e favorito lo sviluppo della civiltà ebraica e dello jahvismo, si avvia sempre più chiaramente alla fine. Primo a cadere è stato il regno di Samaria, vittima della potenza assira che, con Sargon II, ha distrutto la sua capitale deportandone la popolazione. Sargon, continuando il metodo instaurato da Tiglat-Pileser, deportò circa 30.000 samaritani (numero relativamente grande, comprendente, se non tutta la popolazione, tutto il ceto dirigente politico e spirituale), insediandoli nella zona di Halahu sul fiume Habur e nelle città dei Medi. Costituendo una piccola parte delle popolazioni strappate alla loro terra, i deportati furono assorbiti dagli stranieri e se ne sono per sempre disperse le tracce. Al loro posto Sargon portò una popolazione proveniente da Babilonia, dalle città di Cuta e Avva, dalla Siria aramaica (città di Hamat e Sefarvaim, e anche tribù arabe (2 Re 17,24). Si ebbe così anche qui una fusione etnica. Di pari passo alla fusione etnica andava quella religiosa. I nuovi venuti portavano i loro déi originali (2 Re 17,29-33). Con il permesso reale assiro poté ritornare un sacerdote israelita deportato, il quale si stabilì a betel per ammaestrare gli abitanti di Samaria nel vero culto di Jahvé (2 Re 17,25-28). Il risultato ottenuto, però, non fu la conversione, bensì una nuova religione sincretistica che collocava Jahvé assieme alle altre divinità del Pantheon pagano.
In tal modo i samaritani non solo non avrebbero più ripreso le fila della storia ebraica, ma ponevano una ulteriore premessa al rifiuto che i connazionali del sud avrebbero opposto più tardi all’offerta di collaborazione per l’edificazione del Tempio distrutto dai babilonesi. E sarebbe stato lo scisma! E così anche il regno di Giuda finisce per cadere vittima delle rappresaglie babilonesi: Gerusalemme è vinta e distrutta in tre riprese, negli anni 597, 586, 581. I più influenti cittadini del regno meridionale dovranno incamminarsi verso l’esilio che li attenderà in terra di Babilonia. Altri si rifugeranno o sul confine egiziano a Tafnes (Ger.43,7), o nelle città del delta del Nilo, o fino ad Elefantina e in Arabia. Produzione letteraria Seguendo nuovamente la divisione tripartita del canone del V.T., vediamo:
La letteratura profetica si apre cin i libri di Amos e Osea che ahnno predicato nel regno di Samaria e di Isaia e Michea che hanno invece svolto la loro vocazione nel regno di Giuda, nel secolo VIII: con i libri di Sofonia, Nahum, Abacuc e soprattutto Geremia la cui attività profetica si è svolta a Gerusalemme nel secolo VII. L’attività sapienziale continua, fornendo altro materiale di Proverbi, Salmi e canti che saranno poi utilizzati nell’edizione dei libri sapienziali. La produzione storica registra un notevolissimo incremento. Per le vicende attuali continua la produzione degli annali, composti ora non nella sola Gerusalemme ma anche a Samaria, essendosi costituiti due regni. Per la storia passata, alla storia jahvista viene ad aggiungersi quella denominata elogista, per il fatto che i suoi autori usano per Dio il nome Elohim. Esa inizia con la vocazione di Abramo, interessandosi cos’ esclusivamente del popolo eletto. Viene composta nel tormentato regno settentrionale, cioè nel regno di Samaria, dove il paganesimo minacciante lo jahvismo viene fortemente contrastato dai profeti Elia ed Eliseo, da Amos e Osea, e nel quale ha sede il movimento recapita di cui parla Geremia 35. Questo clima spirituale particolare determina la sua finalità e anche la sua particolare teologia. Le idee dominanti sono:
Tutta questa letteratura, però, ha ancora un carattere privato che manterrà ancora per vari secoli fino a quando si fisserà il canone dei libri che gli Ebrei dovranno ritenere sacri. Per il momento ben altra importanza è attribuita al documento iniziale del Patto sinaitico e che, a quanto risulta, nel periodo che dalla distruzione di Samaria va a quella di Gerusalemme viene a condensarsi nel DOCUMENTO DEUTERONOMISTA o DEUTERONOMIO. Gli studiosi lo identificano in quel libro della Legge che, stando a 2 Re 22,8-23 e 2 Cron.34,14-33, sarebbe stato trovato nel Tempio al tempo della riforma di Giosia. La sua genesi è attualmente ancora assai oscura. Tra le molte ipotesi avanzate, seguiamo quella secondo cui al tempo di Ezechia il Deuteronomio avrebbe visto la sua prima edizione, fatto con materiale proveniente in gran parte dal regno settentrionale ormai distrutto, e che comprendeva i capp.4-11; 12-26 con la legge della centralizzazione del culto nel Tempio di Gerusalemme (si intendeva così dare al popolo un’unità cultuale approfittando del fatto che la divisione politica era ormai caduta). Tale edizione, andata smarrita per circa quarant’anni sotto l’empio governo di Manasse, sarebbe stata ritrovata da Giosia che le avrebbe restituita tutta l’autorità. Ma i sacerdoti di Gerusalemme, che non vedevano di buon occhio i colleghi provenienti dal Nord, l’avrebbero snobbata. Durante l’esilio babilonese il Deuteronomio avrebbe avuto la sua ultima edizione, con l’aggiunta dei capp. 1-3 e 29-32.
Il Deuteronomio, poi, si è visto dapprima mettere in testa all’Opera Deuteronomistica (comprendente i libri cha da Giosué vanno fino a 2 Re) , per poi esserne staccato onde concludere il complesso della Torah o Legge ebraica(=nostro Pentateuco. Così si può leggere secondo diversi punti di vista e ricavarne impressioni e insegnamenti diversi). |
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