STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIO

MONARCHIA DIVISA

I REGNI DI ISRAELE E DI GIUDA
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Le fonti di conoscenza

I libri storici 1 Re 12 e 2 Re 25; 1 e 2 Cronache, considerano il regno del nord come scismatico, non lo prendono in considerazione, è così una fonte incompleta. Le opere dei Profeti del tempo: Amos, Osea, Isaia, Michea per il secolo VIII°; Geremia Nahum, Sofonia, Abacuc per il secolo VII°, ci danno la situazione dall’interno. Di qualche utilità riescono anche alcune parti dei libri sapienziali. Teniamo sempre presente di trovarci di fronte a scritti di tematica religiosa, presentanti una storia incompleta, per di più perseguita secondo canoni spesso divergenti dai canoni storici attuali.

 

Divisione e conseguenze

Sua occasione

Nonostante i forti governi di Davide e Salomone che si erano proposti di ridurre a regno unitario quella che era una confederazione di tribù, né Israele né Giuda avevano perduto la coscienza d’essere metà di uno stesso regno. Così la morte di Salomone, che negli ultimi anni di vita era ormai sopportato come un dispotico tiranno, rappresentò il riaccendersi di grandi speranze per le tribù del Nord, perché finalmente potevano pensare che il servizio obbligatorio del lavoro sarebbe stato alleggerito e che le redini troppo tese dell’accentramento amministrativo si sarebbero allentate. Essendo andate deluse le attese, le tribù settentrionali si staccarono dal regno e crearono uno stato indipendente.

Divisione politica

Troviamo i fatti descritti con sufficiente ampiezza e chiarezza in 1 Re 12,1-25. La scissione va ascritta alla poca saggezza politica del successore di Salomone, Roboamo, mal consigliato dai suoi.

Scisma religioso

La separazione politica delle tribù settentrionali ha subito portato ad una scissione anche sul piano religioso. La forza d’irradiazione del Tempio di Gerusalemme era troppo grande perché i nuovi sovrani del nord le potessero restare indifferenti. In realtà, pellegrinando a Gerusalemme i loro sudditi non avrebbero tardato a sentire nuovamente la comunanza degli ideali religiosi, e chissà se non sarebbe rinato in loro il desiderio di tornare all’unità politica. Dal canto loro i profeti operanti al nord si aspettavano che Geroboamo restaurasse in tutta la sua purezza il culto di Jahvé, liberandolo da tutte le sovrastrutture pagane. In tal modo la politica s’impadronì della religione e ciò che inizialmente voleva essere solo una separazione politica causò uno scisma religioso vero e proprio.
Della riforma religiosa si parla in 1 Re 12,26-33. Nell’attuarla Geroboamo ebbe cura di appoggiarsi ad antiche tradizioni popolari, per questo motivo trovò accoglienza favorevole presso le sue tribù; fu appunto tale benevolenza che perpetuò in maniera insanabile lo scisma.

Ricostruiamo le fasi della sua attuazione, operata in modo veramente accorto e logico, senza che il re desse l’impressione di essere un innovatore:

  1. Anzitutto Geroboamo diede nuovi impulsi agli antichi santuari di Bethel e di Dan, il primo al confine meridionale ed il secondo a quello settentrionale del regno;

  2. Poi fece erigere due vitelli d’oro, ad imitazione di quello che gli Ebrei avevano costruito nel deserto. In questo non c’era alcuna intenzione di apostatare dalla fede jahvista, poiché il vitello d’oro non era direttamente oggetto di adorazione, ma costituiva solo il simbolo della regalità di Jahvé. Però in questa maniera era infranto il primo dei comandamenti del Decalogo, che non ammetteva immagini celtiche di jahvé, e si apriva un abisso che avrebbe portato ad un influsso sempre maggiore delle religioni cananee. In questo senso la tradizione posteriore ha sempre condannato l’accondiscendenza dei sovrani ai culti pagani, chiamandola “peccato di Geroboamo”;

  3. Attorno a questi santuari il re organizzò un nuovo ordinamento sacerdotale. Siccome i Leviti non vollero condividere l’orientamento di Geroboamo, preferirono emigrare in massa verso il regno del sud (2 Cron.11,13-14), ed egli fu costretto a sostituirli con un nuovo sacerdozio (1 Re 12,31) reclutato probabilmente fra i membri di una famiglia sacerdotale mosaica di Efraim;

  4. Restaurò il culto delle alture, Ciò facendo, egli intendeva ricollegarsi alle antiche tradizioni dei cananei e degli antichi Israeliti, i quali erano soliti offrire sacrifici alla divinità in questi luoghi (1 Sam.9,12; 10,5; 1 Re 3,2; 18,30), cosa del resto che si sarebbe verificata fino al tempo del re Giosia (638-608 a.C.) e che era in accordo con Esodo 20,24: “Mi farai un altare di terra sul quale mi offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di ringraziamento, le tue pecore e i tuoi buoi. In qualunque luogo io vorrò che sia ricordato il mio nome, verrò da te e ti libererò”;

  5. E’ discusso se il distacco dal santuario nazionale abbia imposto pure una revisione del calendario liturgico. Alcuni lo sostengono, affermando che Geroboamo ha adottato al posto di quello centralizzato in Gerusalemme il calendario agricolo precedentemente seguito nelle montagne di Efraim. In tal modo egli avrebbe distolto il popolo dal fare pellegrinaggi a Gerusalemme, orientandolo ai nuovi santuari del regno. In realtà “Geroboamo voleva impedire agli israeliti di frequentare il Tempio di Gerusaemme. Vi sarebbe riuscito fissando la festa di betel un mese dopo quella di Gerusalemme? Misura assurda che avrebbe piuttosto incoraggiato i suoi sudditi a correre verso i due santuari, per partecipare qui e là alle feste popolari che accompagnavano la liturgia. Non c’era che un mezzo per arrivare ai suoi scopi, ed era quello di far coincidere le due festività..”

 

Conseguenze

La separazione dei due regni rappresenta uno dei momenti più tristi della storia ebraica. Si ebbe, infatti, una dissoluzione sia all’interno sia all’esterno della Palestina.

Internamente ne risultavano due regni assai deboli. Il regno di Giuda comprendeva soltanto le tribù di Giuda e di Beniamino il cui territorio era alquanto ristretto, e quindi la sua forza politica e militare riusciva irrilevante. Ma nemmeno il regno del nord poté mantenere la potenza del regno unito, anche se il suo territorio restava ancora molto vasto ed era occupato dalla maggioranza delle tribù. Esso minacciava, infatti, di essere dilaniato da lotte intestine; cosa che avvenne: i vari re morirono quasi tutti violentemente in seguito a congiure di palazzo dovute al principio dell’elezione del re da parte del popolo. La caccia al trono ha fatto sì che si succedessero ben nove dinastie.

Già deboli, i due regni si dissanguarono spesso, anche se non sempre, anche attraverso guerre reciproche: “E v’era guerra tutti i giorni tra i re d’Israele e di Giuda” (1 Re 14,30; 15,6.7.16.32).

All’esterno da una parte tutte le popolazioni soggiogate da Davide e Salomone e che non fossero state assorbite potevano approfittare della situazione per riprendere la loro autonomia; dall’altra i regni divisi dovettero ora guardare da soli come equilibrarsi nel gioco delle forze politiche del Medio Oriente, cambiate pure loro in modo violento: c’era una continua tensione tra le grandi potenze (Egitto da un parte, Assiria e Babilonia dall’altra) per il dominio della zona siriana, ed i due regni si appoggiavano in modo diverso all’una e all’altra. 

 

Profilo del tempo

Eloquenza della lista dei re

Riporto l’elenco dei vari re di Israele e di Giuda, apparentemente arido ma, ad una considerazione attenta, assai eloquente.
N.B. Nella lista le crocette indicano i re morti violentemente, per congiure o in guerra; i nomi in maiuscolo rappresentano i capostipiti delle varie dinastie di Israele.

 

SAUL
DAVIDE
SALOMONE
ISRAELE GIUDA
Geroboamo 930-908 
+Nadab 909-908 
BAASA 908-885
+Ela 885-884
+ZAMRI 884
OMRI 884-873
+ Acab 873-854 
Ocozia 854-853 
+ Joram 853-842
JEHU 842-813 
Joacaz 813-798 
Gioas 798-783 
Geroboamo 2 783-743 
+ Zaccaria 743
+ SALLUM 743
MENAHEM 743-738
+ Faceia 738-737 
+ FACEE 737-732 

Fine di Samaria 721 
Roboamo 930-913
Abia 912-910
Asa 910-870
Giosafat 870-849
Joram 849-842
+Ocozia 842
Gioas 836-797
Amasia 797-789
Ozia o Azaria 789-738
Jotam 738-736
Acaz 736-721
OSEA 732-724
Ezechia 721-693
Manasse 693-639
+Amon 639-638
+Giosia 638-608
Joachaz 608
Jojachim 608-598
Jojachin 598
Sedecia 598-597
+Godolia 587

Fine di Gerusalemme

 

Notiamo che:

  1. In Israele, sebbene il regno abbia avuto quasi un secolo e mezzo di vita in meno, il numero dei re è quasi uguale a quello dei re di giuda (19 contro 21). Nello stesso periodo, cioè dalla scissione fino al 721, contro i 19 re d’Israele si sono avuti solo 12 re di Giuda;

  2. Mentre in Israele le dinastie si sono succedute rapidamente l’una all’altra, in Giuda si è avuta la solo dinastia davidica;

  3. In Israele ben nove re morirono di morte violenta, sempre o quasi sempre per congiure di palazzo; nello stesso tempo in Giuda si registrarono solo tre assassini, tutti nel periodo turbolento di Atalia, mentre altri re sono stati uccisi nel periodo finale (Giosia è caduto in guerra);

  4. Nonostante i rilievi fin qui fatti, i secoli in questione costituiscono in certo senso il punto centrale della storia veterotestamentaria e possono essere forse paragonati al nostro travagliato ma fecondo periodo del Rinascimento. Ai molti fermenti di male e alle esperienze negative fatte in molti campi si aggiungono numerosi elementi positivi: lo sviluppo delle istituzioni di ogni genere, quello delle categorie sociali, del credo religioso, delle opere letterarie improntate alla fede jahvista, ecc…Al di là del fallimento finale, la distruzione dei due regni, la monarchia divisa ha portato all’avanzamento della civiltà e della religione ebraica.

 

Situazione politica generale

Egitto: esso si fa sentire all’inizio e alla fine del periodo. Sosenq, fondatore della XIII dinastia, compie un’ampia scorribanda in tutta la Palestina, con l’intento di impadronirsi delle vie commerciali degli Arabi. Roboamo, primo re di Gerusalemme, si salva inviandogli tesori dalla sua capitale (1 Re 14,25-28; 2 Cron.12,1-12). In tal modo l’Egitto si assicura il dominio stabile della Palestina fino al tempo di Acab (873-854).
Quando l’Assiria sta per cedere alla potenza di Babilonia, Necao II accorre in suo aiuto, uccide il re Giosia di Gerusalemme che tenta di sbarrargli il passo e Megiddo, sconfitto dai babilonesi a Harran, di ritorno depone Joacaz deportandolo sulle rive del Nilo e lo sostituisce con Joachin che sottopone a pesante tributo (2 Re 23,28-35; 2 Cron.35,20-36). Da questo momento l’Egitto trova sempre nella città santa dei partigiani che rispondono alle sue mire per sottrarre Giuda alla potenza babilonese.

Regno di Damasco: è stato il regno col quale gli stati di Israele e di Giuda ebbero maggiormente a che fare nel periodo che va dalla separazione fino alla distruzione di Samaria (721 a.C.). Già dominato da Davide, si era poi sottratto al regno di Salomone quando Rezon si era impadronito di Damasco scacciandovi il governatore posta colà da Davide e insediandovisi re, senza che Salomone sapesse o volesse muoversi al contrattacco.
Da allora, approfittando della situazione creatasi dalla debolezza dei due regni che si accompagnava ad un periodo di incapacità assira nel controllare i propri confini esterni, il regno di Damasco condizionò la vita della Palestina, osteggiando l’uno o l’altro dei due regni, o alleandosi con loro contro l’Assiria. Ben Ada I, al tempo di Asa di Giuda e Baasa in Israele; Ben Ada II, al tempo degli Omridi; Ben Adad III, al tempo della dinastia israelitica di Jehu, sono i re di Damasco che interferirono nella vita politica di Giuda e Israele. La ripresa della potenza assira, con Tiglat-Pileser III (745-727), Salmanassar V (728-722) Sargon II, porta gli Aramei a collegarsi in leghe antiassire coinvolgenti in modo diverso Israele e Giuda finché anche Damasco cade ed è occupata dagli Assiri.

Assiria: questa potenza, dopo un lungo periodo di assenza dagli immensi territori circonvicini dovuta alla necessità di risolvere crisi interne, si scatena per così dire in tutto il Medio Oriente dalla metà del secolo VIII con i tre sovrani citati. Sotto di loro i regni palestinesi conoscono invasioni, distruzioni, durezze dei tributi, fino a quando Samaria è distrutta e il suo regno annientato nel 722-721 ad opera di Salmanassar e Sargon.
Caduta Samaria, il regno di Giuda dovrà fare i conti con la volontà e le imprese di Sennacherib (705-681), Assaraddon (681-669), Assurbanipal (668-630). Per due secoli il destino dei piccoli regni palestinesi è legato indissolubilmente all’ascesa e al tramonto del “gran drago” assiro. Se il regno di Israele fu piegato dagli Assiri e finì di esistere, del regno di giuda restò solo “un tugurio in un campo di cocomeri” (is.1,8).

Babilonia: alla fine del secolo VII l’Assiria, con Sin-Sariskun figlio di Assurbanipal (629-612), deve cedere il comando ai Babilonesi, momentaneamente sostenuti dai Medi e ostacolati (ma invano) dall’Egitto. Nabupolassar (626-605) e Nabucodonosor sono i due re babilonesi che causeranno l’agonia e la morte del regno di Giuda.

Situazione sociale

La monarchia divisa vede il consolidarsi definitivo della civiltà sedentaria, con la sua organizzazione della vita agricola (lavorazione dei campi, delle vigna, degli oliveti, allevamento del bestiame, cura dei frutteti), di quella cittadina ( con la sua sempre più complessa macchina politico-economico-amministrativa) e di quella commerciale.

La sedenterazzizazione aveva già portato una profonda trasformazione sostituendo alla tribù il clan (mispahah) installato in una città che poi era il villaggio; qui però tutte le famiglie erano ancora uguali. Ora, la monarchia centralizzata introdusse dei cambiamenti importanti. Gli ufficiali e funzionari del re, civili o militari, raggruppati nelle due capitali o distribuiti in provincia quali agenti dell’autorità, formarono una specie di casta staccata dagli interessi municipali e talvolta in conflitto con loro. Soprattutto il gioco della vita economica, le transazioni commerciali e fondiarie ruppero l’eguaglianza tra le famiglie, alcune delle quali divennero molto ricche mentre altre si impoverirono.

E’ però abusivo ritrovare nell’antica società israelitica i contrasti conosciuti da altri gruppi umani tra i nobili e plebei, capitalisti e proletari. In Israele non ci sono mai state classi sociali in senso moderno, vale a dire gruppi coscienti dei loro interessi particolari e in opposizione tra loro.

E’ bene ricordare:

I notabili: gruppo aperto della classe dirigente, di funzionari e capi delle famiglie influenti, i quali godevano nelle città e nel regno di certi privilegi e possedevano gran parte delle terre;
I ricchi: divenuti tali o per avere approfittato dell’amministrazione e dei favori loro concessi dal re, o per avere saputo realizzare grossi guadagni attraverso le loro terre. La loro ricchezza non sempre era stata lecitamente guadagnata né sempre è stata usata bene;
I salariati: l’impoverimento di alcune famiglie e la perdita delle loro terre, costrinsero un numero sempre maggiore di Israeliti a lavorare in cambio di un salario. Situazione poco invidiabile e che esponeva a trattamenti ingiusti, difesa quindi dalla legge e dai Profeti;
Gli artigiani: accanto agli operai, lo sviluppo della vita urbana e l’evoluzione della vita economica moltiplicarono il numero degli artigiani indipendenti. Molti gruppi di mestieri sono menzionati nell’A.T.: molitori, fornai, tessitori, barbieri, vasai, gioiellieri, ecc…Un termine più generale “haras” designa il lavoro del legno, della pietra, soprattutto dei metalli, il fonditore o il cesellatore. Si lavorava soprattutto nell’officina di famiglia dove il padre trasmetteva il lavoro al figlio e talvolta era aiutato da qualche operaio, schiavo o salariato.
Sembra che all’epoca monarchica questi lavoratori avessero cominciato a unirsi in corporazioni, sebbene questo fatto riesca più evidente nell’epoca postesilica;
I commercianti: dediti non al commercio con l’estero (che è stato un monopolio reale e che in Palestina era esercitato da stranieri quali i Fenici e gli Assiri), ma agli scambi commerciali locali. Era sulle piazze delle città che gli artigiani vendevano i loro lavori e i contadini i loro prodotti agricoli. Solo dopo l’esilio, costrettivi, gli Ebrei divennero dei commercianti veri e propri;
Gli stranieri residenti: uomini liberi, che però non godevano di tutti i diritti civici degli Ebrei; non potendo possedere dovevano lavorare alle dipendenze degli Ebrei. Religiosamente erano ammessi a certe osservanze (sabato, feste religiose, la Pasqua se erano circoncisi) e dovevano osservare alcune prescrizioni. Il fatto che testi prima dell’esilio, Deuteronomio, Geremia, Levitino, si interessino di loro, è segno che in questo periodo essi erano cresciuti.

 

Sviluppo dello Jahvismo

Premessa: considerando lo jahvismo come un’entità formatasi nel suo complesso di credenze a di riti dal tempo di Mosé e destinata a mantenersi intatta nel corso della storia, finiremo per giudicare le sue vicissitudini del tempo della monarchia divisa come negative e fallimentari. Un giudizio più positivo e, tutto sommato, maggiormente oggettivo, lo possiamo avere pensando che lo jahvismo è andato definendosi man mano nel corso della storia veterotestamentaria. Potremo allora considerare anche le tentazioni e i momentanei fallimenti suoi quali tappe del suo tormentato cammino che l’ha condotto ad essere di volta in volta se stesso. Storicamente abbiamo , infatti, un’ispirazione unica che ha trovato espressioni man mano diverse, legate ai vari periodi storici.

Pericolo e tentazioni

Cominciando dagli ostacoli che lo jahvismo ha trovato sul suo cammino, affermiamo che nel nostro periodo esso è andato soggetto a tre grandi tentazioni:

La prima è stata quella di un suo abbandono in favore delle religioni idolatriche dell’ambiente. Un pericolo persistente, ma che ha avuto uno dei culmini nel secolo IX allorché, sotto gli Omridi, la politica di alleanza con Tiro aveva aperto le porte della Palestina al Pantheon fenico e al dio Baal. La minaccia fu sventata grazie all’intervento prodigioso di due grandi figure di “profeti dell’azione”, Elia ed Eliseo (1 e2 Re). Tuttavia, come dimostrano gli scritti profetici e storici , coi loro giudizi sui vari re, essa non è mai completamente scomparsa fino alla fine dei due regni.
La seconda era quella della “mondanizzazione o secolarizzazione”. La dipendenza dai grandi imperi non era in contrasto con la possibilità di periodi più o meno lunghi nei quali l’abilità di questo o quel re o le circostanze fortunate permettessero una certa prosperità economica e commerciale. Ecco allora la tentazione di un vivere agiato, alla moda delle altre nazioni, costruito cioè sull’ingiustizia, condito di lussuria, nella dimenticanza delle clausole dell’Alleanza (Amos 6,4-7).
La terza sperimentata da tutto il popolo ma in modo particolare dai suoi capi, era quella di condurre una politica basata non sui dettami di Dio, sul riconoscimento della sua signoria del mondo e della storia, ma sull’abilità delle proprie scelte, sulle alleanze strette con l’una o con l’altra delle grandi potenze. In genere tutte queste tendenze possono essere viste come una tentazione unica: quella di volere “essere come tutti gli altri popoli”, scotendo di dosso il privilegio impegnativo di costituire una “nazione santa ed eletta, popolo sacerdotale di Jahvé”.

A questo pericolo hanno ovviato i vari educatori e maestri di Israele, grazie ai quali il nostro periodo ha fatto registrare un grande balzo in avanti della fede veterotestamentaria. Possiamo identificarli nelle tre categorie di profeti, sacerdoti e sapienti, non tutte operanti però né sullo stesso piano né con la stessa intensità né contemporaneamente.

 

I Maestri del popolo eletto

I profeti

Se esiste una categoria di persone che già nel nostro periodo merita i titoli onorifici di “educatori” o “maestri”, questa è senz’alcun dubbio la categoria dei Profeti di Israele. La loro opera è stata tanto grande ed è stata di tale portata da darci il diritto di parlare di un’epoca dei profeti e di chiamare lo jahvismo non solo religione mosaica ma anche religione profetica e dei profeti.

Origine del profetismo. Il fenomeno profetico in quanto tale non è esclusivo della religione ebraica. Da molto tempo le religioni orientali avevano tutte i loro veggenti, indovini. L’ambiente religioso cananeo aveva visto da qualche secolo svilupparsi confraternite di devoti che si abbandonavano pubblicamente a trasporti estatici. La storia delle religioni cita fatti analoghi sotto tutte le latitudini, dai lama del Tibet agli stregoni africani, dalle baccanti greche ai dervisci dell’Islam e ai convulsionari di San Medardo. Durante la loro estasi si pensava che questi uomini parlassero a nome della divinità; e probabilmente il loro nome: nabi, profeta, porta-parola di Dio, potrebbe voler dire semplicemente “il chiamato” colui che ha ricevuto la chiamata divina. 

Per combattere ad armi pari contro l’idolatria, la religione di Israele ebbe pure i suoi veggenti, poi confraternite di profeti raccolti attorno ai santuari; ma le loro pratiche si conformavano alle esigenze della Legge. Erano una delle forze vive dello jahvismo, grazie al prestigio di cui godeva il loro entusiasmo religioso presso le masse. Erano come i monaci del tempo. Facendo essi professione di profetismo, tra di loro si contavano credenti sinceri, addirittura fanatici, ma indubbiamente anche persone mediocri e cupide.

Intanto emerge in Israele poco a poco tra questi veggenti o profeti di mestiere un’altra specie di uomini: sono i profeti di vocazione. Una vocazione autentica non l’ha chi vuole! Nei secoli precedenti, senza parlare di Mosé, Samuele è chiamato veggente. Quando si parla di profeti in Israele, occorre perciò distinguere accuratamente questi due sensi della parola profeta. Le confraternite profetiche hanno certo contribuito a mantenere la tradizione religiosa in Israele; ma è grazie all’azione degli ispirati, chiamati con una vocazione personale, che la Rivelazione biblica deve il suo approfondimento all’epoca dei re.

I profeti di corte costituiscono un’altra categoria di persone che dovremo distinguere dai nostri profeti di vocazione. Del loro modo di essere e della natura della attività loro sappiamo ben poco; la Bibbia registra soltanto la loro presenza presso i vari re. Eccone un elenco: 

  1. Natan e Gad alla corte di Davide (2 Sam.7,1-17; 12,1-15; 14,1-16);

  2. Ahia di Silo all’epoca di Salomone e di Geroboamo (1 Re 12,22-24). Al tempo di Geroboamo due profeti anonimi sono protagonisti di uno strano episodio che si riferisce all’altare scismatico di Betel (1 Re 13,1-32);

  3. Elia ed Eliseo dominano il secolo IX; però non mancano altri profeti come Jehu e Azaria che rivolgono il loro vaticinio di minacce rispettivamente ai re Baasa di Israele e Asa di Giuda (1 Re16,1.7.12; 2 Cron.20,14-17);

  4. Un altro profeta interviene più volte presso il re Acab (1 Re 20,13-14.22.28.35-43);

  5. Michea che rivela ai re Acab e Giosafat il contrario di quello che dicevano i 400 falsi profeti (1 Re 22,6-28);

  6. Zaccaria il profeta figlio di Jojada, fu ucciso per avere rinfacciato i vizi della corte di Joas e del popolo (2 Cron. 24,20-22);

  7. Due profeti anonimi intervengono nella vita pubblica sotto il regno di Amasia di Giuda (2 Cron. 25,7ss.15ss.);

  8. Ulda, la profetessa, compare al tempo della riforma di Giosia (2 Cron.34,22-28).

I profeti classici, uomini di vocazione e del presente. Una volta ricevuta direttamente da Dio la chiamata in molti modi possibili (visione esterna, interna, intellettiva), il profeta portava a conoscenza del popolo la volontà divina (attraverso discorsi, azioni simboliche, esperienze personali o magari scritti). 

Come tale il profeta (= portavoce di Dio) non va confuso con l’indovino che predice il futuro, ma va considerato uomo del presente, interessato a mostrare le esigenze attuali di Dio, anche se per fare questo ricorre talvolta al passato con le sue premesse che vanno tutt’ora rispettate e al futuro verso il quale si è incamminati. In quest’ultimo caso, invero relativamente raro, abbiamo la profezia che diventa pure predizione. 

A questa caratteristica fondamentale corrispondono i vari appellativi attribuiti al profeta: nabi (etimologia incerta), re’eh (veggente), hozeh (veggente), uomo dello spirito, uomo di Dio, servo di Jahvé, messaggero, sentinella, custode, pastore.

Ambito della missione profetica. Oggetto della predicazione del profeta era tutta la vita del popolo ebraico: pubblica e privata, religiosa morale e profana. Egli si rivolgeva a re, principi, sacerdoti, uomini e donne, commercianti, ricchi e poveri, sottolineando per tutti le esigenze di Dio nei loro riguardi. Così, lungi dall’essere un visionario che in nome di una realtà futura perdeva contatto con il presente, il profeta era predicatore dell’impegno concreto, era portato ad essere un contestatore di fondo dei mali del tempo. Cose che l’ha quasi sempre portato a pagare di persona la propria attività con la persecuzione e magari con la morte (Ebrei 11,32-38).

Intanto non bisogna meravigliarsi dell’intervento continuo dei profeti negli affari profani; basta ricordare la stretta connessione esistente allora tra vita religiosa e civile. In Israele, anche al tempo dei re, il governo fu sempre teocratico: il re era mandatario di Dio, questi gli inviava i propri rappresentanti a consigliarlo, dirigerlo, minacciarlo, rimproverarlo. All’occasione, i profeti spiegavano l’azione provvidenziale di Dio sul popolo eletto: la sconfitta, l’esilio, i diversi malanni erano presentati come castighi per l’infedeltà; ma a causa della missione di Israele ed in virtù delle antiche promesse, nei grandi pericoli un soccorso dall’alto avrebbe impedito la rovina totale.

I profeti scrittori. I profeti che ci hanno le opere inserite nella Bibbia (distinti in profeti maggiori e minori, non in base alla loro importanza ma per la mole più o meno ampia dei loro scritti), li troviamo raggruppati nei punti più incisivi della storia dei due regni: per restare alla nostra epoca:

Secolo IX: Elia ed Eliseo (profeti non scrittori, ma denominati “profeti dell’azione”, dei quali la Bibbia parla diffusamente) ostacolano vittoriosamente la marcia del dio Baal di Tiro.
Secolo VII, nella seconda metà: abbiamo Amos e Osea nel regno del Nord; Isaia e Michea nel regno meridionale. Sia pure con accenti diversi, richiamano tutti gli Ebrei al loro dovere sotto la minaccia dello strapotere assiro.
Secolo VII, seconda metà: Sofonia, Nahum, Abacuc, Geremia alzano la voce ricordando il giudizio che Dio sta per pronunciare tramite la potenza babilonese. Naturalmente essi operano nel regno di giuda, poiché Samaria è tramontata da circa un secolo.

Loro messaggio religioso. Sebbene non siano stati ascoltati dai contemporanei e non abbiano saputo evitare al popolo il disastro finale i profeti si sono resi meritevoli del grande progresso dottrinale, morale, registrato dalla religione mosaica.
Anzitutto hanno illustrato le varie sfaccettature di quel preziosissimo diamante dai mille volti che è Dio.
Per esempio vediamone alcuni:

Amos ha parlato del Dio giusto, che interviene non tanto a soddisfare le esigenze dei rivalsa degli Ebrei, quanto a domandare anche a ciascuno di loro la ragione del loro operato. La giustizia divina va sì invocata, ma anche temuta!
Osea presentava con la parola ma ancor prima attraverso le proprie vicende personali l’amore di Dio. Il quale è sposo di Israele, e salverà il proprio popolo nonostante le sue numerose infedeltà. In tale contesto il peccato acquista un senso nuovo: quello di una mancanza di amore.
Isaia ha salvato il Dio giusto dalla pura astrazione e il Dio amore dall’essere concepito tutto panna e passibile di facile dimenticanza; il suo era un Dio Trascendente, Santo, cioè diverso e lontano da noi, pur presente nel mondo attraverso la sua gloria. Nei suoi riguardi l’atteggiamento della creatura possibile era uno solo: la fede, cioè la fiducia piena nei suoi imperscrutabili disegni e il conseguente abbandono totale alla sua volontà.
Geremia il Dio trascendente la cui dimora è il cielo ma che vuole essere vicino all’uomo, presente nel suo intimo, costruire la propria dimora dentro di lui, nel suo cuore. I profeti posteriori porteranno a termine l’orditura di questa mirabile tela destinata a portare all’uomo la conoscenza del vero volto di Dio.

Parallela a questa rivelazione, i profeti sviluppano quella circa il debito comportamento religioso dell’uomo. Singoli e comunità non possono onorare la giustizia, l’amore, la santità e l’intimità di Dio, se non vivendo dentro di sé, in tutte le manifestazioni singole e comunitarie della vita (=monoteismo etico, morale).

Questo insieme di verità dottrinali e morali è fondato soprattutto sul Patto Sinaitico cui i profeti fanno continuo riferimento (tanto da poter essere considerato “tradizionalisti) nonché sul futuro messianico verso il quale richiamano spesso l’attenzione con le loro predizioni (così c’è chi li considera dei “novatori”; intanto essi hanno, tra gli altri, anche il merito della formazione della grande attesa messianica).

Influsso dei profeti. La loro predicazione ha finito per permeare la vita religiosa di tutto il popolo, specie quando la catastrofe nazionale da loro ripetutamente predetta ha portato ad un profondo ripensamento del passato. Ormai, pur scomparendo il profetismo, il suo messaggio si identificava con la vita religiosa della comunità; e avendo quest’ultima espresso la propria fede nelle opere bibliche diventate più tardi letteratura canonica e normativa, la dottrina dei profeti ha finito per essere presente non solo nei libri profetici ma, indirettamente, anche in quelli storici e sapienziali.

I dacerdoti

Se tra gli educatori di Israele di questo periodo menzioniamo anche i Sacerdoti e gli Scribi, dobbiamo ricordare che la loro influenza è stata di gran lunga inferiore a quella esercitata dai primi.
Campo d’azione dei Sacerdoti era infatti il culto, mentre gli Scribi agivano in campo letterario. Ma culto e scrittura acquisteranno tutto il loro peso specifico nell’epoca della restaurazione, allorché si formerà il Giudaismo (forma religiosa tutta incentrata sulla liturgia e sul libro della Legge). Per il momento ha valore soprattutto la Parola viva, quindi la predicazione profetica. Sacerdoti e Scribi svolgono frattanto un lavoro oscuro, meno appariscente, preparandosi al momento in cui, rimasti soli sulla scena, dovranno portare avanti il compito ora svolto dai profeti.

Per quanto riguarda il sacerdozio, sappiamo che raggiungerà il suo massimo splendore tra la fine di Gerusalemme nel 597 e gli ultimi secoli del V.T. Una volta scomparsa la monarchia e declinando il profetismo, i sacerdoti si troveranno non più coperti dall’ombra del re e si vedranno restituito il compito di interpretare la Parola divina condensatasi negli scritti sacri.

Per il momento rammentiamo:

  1. Il sacerdozio si sviluppa soprattutto attorno al Tempio di Gerusalemme, anche se molti leviti svolgono le loro funzioni nei vari santuari del Nord e del Sud;

  2. Nel 621 Giosia, re di Giuda, con la sua riforma sopprime dapprima i santuari locali, poi a Gerusalemme, infine riserva le funzioni propriamente sacerdotali ai discendenti di Sadoq i quali avevano sempre lavorato nella capitale, preludendo così alla distinzione tra sacerdoti e leviti (2 Re 23; 2 Cron.34-35);

  3. Il ruolo dei Sacerdoti è duplice: offrire sacrifici e presiedere la liturgia, svolgendo il loro ufficio di mediatori tra Dio e gli uomini; proclamare durante la liturgia, in forma stereotipa, la Parola di Dio trasformata in Legge scritta. Solo che questa Legge non ha ancora l’estensione e l’importanza che assumerà nel periodo successivo, mentre il popolo gode della presenza di altri grandi interpreti della volontà divina, quali i profeti.

Gli Scribi

Il discorso sugli Scribi nel periodo della monarchia divisa riesce alquanto difficile. Questi esperti nell’arte di leggere e scrivere emergeranno e copriranno un ruolo specifico con la composizione e con l’interpretazione dei libri sacri. Per ora essi sono presenti, diciamo non ufficialmente sul piano religioso, nel compilare tutto il materiale letterario che si sta moltiplicando attraverso gli annali di corte, le tradizioni jahvista, elohista, deuteronomista, le raccolte di detti sapienziali e che costituisce già un grande patrimonio della comunità ebraica.

Sviluppo dello jahvismo

Il seme gettato da Dio al tempo dei Patriarchi e di Mosé non ha trascorso invano tanti secoli: anche se non è ancora una pianta matura, non è nemmeno rimasto un tenero filo d’erba. I contorni del culto del credo, del sentire morale sono ormai ben definiti e numerosi.

Il meno che si possa dire è che:

Il credo è ormai quello di uno jahvismo teorico, che in seguito alla critica dei profeti ha raggiunto la consapevolezza dell’esistenza di un Dio unico, Signore del tutto: gli altri déi sono delle “divinità false e bugiarde” perché assolutamente e semplicemente non esistenti.
Le sue basi sono saldamente radicate nel Patto Sinaitico, sentito come realtà giuridica proveniente però dal cuore di Dio e implicante una fedeltà eminentemente interiore. Un Patto che lega sia la comunità nel suo insieme come anche i singoli, chiamati a coltivare la conoscenza, il timore e amore di Dio, l’obbedienza, la pietà, la fedeltà, l’amore ai fratelli di fede.

Dietro il Patto sta un Dio non più ignoto: oltre al nome se ne conoscono vari attributi: amore, giustizia, trascendenza, vicinanza all’uomo, onnipotenza creatrice e sostenitrice dell’universo, ecc… E’ quasi naturale che di fronte a lui, le altre divinità abbiano lasciato in sua eredità le virtù proprie.
La giustificazione dell’intervento di Dio nella storia è ormai inquadrata sullo sfondo del peccato e della perdizione umana. Ed in misura che questi sono percepiti come cosmici, anche la missione del popolo dell’Alleanza è vista o almeno percepita come avente dimensione universale. 

E non costituendo il presente l’optimum raggiungibile dall’uomo, lo sguardo si trova già aperto sul futuro, “sull’eschaton”, composto di due elementi:

  1. Il giorno del giudizio di Jahvé, nel quale Dio, per essere Signore della storia, dovrà definitivamente punire i trascorsi umani. Tutte le catastrofi parziali registrate prima di quel giorno non sono che delle piccole anticipazioni di quell’atto finale. Solo un resto si salverà;

  2. Varcando la soglia degli ultimi tempi, nei quali si instaurerà il regno di Jahvé. Allora Dio regnerà procurando la felicità dei suoi, in un clima di Alleanza nuova, universale, scritta non più sulla pietra ma nei cuori finalmente liberi dal male, e i cui frutti saranno di natura spirituale e anche materiale (l’idea di una vita beata nell’al di là non s’è ancora fatta strada). Artefice del nuovo ordine di cose sarà il Messia, atteso nella sua veste di discendente di Davide, portatore di giustizia e di pace.

La morale si è approfondita in parallelo al credo. Notiamo intanto che, sia per riflesso del tipo di civiltà sedentaria e cittadina costituitasi da tempo, come anche per la predicazione profetica, si sta passando anche in campo religioso da una mentalità collettivista ad un’altra individuale, in altri termini al personaggio religioso: a rispondere dei propri atti dinanzi a Dio non è più il solo popolo, ma saranno anche e prima di tutto gli individui. Manca appena l’ultima parola che Ezechiele pronuncerà durante l’esilio.

Osserviamo pure che la grande varietà dei profeti e della loro predicazione legata alla psicologia di ciascuno, ha finito per creare varie scuole di spiritualità costituenti una ricchezza per la comunità di Israele:

  1. La scuola che guarda anzitutto ai diritti di Dio, inculcando l’umiltà, l’obbedienza alla Legge, la sincerità del cuore. Essa si rifà a Nathan, Eliseo, Amos, Michea, Isaia;

  2. La scuola della religione del cuore che presenta Dio come sposo sofferente, perché tradito, geloso ma sempre pronto al perdono. Essa invita alla fedeltà, alla tenerezza, alla pietà. Ne sono maestri tutti i profeti ma in modo particolare Osea e Geremia;

  3. La scuola della santità e gloria di Dio che intende realizzare nel popolo eletto una santità simile alla sua e spinge le anime ad esprimere il proprio senso religioso nelle minuzie delle rubriche e dei codici. Essa si rifà naturalmente alla corrente sacerdotale e al profeta Ezechiele.

Il culto ha già trovato molte delle espressioni che incontreremo alla fine del V.T., anche se molte altre le attende dal periodo della restaurazione.

  1. Con la riforma di Giosia si prepara il passaggio definitivo da un culto offerto indifferentemente nei vari santuari locali ad un altro limitato al solo Tempio di Gerusalemme;

  2. Tale centralizzazione comporta una ristrutturazione della classe sacerdotale, chiamata a svolgere le sue funzioni solo nella città santa. Col provvedimento di affidare le funzioni più importanti ai sacerdoti che non si erano macchiati di culti esercitati fuori di Gerusalemme e ritenuti illeciti, si accentua da una parte l’importanza del sacerdozio gerosolimitano, mentre dall’altra si prepara la distinzione tra sacerdoti e leviti;

  3. Il calendario delle feste è andato arricchendosi: il SABATO è ancora festa di riposo e di gioia, ma senza essere considerato segno dell’Alleanza o commemorativo della creazione. Invece PASQUA e AZZIMI, che erano prima celebrate separatamente in date vicine ma diverse, con la riforma di Giosia sono fuse finendo per comportare ambedue l’obbligo del pellegrinaggio (mentre prima solo durante le festa degli Azzimi, l’ebreo doveva visitare i templi locali); al loro significato originario di festa agricola (Azzimi) e pastorale (Pasqua) si è intanto sostituito quello di celebrazione commemorativa della,liberazione dall’Egitto. PENTECOSTE e TENDE rimangono ancora celebrazioni di carattere agricolo e profano. Non sono ancora apparse all’orizzonte le feste delle SORTI (Purim), delle ENCENIE e del QIPPUR;

  4. La liturgia sacrificale si è già arricchita di nuove forme di sacrifici (oltre alla semplice offerta e all’olocausto si registrano il sacrificio per il peccato e quello pacifico) mentre stanno sviluppandosi varie pratiche come i voti, il nazireato, le purificazioni rituali, l’intenzione di determinati atti e alimenti, ecc…

 

Tramonto della monarchia

Iniziata con tante speranze, la monarchia, dopo aver accompagnato e favorito lo sviluppo della civiltà ebraica e dello jahvismo, si avvia sempre più chiaramente alla fine.
L’interpretazione biblica del suo destino (=monarchia vittima della sua mancanza di fede verso Jahvé), lungi dal cancellarle, pone maggiormente in risalto le ragioni storiche del fallimento: l’imperversare delle grandi potenze di fronte alle quali i piccoli regni del Medio Oriente hanno giocato d’azzardo, votandosi ad una prevedibile distruzione. Avevano visto giusto “gli uomini di Dio” identificando il male del popolo eletto nel “voler essere come tutti gli latri popoli”. Per Israele l’unica ancora di salvezza sarebbe stato lo starsene fuori dai pericolosi giochi delle alleanze politiche, così come richiedeva Dio.

Primo a cadere è stato il regno di Samaria, vittima della potenza assira che, con Sargon II, ha distrutto la sua capitale deportandone la popolazione. Sargon, continuando il metodo instaurato da Tiglat-Pileser, deportò circa 30.000 samaritani (numero relativamente grande, comprendente, se non tutta la popolazione, tutto il ceto dirigente politico e spirituale), insediandoli nella zona di Halahu sul fiume Habur e nelle città dei Medi. Costituendo una piccola parte delle popolazioni strappate alla loro terra, i deportati furono assorbiti dagli stranieri e se ne sono per sempre disperse le tracce.

Al loro posto Sargon portò una popolazione proveniente da Babilonia, dalle città di Cuta e Avva, dalla Siria aramaica (città di Hamat e Sefarvaim, e anche tribù arabe (2 Re 17,24). Si ebbe così anche qui una fusione etnica. Di pari passo alla fusione etnica andava quella religiosa. I nuovi venuti portavano i loro déi originali (2 Re 17,29-33). Con il permesso reale assiro poté ritornare un sacerdote israelita deportato, il quale si stabilì a betel per ammaestrare gli abitanti di Samaria nel vero culto di Jahvé (2 Re 17,25-28). Il risultato ottenuto, però, non fu la conversione, bensì una nuova religione sincretistica che collocava Jahvé assieme alle altre divinità del Pantheon pagano.

In tal modo i samaritani non solo non avrebbero più ripreso le fila della storia ebraica, ma ponevano una ulteriore premessa al rifiuto che i connazionali del sud avrebbero opposto più tardi all’offerta di collaborazione per l’edificazione del Tempio distrutto dai babilonesi. E sarebbe stato lo scisma!

Il regno di Giuda, non invischiato nella lega antiassira, sopravvive a Samaria per circa un secolo e mezzo. Alcuni suoi re (Ezechia e Giosia) approfittano del nuovo assetto politico palestinese per operare delle riforme che avrebbero potuto ricomporre l’unità almeno religiosa del popolo eletto ( per Ezechia 2 Re 18,4s; 2 Cron.29-31; per Giosia 2 Re 23; 2 Cron.34-35). Gli altri re, però, continuano la politica delle alleanze contro il dominatore del tempo, Babilonia, ascoltando le suggestioni dell’Egitto e non dando retta alla voce dei profeti. 

E così anche il regno di Giuda finisce per cadere vittima delle rappresaglie babilonesi: Gerusalemme è vinta e distrutta in tre riprese, negli anni 597, 586, 581. 

I più influenti cittadini del regno meridionale dovranno incamminarsi verso l’esilio che li attenderà in terra di Babilonia. Altri si rifugeranno o sul confine egiziano a Tafnes (Ger.43,7), o nelle città del delta del Nilo, o fino ad Elefantina e in Arabia.

Produzione letteraria

Seguendo nuovamente la divisione tripartita del canone del V.T., vediamo:

La letteratura profetica si apre cin i libri di Amos e Osea che ahnno predicato nel regno di Samaria e di Isaia e Michea che hanno invece svolto la loro vocazione nel regno di Giuda, nel secolo VIII: con i libri di Sofonia, Nahum, Abacuc e soprattutto Geremia la cui attività profetica si è svolta a Gerusalemme nel secolo VII.
Questi profeti che ci hanno lasciato gli scritti della loro predicazione li chiamiamo “profeti scrittori” anche se, in verità, i libri che vanno sotto il loro nome sono dovuti in massima parte all’attività dei loro discepoli. L’appellativo di scrittori serve a distinguerli dai profeti che, come Elia ed Eliseo, sono menzionati dalla Bibbia senza averci lasciato alcuna pagina scritta e che perciò sono chiamati “profeti dell’azione”.
Essendo impossibile determinare se gli scritti profetici sono stati composti durante la vita del profeta cui si riferiscono, oppure in seguito ( ma a quale distanza di tempo?), noi li attribuiamo convenzionalmente al periodo cui appartiene il profeta che dà loro il nome.

L’attività sapienziale continua, fornendo altro materiale di Proverbi, Salmi e canti che saranno poi utilizzati nell’edizione dei libri sapienziali.

La produzione storica registra un notevolissimo incremento. Per le vicende attuali continua la produzione degli annali, composti ora non nella sola Gerusalemme ma anche a Samaria, essendosi costituiti due regni. 

Per la storia passata, alla storia jahvista viene ad aggiungersi quella denominata elogista, per il fatto che i suoi autori usano per Dio il nome Elohim. Esa inizia con la vocazione di Abramo, interessandosi cos’ esclusivamente del popolo eletto. Viene composta nel tormentato regno settentrionale, cioè nel regno di Samaria, dove il paganesimo minacciante lo jahvismo viene fortemente contrastato dai profeti Elia ed Eliseo, da Amos e Osea, e nel quale ha sede il movimento recapita di cui parla Geremia 35. 

Questo clima spirituale particolare determina la sua finalità e anche la sua particolare teologia. Le idee dominanti sono:

  1. quella della Parola di Dio, cui si deve il compimento delle promesse della terra fatte ai patriarchi;

  2. quella del timore di Dio quale accettazione della sua esigenza a partire da quella di un abbandono del peccato di idolatria;

  3. quella della conoscenza di Dio esprimentesi nella osservanza della Legge. Così il vertice della storia passata viene visto dal documento elogista nel Patto stabilito sul Sinai al tempo dell’esodo dall’Egitto.

Tutta questa letteratura, però, ha ancora un carattere privato che manterrà ancora per vari secoli fino a quando si fisserà il canone dei libri che gli Ebrei dovranno ritenere sacri. Per il momento ben altra importanza è attribuita al documento iniziale del Patto sinaitico e che, a quanto risulta, nel periodo che dalla distruzione di Samaria va a quella di Gerusalemme viene a condensarsi nel DOCUMENTO DEUTERONOMISTA o DEUTERONOMIO. Gli studiosi lo identificano in quel libro della Legge che, stando a 2 Re 22,8-23 e 2 Cron.34,14-33, sarebbe stato trovato nel Tempio al tempo della riforma di Giosia.

La sua genesi è attualmente ancora assai oscura. Tra le molte ipotesi avanzate, seguiamo quella secondo cui al tempo di Ezechia il Deuteronomio avrebbe visto la sua prima edizione, fatto con materiale proveniente in gran parte dal regno settentrionale ormai distrutto, e che comprendeva i capp.4-11; 12-26 con la legge della centralizzazione del culto nel Tempio di Gerusalemme (si intendeva così dare al popolo un’unità cultuale approfittando del fatto che la divisione politica era ormai caduta).

Tale edizione, andata smarrita per circa quarant’anni sotto l’empio governo di Manasse, sarebbe stata ritrovata da Giosia che le avrebbe restituita tutta l’autorità. Ma i sacerdoti di Gerusalemme, che non vedevano di buon occhio i colleghi provenienti dal Nord, l’avrebbero snobbata.

Durante l’esilio babilonese il Deuteronomio avrebbe avuto la sua ultima edizione, con l’aggiunta dei capp. 1-3 e 29-32.
Punti dottrinali qualificanti sono:

  1. Dio che elegge il popolo ( e non più persone singole) per pura grazia; il popolo diventa così sua speciale proprietà, trovandosi di fronte a lui nella posizione di un figlio rivolto al Padre;

  2. Dio, pur conservando la propria trascendenza, rivela qualcosa di sé e si mostra unico, misericordioso, fedele;

  3. Il popolo è conseguentemente una comunità santa, consacrata, che deve allontanare da sé il malvagio e vivere in fraternità, amando così il proprio Dio;

  4. Mezzo di adesione a Dio è la Legge, frutto della Alleanza, della sapienza divina, e titolo d’onore per Israele.

Il Deuteronomio, poi, si è visto dapprima mettere in testa all’Opera Deuteronomistica (comprendente i libri cha da Giosué vanno fino a 2 Re) , per poi esserne staccato onde concludere il complesso della Torah o Legge ebraica(=nostro Pentateuco. Così si può leggere secondo diversi punti di vista e ricavarne impressioni e insegnamenti diversi).

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