STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIO

MONARCHIA UNITA

tempio

“ Il tempo della monarchia (circa 1200-586) è l’esperienza unitaria più lunga della storia del popolo eletto: in esso Israele raggiunge un’alta maturità religiosa, sviluppando così quei germi che ripetuti interventi di Dio avevano posto in seno al suo popolo….
Vi si trovano eventi d’importanza vitale, che lasciano una traccia profonda nella Storia della Salvezza. E’ il tempo in cui sorge e si sviluppa il profetismo, ha origine la letteratura sapienziale, sono organizzate e avviate alla struttura definitiva le tradizioni storiche e giuridiche del Pentateuco e d’altri libri storici. 
Si può affermare che la parte centrale della Rivelazione Biblica, che prima di essere scritta è tradizione vissuta, si forma in questo periodo. Il fenomeno storico, che inquadra questo periodo e ne dà la fisionomia caratteristica è quello della monarchia…”

Fonti bibliche e loro natura

Il discorso sulle fonti si fa ora nuovo. Poiché , per Israele, la monarchia costituisce l’inizio della civiltà della scrittura, le nostre fonti di conoscenza si fanno assai più numerose: oltre alla documentazione diretta dei libri storici (4 libri di Samuele-Re; Cronache), abbiamo quella indiretta dei libri profetici e sapienziali.
Non solo, i nostri documenti non attingono più a tradizioni orali, bensì a scritti d’archivio composto al tempo degli eventi narrati, e sono in grado di tratteggiarci i fatti in tutti i loro particolari. Si ha qui il massimo di spessore storico-cronachistico.
E’ pur vero che si tratta sempre di libri di fede, i quali ci danno un’interpretazione religiosa della storia ebraica; ma questo si riflette caso mai in una relazione non sempre completa dei fatti. Ma quanto è riferito, corrisponde sostanzialmente ad un’esperienza davvero vissuta nei termini esposti. “Sostanzialmente”, perché particolari di non grande rilievo possono essere dovuti al “genere letterario storico” di quei tempi e quindi non riuscire interpretabili secondo i canoni storici odierni.

 

Rivoluzione politica

Premettiamo che se Israele è stato l’ultimo popolo nel Medio Oriente ad evolversi verso la monarchia, esso è dovuto al duplice fatto di un’occupazione del Canaan rimasta solo parziale, frammentaria, così che mancavano le premesse politiche per una monarchia nazionale centralizzata; e la presenza di preoccupazioni religiose circa un possibile tradimento della teocrazia che vedeva in Jahvé il solo vero e diretto responsabile dei destini del proprio popolo.

L'istituzione della monarchia

Un fenomeno lungamente preparato, e non dovuto agli umori momentanei del popolo. Come momenti di questa lenta e complessa gestazione dobbiamo citare:

  1. Il raggrupparsi degli Ebrei, al tempo dei Giudici, in quattro gruppi corrispondenti all’affinità d’interessi legati soprattutto all’occupazione di una medesima regione: quello di Galaad, quello di Efraim, poi di Giuda e delle tribù settentrionali;
  2. Il bisogno di tutte le tribù di far fronte al costante pericolo di invasione e di oppressione da parte dei popoli stranieri, dandosi un’unità militare e politica;
  3. In questo ambito una pericolosità tutta particolare era offerta dai Filistei. C’è chi addirittura scrive che “umanamente parlando, l’istituzione della monarchia in Israele…fu dovuta, in definitiva, al pericolo filisteo”: Avendo formato nel Canaan una lega politico-militare, con gli Ebrei i Filistei non ebbero soltanto scontri occasionali e limitati, ma erano arrivati a una dominazione politica vera e propria. Tra l’altro, avevano in Palestina quasi il monopolio del ferro, e tendevano ad aprirsi una via commerciale verso l’oriente, il che, unito alle diversità etniche e religiose, era sufficiente per alimentare l’inimicizia con gli Ebrei;
  4. Nel periodo dei giudici, proprio per rispondere alle esigenze sopraesposte, si erano già verificati vari tentativi; l’offerta del regno a Gedeone; il colpo di stato di Abimelec, la richiesta di Jeffe. Erano tutti falliti, ma questo loro ripetersi preparava ineluttabilmente gli spiriti all’idea della monarchia;
  5. Tanto più, e questa era la ragione ultima, avanzata dal popolo che in tal senso parlava nella sua evidenza l’esempio offerto dai popoli vicini. La loro maggiore coesione e forza non era dovuta al loro regime monarchico e unitario;
  6. C’è chi vuol vedere un’ulteriore causa della monarchia nella cattiva prova data dalla giudicatura alla sua fine, sotto Eli. Il racconto fattone da 1 Samuele può provenire da ambienti favorevoli alla monarchia, è vero; si sa tuttavia che ogni regime non può accontentare tutti, e quindi degli scontenti della giudicatura debbono esserci stati.

Una monarchia originale, che tra l’altro non è stata ben definita fin dagli inizi ma si è andata precisando nel tempo. Pur essendosi dati un re “per essere come le altre nazioni”, gli Ebrei non hanno copiato l’istituto monarchico dei vicini, ma i modelli vigenti li hanno adattati a sé in una forma nuova:

  1. Le dodici tribù di Israele, nel primo periodo della,loro installazione nel Canaan, erano una federazione. A Sichem (Gios.24) avevano aderito ad un patto che siglava la loro unità religiosa stabilendo tra loro una certa unità nazionale. I membri di questa federazione formavano un medesimo popolo, partecipavano a uno stesso culto, ma non avevano alcuna personalità paragonabile a Mosé o a Giosué.
  2. Nell’ambiente del Medio Oriente esistevano tipi diversi di monarchia. I Cananei e i Filistei avevano costruito un insieme di città fortificate circondate da un piccolo territorio. Queste erano governate da un re che spesso era straniero, il quale si appoggiava su di una truppa reclutata tra i suoi ed era rinforzata da mercenari; normalmente la successione al trono era regolata dal principio dinastico. Edom, Moab, Ammon, Aram erano invece regni nazionali, non cittadini; la difesa del paese era affidata non a un esercito di mestiere ma la popolo convocato in caso di pericolo; il governo era monarchico ma non necessariamente ereditario.
  3. La monarchia ebraica fu un’istituzione avente parte delle caratteristiche della prima forma e parte di quella della seconda. In ogni caso è andata evolvendosi e modificandosi progressivamente. Con SAUL la federazione israelita diventa uno stato nazionale. Ma non è subito ammesso in Israele il principio dinastico: non esiste nessuna regola per la successione. Saul convoca il popolo per la guerra come negli stati nazionali, però al pari dei Filistei crea un esercito di mestiere. L’istituzione monarchica con lui resta embrionale. Non si sa quale autorità Saul abbia esercitato oltre quella militare. E all’infuori del suo capo dell’esercito Abner non si conoscono altri ministri. Non c’era un governo centrale e le tribù o piuttosto i clan conservavano la loro autonomia amministrativa.

Sotto DAVIDE e SALOMONE LA Tribù di Giuda era sempre stata divisa dal resto di Israele, aveva fatto necessariamente vita a parte in Palestina. David e Salomone diventano re di Israele e di Giuda. C’è sì unità reale, perché tutti riconoscono l’autorità di un medesimo sovrano, ma rimangono due elementi distinti, il gruppo del nord e quello del sud. Si tratta quindi di un’unione personale, di un regno unito come la Gran Bretagna o di una monarchia dualista come l’Austria-Ungheria.

In più, lo stato di Davide e Salomone non è più nazionale, ma, con la sottomissione e l’inserimento del regno dei Filistei, di Edomiti, Moabiti e Ammoniti, alla nazione si sostituisce un impero. Impero creato nel vuoto lasciato dal declino dell’impero egiziano.

Alla morte di Salomone si formeranno in Palestina due regni, con dipendenze esterne sempre più ridotte, e con concezioni dello Stato assai diverse. Mentre, infatti, al Nord ci si manterrà al principio dell’elezione, il che renderà lo stato di Israele particolarmente debole e suscettibile di continue congiure di palazzo, nel regno di Giuda si accetterà subito il principio dinastico, il quale assicurerà perennità alla dinastia di Davide. Tale dualismo impedirà agli abitanti di considerarsi uno stesso popolo, di sentirsi fratelli, dotati delle medesime tradizioni nazionali. Il loro sarà un legame religioso, pure pregiudicato dalla politica perseguita dai re del Nord.

Probabilmente esistevano altre differenze che non è possibile evidenziare per mancanza di notizie.
Dopo l’esilio, tramontata la monarchia, gli Ebrei, nel limite dell’autonomia loro lasciata dai dominatori persiani ed ellenisti, costituiranno una comunità religiosa, retta dalla Legge, governata dai Sacerdoti. Si avrà un regime teocratico, e qui ancora riapparirà e si affermerà una nozione antica: Israele ha per re il proprio Dio.

Per una valutazione della situazione nuova dobbiamo notare quanto segue:
Con la monarchia ad un regime di indipendenza tribale segue un regno di unità nazionale in cui il concetto di tribù, almeno in senso politico, viene a perdersi in quello nazionale. In più, si passa da un’autorità di rappresentazione (di Jahvé) ad un’autorità autocratica che il più delle volte, anziché fare il bene del popolo, si servirà di quest’ultimo per l’interesse proprio o della dinastia, mentre sarà per tutti la tentazione di perseguire una politica ispirata a criteri umani e non più ispirati alla fede. 

Ciononostante:

Dal punto di vista politico la monarchia va considerata senz’altro come un progresso effettivo, perché il popolo, non più diviso, cessa di essere in balia di clan cananei e di qualsiasi altro popolo transgiordanico, ma anzi superare, dominare e rendere tributari i popoli vicini, attingendo i confini che nell’interpretazione biblica erano già stati più volte promessi da Dio (Gen.15,18; Deut. 1,7; Gios. 1,4): dall’Eufrate fino al fiume d’Egitto (Nilo).

Religiosamente, invece, il cambiamento è ambiguo e pericoloso. La creazione di una monarchia metteva il popolo su di una via che sembrava rompere con la teocrazia del passato. Santuari jahvisti erano sparsi un po’ dovunque sui territori occupati dagli Israeliti. La monarchia avrebbe visto l’instaurazione di una capitale unica, quella di un clero sottomesso al principe. Tutto ciò non era esente da rischi per il monoteismo di Mosé…Per diventare un popolo pari agli altri ma nello stesso tempo non correre il rischio di tradire la propria vocazione e non perdersi in un processo di assimilazione, occorreva un equilibrio superiore alle forze umane e che in realtà spesso è mancato.

Oggettività però vuole si rammenti anche che la monarchia, con la complessità di istituzioni, esperienze e stimoli che le furono propri, ha portato lo jahvismo ad una fase decisiva di maturazione.
Se confrontata con tutta la storia veterotestamentaria, la monarchia resta un fenomeno relativo, quasi una parentesi dello jahvismo, e quindi da non sopravalutare.

“La concezione del potere che è fondamentale per il pensiero israelitico è la teocrazia. Ecco la ragione per cui Israele resta da un capo all’altro della storia una comunità religiosa: è la religione che federa le tribù installate nel Canaan come raggrupperà gli esiliati reduci da Babilonia, è lei che mantiene la coesione del popolo sotto la monarchia e sebbene la divisione dei regni. I capi umani di questo popolo sono degli eletti, accettati e tollerati da Dio, ma gli restano subordinati e sono giudicati in base alla loro fedeltà all’Alleanza indissolubile tra Jahvé e il suo popolo. In tale prospettiva, lo Stato, in pratica la monarchia, è come un elemento accessorio e, di fatto, Israele non se ne è curato durante la maggior parte della sua storia”.

Dal punto di vista politico la monarchia va considerata senz’altro come un progresso effettivo, perché il popolo, non più diviso, cessa di essere in balia di clan cananei e di qualsiasi altro popolo transgiordanico, ma anzi superare, dominare e rendere tributari i popoli vicini, attingendo i confini che nell’interpretazione biblica erano già stati più volte promessi da Dio (Gen.15,18; Deut. 1,7; Gios. 1,4): dall’Eufrate fino al fiume d’Egitto (Nilo).
Religiosamente, invece, il cambiamento è ambiguo e pericoloso. La creazione di una monarchia metteva il popolo su di una via che sembrava rompere con la teocrazia del passato. Santuari jahvisti erano sparsi un po’ dovunque sui territori occupati dagli Israeliti. La monarchia avrebbe visto l’instaurazione di una capitale unica, quella di un clero sottomesso al principe. Tutto ciò non era esente da rischi per il monoteismo di Mosé…Per diventare un popolo pari agli altri ma nello stesso tempo non correre il rischio di tradire la propria vocazione e non perdersi in un processo di assimilazione, occorreva un equilibrio superiore alle forze umane e che in realtà spesso è mancato.
Oggettività però vuole si rammenti anche che la monarchia, con la complessità di istituzioni, esperienze e stimoli che le furono propri, ha portato lo jahvismo ad una fase decisiva di maturazione.
Se confrontata con tutta la storia veterotestamentaria, la monarchia resta un fenomeno relativo, quasi una parentesi dello jahvismo, e quindi da non sopravalutare.
“La concezione del potere che è fondamentale per il pensiero israelitico è la teocrazia. Ecco la ragione per cui Israele resta da un capo all’altro della storia una comunità religiosa: è la religione che federa le tribù installate nel Canaan come raggrupperà gli esiliati reduci da Babilonia, è lei che mantiene la coesione del popolo sotto la monarchia e sebbene la divisione dei regni. I capi umani di questo popolo sono degli eletti, accettati e tollerati da Dio, ma gli restano subordinati e sono giudicati in base alla loro fedeltà all’Alleanza indissolubile tra Jahvé e il suo popolo. In tale prospettiva, lo Stato, in pratica la monarchia, è come un elemento accessorio e, di fatto, Israele non se ne è curato durante la maggior parte della sua storia”.

 

Effetti della monarchia


La creazione di un re non ha significato solo un cambio di guardia ai vertici della piramide sociale; ha invece comportato una ristrutturazione di tutta quanta la società che ne è risultata un tutto nuovo, una nuova civiltà. Le varie innovazioni apportate dalla presenza del re, pur avendo ciascuna un prevalente carattere politico, o sociale, o religioso, o culturale, finiscono per avere dei risvolti di altra natura; noi citeremo le più vistose, ricordando il loro apporto differenziato alla nuova situazione socio-culturale-religiosa.

Piano religioso

Si ha una nuova forma di teocrazia. Dio rimane sempre presente nella storia del proprio popolo; tuttavia tale presenza, anziché manifestarsi direttamente tramite il carisma di cui erano dotati Mosé, Giosué, i Giudici, si esprime ora attraverso una cerimonia religiosa legata ad un luogo di culto e ad un rito determinato: per esempio il re che deve essere incoronato. Il fatto dell’incoronazione significa che l’istituzione politica trova la sua conferma religiosa non più nell’incontrollabile e spontanea iniziativa divina, bensì in un atto tipicamente cultuale determinato dagli uomini. Diciamo così: da una forma teocratica diretta si passa ad un’altra di tipo indiretto.

Ne risente la stessa figura del re. Nella cerimonia dell’incoronazione la parte più importante consiste nell’unzione del re da parte di un sacerdote o di un Profeta. Questo significa chiaramente che, rispetto all’indipendenza del carisma del Giudice da ogni intermediario umano, Profeta o Sacerdote che fosse, l’incoronazione suppone la presenza di un rappresentante di Jahvé e perciò stesso costituisce una tal quale differenziazione di competenze: il capo politico non è più necessariamente, o in primo luogo, una persona a contatto immediato con Jahvé. In altre parole, i condottieri del passato erano anche capi spirituali, partecipavano anche sempre alla vita politica (Debora, Samuele); a loro Jahvé parlava a bocca a bocca con evidenza, non per enigmi (Num.12,8), e non sarebbe stato concepibile che la volontà divina dovesse essere loro comunicata mediante un Profeta. Questo è invece proprio il caso della monarchia. Accanto a Saul è Samuele e vicino a Davide troviamo il Profeta Natan.
Per il tempo posteriore la Bibbia ci offre una lunga serie di Profeti di corte, consiglieri dei vari re. Si può dire insomma che con l’istituzione della monarchia coincide la nascita del profetismo, il quale deve continuare la funzione di guida spirituale che competeva prima al potere politico. Si ha nel re la scissione dei due poteri, i quali si riflettono anche esteriormente, nella politica e nella religione che da quel momento costituiscono due ambiti diversi anche se non del tutto indipendenti. 

Tra i molti altri cambiamenti, che costituiscono una vera e propria “crisi religiosa” di cui molti hanno certo sofferto e della quale si ha sentore nell’opera letteraria dello Jahvista, notiamo la profanizzazione della guerra. In seguito alla presenza di una truppa di mestiere, con lo stabilirsi della monarchia, “non è più il re che marcia davanti a Israele per condurre la “guerra di Jahvé” né il re che esce alla testa del popolo per combattere le Sue battaglie (1Sam.8,20). I combattenti non sono più guerrieri che si sono offerti liberamente, sono professionisti al soldo del re o coscritti reclutati da funzionari. Era prevedibile una crisi: questa, preparata già con Saul che trasgredisce i riti della guerra santa (1 Sam.15), diventa definitiva con Davide che ingaggia un gran numero di mercenari stranieri e che, per ragioni militari, ordina il censimento del popolo (2 Sam.24,1-9). La guerra diventa , per necessità, un affare di stato, assume carattere profano.

Almeno inizialmente si mantengono certi riti della guerra santa. Ma in effetti si tratta di cose accessorie, e se si continua a affermare che Jahvé dà la vittoria (2 Sam.8,6.14), è Davide che l’ottiene con mezzi umani e ne riceve gloria (2 Sam.13,28).

I Profeti dei primi tempi, Isaia in modo particolare, tenteranno di difendere l’antica concezione della guerra santa contro la ragione politica, insistenti sulla necessità della fede per avere la vittoria; condannando i preparativi militari, gli appelli agli stranieri, perché Jahvé verrà a combattere sul monte Sion. Ma ormai, nonostante il pensiero e le visioni dei Profeti, il popolo combatterà delle guerre di carattere profano e con mentalità altrettanta profana.
Un’ulteriore conseguenza, importante per lo jahvismo di Israele anche se accidentale perché dovuta non tanto alla monarchia come tale quanto all’iniziativa (che poteva anche mancare) dei primi re, è l’edificazione del Tempio nella città di Gerusalemme. Progettata da Davide (2 Sam.7) e realizzata dal suo successore Salomone (1 Re 6-8), ha visto il Tempio diventare poco a poco il solo luogo dove il culto legittimo poteva essere legittimamente celebrato. Dopo la sua distruzione definitiva avvenuta nel 70 dell’era cristiana, il Giudaismo non ha più avuto né altare né sacrificio. Tale privilegio è stato però acquisito al termine di una lunga storia e a prezzo di una lotta severa contro i santuari concorrenti, contro la tendenza alla decentralizzazione, nonché contro la contaminazioni idolatriche verificatesi inizialmente nello stesso ambito del Santuario. 

Ricordiamo in proposito le seguenti tappe:

  1. Al tempo dei Patriarchi Dio era onorato soprattutto a Sichem, Betel, Mambre e Bersabea;
  2. Sotto i Giudici e agli inizi della monarchia Jahvé era onorato a Sichem, Silo e Gabaon. Nonostante il desiderio delle tribù di rinsaldare la loro recente unità religiosa in un luogo comune dove onorare Colui che era la fonte della loro unione, la sedentarizzazione allentava i legami tra le varie tribù a vantaggio dei clan e fissando alla terra piccoli gruppi autonomi. Così anche il culto è rimasto frazionato diventando una questione di villaggio e di città, a dispetto delle poche celebrazioni unitarie;
  3. Una volta stabilita la monarchia, Davide e Salomone hanno visto nel legame religioso del popolo un potente coefficiente di unità anche politica, e quindi hanno cercato di saldare insieme politica e religione col fare di Gerusalemme il centro dell’una e dell’altra, rimediando in parte alla dicotomia procurata dalla monarchia;
    Pur dando retta alla Bibbia che vede in questa loro azione la manifestazione della loro grande fede, non dimentichiamo il lato politico di tale impresa. In più i re avendo in esso il loro “santuario palatino”, vi introdussero persone e persino culti stranieri idolatrici. Quanto ai sacerdoti officianti nel Tempio, i re li hanno certo protetti e aiutati, facendoli gradatamente emergere sui loro colleghi operanti altrove, ma con la contropartita di pretendere da loro un appoggio alle loro linee politiche. E infine ricordiamo che il culto in questa fase non era per niente centralizzato nella capitale;
  4. Il successo iniziale è durato poco. Subito dopo Salomone si è avuto lo scisma dei due regni, ed il primo re del Nord, Geroboamo, per renderlo veramente effettivo lo ha portato anche sul piano religioso operando tutta una serie di innovazioni prima tra le quali la riapertura per i suoi sudditi settentrionali dei santuari di Dan e di Betel. Inoltre, come risulta dalla redazione deuteronomistica dei libri dei Re e dei Profeti, continuarono a funzionare anche gli altri luoghi di culto: ognuno frequentava l’altura della propria città e i vecchi santuari dell’epoca premonarchica che rimanevano centri di pellegrinaggi. Mentre prosperavano un po’ ovunque i culti pagani, favoriti da molti re e sudditi;
  5. Sotto la monarchia divisa si ebbero due riforme centralizzatrici: quella di Ezechia (2 Re 18,4; 2 Cr.28-31) che, dopo la distruzione di Samaria, abolì le alture, purificò il Tempio, celebrò solennemente la Pasqua, riordinò il clero e fece del Santuario il centro unico del culto (2 Re 18,22). Ma il successore Manasse vanificò tutti i suoi sforzi.
    La seconda provenne da Giosia, che si vide assecondato nei suoi intenti dalla scoperta del Deuteronomio (parte centrale dello scritto attuale, composta al Nord con materiale levitino molto antico, poi perduta o nascosta sotto Manasse e finalmente ritrovata);
  6. L’influenza del Deuteronomio fu più duratura della riforma da esso ispirata e le sue prescrizioni guidarono l’atteggiamento dei deportati babilonesi. E’ notevole che questi non abbiano stabilito alcun santuario nella loro terra d’esilio e che i loro pensieri e le speranze loro siano rimaste rivolte a Gerusalemme. Ugualmente la comunità postesilica palestinese non ebbe altro santuario all’infuori di quello di Gerusalemme. Invece, fuori della Palestina si ebbero i santuari di Elefantina, Leontopoli, quello samaritano su Garizim;
  7. Una volta impostasi la legge dell’unità del culto nel Tempio, dove la comunità doveva ritrovarsi periodicamente nelle feste del pellegrinaggio, la necessità di un culto più assiduo e dello studio delle Legge da parte delle singole comunità ha portato alla nascita delle Sinagoghe. Questi luoghi di preghiera e di culto senza sacrificio avrebbero assunto un grande ruolo nello sviluppo e nel mantenimento dello jahvismo, sopravvivendo addirittura al Tempio.

Piano sociale

La monarchia nel darsi una struttura adeguata ai propri compiti, ha favorito l’emergere di funzioni nuove, arricchendo la società ebraica di nuove classi sociali.
Iniziando dal campo militare, la tendenza dei Filistei a stabilire un dominio su Israele ed il fatto che tutti i bordi dei territori occupati dalle tribù israelitiche erano diventati frontiere da difendere, già sotto Saul procurò la formazione di una truppa permanente. Egli quando vedeva un uomo valido e bravo lo portava con se (1 Sam.14,52). Anche se di preferenza si associava uomini della tribù di Beniamino (1 Sam.22,7), prendeva anche altri uomini di tribù diverse, o magari anche stranieri come l’edomita Goeg (1 Sam.21,8; 22,18). Con Davide, poi, i mercenari crebbero di numero e da allora costituivano il nucleo fisso dell’esercito.

A capo di questa milizia nuova non era più necessariamente il re, ma accanto a lui c’erano dei suoi capi i quali detenevano il comando nominale delle truppe e sostituivano il re sul campo di battaglia quando questi era trattenuto nella reggia per la conduzione degli affari politici.
Così da una parte si ha una divisione del potere politico da quello militare, dall’altra si ha la nascita di una classe militare, formata da gente esclusivamente dedita alla guerra. E’ facile vedere in questo fenomeno una delle cause di quella “profanizzazione” della guerra di cui abbiamo già parlato.
Oltre alla classe militare viene a moltiplicarsi la “gente del re” che vive anzitutto a corte, mantenendo i vari legami

della monarchia col popolo e con le altre corti. Si tratterà di una classe assai differenziata, comprendente uomini dediti ai vari settori della politica interna ed estera, così come persone impegnate nel settore amministrativo o culturale. Ecco quanto ha fatto Davide dando inizio a un processo di trasformazione che i successori avrebbero ampliato maggiormente.

Davide dotò il suo regno di una progredita struttura amministrativa, che andò sempre più ampliando e perfezionando con l’aggiunta di nuovi uffici e con qualche mutamento (2 Sam.8,15-18; 20,23-26).
Solo creando un corpo di funzionari dipendenti direttamente dal re, Davide fu in grado di assicurare i servizi pubblici, amministrare i beni della corona e riscuotere le imposte. E’ assai probabile che egli abbia creato questi quadri amministrativi ispirandosi all’Egitto e, forse, avvalendosi addirittura di tecnici reclutati in Egitto o nei centri formati alla scuola di funzionari egiziani. Infatti, la Siria non esercitava ancora nessuna influenza sul giovane stato; invece l’Egitto, da cui Israele era uscito, aveva già iniziato quelle relazioni diplomatiche che dovevano poi essere suggellate dal matrimonio di Salomone con la figlia del Faraone.

Sembra però che Davide abbia tenuto in considerazione anche le tradizioni cananee esistenti a Gerusalemme e in altre città del Canaan. Abbiamo perciò soltanto una dipendenza indiretta dalle istituzioni egiziane…Oltre al comandante dell’esercito (Gioab, al tempo di Davide), a quello delle guardie del corpo (Senaia) e agli enigmatici figli di Davide che ricevono la qualifica di sacerdoti, abbiamo due sommi sacerdoti (Abiatar e Sadoc), un araldo e uno scriba.
Sono queste due ultime cariche che tradiscono maggiormente l’ispirazione egiziana. L’araldo (Mazkir) doveva avere le stesse incombenze del parlatore (uhm.w) egiziano: egli era l’informatore ufficiale del re , incaricato di far giungere a lui le varie richieste e di trasmettere le sue decisioni, l’uomo di fiducia cui erano affidate le cause delicate. Lo scriba del re (sofer ammelek) come il suo collega della corte egiziana era il segretario del re, sia per gli affari privati sia per quelli pubblici. Egli era l’incaricato specialmente della corrispondenza diplomatica con l’estero e con l’interno cosicché il suo ufficio fa pensare a quello di un ministro degli interni e degli affari esteri. Pare che fosse anche incaricato di redigere gli annali del re e soprintendere all’archivio e alla biblioteca reale. Fra i principali requisiti dello scriba doveva esserci quello della conoscenza delle lingue straniere, particolarmente di quelle impiegate nelle relazioni diplomatiche. A considerare il nome, sembra che lo scriba della corte davidica fosse appunto uno straniero; si è incerti se fosse egiziano oppure hurrita.

Di sicura ispirazione egiziana è pure l’ordine dei Trenta (2 Sam.23, 1 Cr.27), giacché in precedenza Ramses aveva avuto in Egitto un seguito chiamato la “Schiera dei Trenta”. Sembra che fosse una specie di Ordine Cavalleresco che poteva comportare un numero maggiore di iscritti.
Le cariche nuove, lungi dal limitarsi all’ambito della reggia, si estendono necessariamente anche al suo esterno. La popolazione, infatti, continua ad essere raggruppata in tribù con capi propri; però vicino a questi ultimi il re pone i propri agenti che nei numerosi sigilli ritrovati nel corso degli scavi si chiamavano “servi del re”. Ad essi incombeva il compito di riscuotere le imposte, eseguire i lavori pubblici e amministrare i possedimenti regi.

Piano economico

Un regno unitario, sotto la guida di un solo capo, ha portato come era nei desideri di tutti non solo a difendersi dai pericoli esterni ma addirittura alla possibilità di formare un impero che possiamo considerare la “terza forza” presente nel Medio Oriente dopo gli imperi Egiziano e Mesopotamico. Tale appellativo non deve però far dimenticare l’enorme distanza del regno davidico-salomonico dalla forza e dallo splendore delle due potenze sopra nominate.
Comunque la pace e la forza assicurate dai primi re (anche grazie alle crisi interne dell’Egitto e della Mesopotamia) hanno fruttato la prosperità interna, il benessere materiale.

Con questa cornice si pone l’inizio di quello sviluppo delle classi sociali che si farà assai più ricco e complesso al tempo della monarchia divisa. Restano sempre i lavoratori della terra, ma accanto a loro sorgono commercianti, artigiani, autorità civili, la borghesia ed i latifondisti, ecc…Vanno cioè prendendo corpo tutte le arti e tutti i mestieri che sono propri di una civiltà cittadina.

Piano culturale

Fatto importantissimo: con la monarchia gli Ebrei arrivano definitivamente alla “civiltà della scrittura” ed entrano così nel periodo storico, dato che le loro varie vicende ora troveranno una sempre più ricca documentazione scritta. Ne consegue per noi la possibilità di ricostruire più concretamente le loro esperienze, abbandonando molte delle riserve cui ci aveva costretti il genere di documentazione che avevamo per i periodi storici precedenti.
Alla monarchia si deve la formazione del clima, dei centri, delle categorie di persone adatte all’uso quotidiano della penna.

Il clima è fornito dalla necessità di documentare le molteplici attività politiche e amministrative del regno; dal legittimo desiderio dei re di avere una classe dirigente colta, all’altezza della situazione, anche per gareggiare in campo culturale con le altri corti del Medio Oriente; dalla spinta sempre più forte che uomini singoli, nella reggia o fuori di essa, ricevevano a partecipare le loro esperienze ad una cerchia numerosa di persone, cominciando magari dai loro figli; dall’attività della classe sacerdotale che andava specializzandosi nel proclamare e attualizzare la Parola divina del Patto nei vari santuari. Tutto questo dice già quali risultino i…

Centri principali dell’attività scrittoria: essi sono la corte per la stesura delle documentazioni ufficiali politico-commerciale e per la produzione sapienziale aulica, in favore del re; il Tempio di Gerusaòlemme e gli altri santuari per gli scritti di carattere religioso; il popolo con la sua borghesia e con la sua aristocrazia letteraria per la produzione soprattutto di carattere didattico-sapeinziale.

Le categorie di persone resesi benemerite per questa produzione letteraria sono quelle che hanno maggiormente contribuito al passaggio di Israele da una civiltà agricola primitiva ad una più evoluta civiltà cittadina: funzionari del re, aristocratici, borghesi, sacerdoti, profeti e scribi.
E’ da questo momento che comincia ad accumularsi tutto quel materiale letterario dal quale sarà poi composto l’insieme della Bibbia del Vecchio Testamento.

 

Fortuna di Gerusalemme

Un paragrafo a parte merita la città di Gerusalemme, assurta proprio con la monarchia al rango di capitale politica e religiosa del popolo ebreo.
“Jerusalem o Jerusalaim” (=fondazione del dio Salem; Salem ha fondato; Salem protegga. Le altre molte interpretazioni del nome non risultano fondate) è una città situata sull’altopiano centrale della Palestina in prossimità dello spartiacque fra il Mediterraneo e il Mar Morto; si trova adagiata su montagne raggiungenti circa 800 metri di altezza e circondate da valli che ne facevano una rocca inespugnabile.
Abitata nel IV° millennio da una popolazione che con termine geografico più che etnico potremmo chiamare “Cananea”, nel II° millennio fu occupata dal clan aborrita dei Jebusei i quali tennero gli Israeliti del tempo di Giosué e dei Giudici a debita distanza (Giu.19,18).

Con abile mossa politica, Davide pensò di espugnarla (il che fece, secondo una certa interpretazione di 2 Sam.5,6-10 e 1 Cron.11,5, con uno stratagemma e non per assalto diretto. Ma i testi permettono altre letture) facendone la capitale del suo regno. In questo egli sfruttava alcune circostanze favorevoli:

  1. La città godeva anzitutto di una favorevole posizione strategica ed economica. Nel bel mezzo di un territorio già estesamente coltivato all’epoca davidica, si trovava pure nei pressi di un importante nodo di comunicazioni stradali (strada nord-sud incrociata da quella proveniente dalla piana costiera della Shefela e che portava verso il Giordano e oltre);
  2. La città era poi situata fuori dai possedimenti della tribù del Nord e del Sud. La sua conquista ed elezione a capitale del regno non correva pertanto il pericolo di urtare contro gli interessi delle grandi famiglie israelitiche o di suscitare la gelosia di Efraim e di Giuda;
  3. Avrebbe avuto dei precedenti religiosi, giacché la tradizione l’avrebbe già a quel tempo collegata alla città di Salem di cui era sacerdote Melchisedeck e nell’aia di Ornana dove Davide portò l’Arca dell’Alleanza avrebbe visto il luogo dove Abramo era stato sul punto di sacrificare il figlio Isacco. Ma la discordanza delle tradizioni veterotestamentarie fa piuttosto pensare che tali identificazioni siano state operate quando Gerusalemme era già capitale ebraica, per il desiderio di riportare nella città santa tutte le glorie del passato.

L’importanza di Gerusalemme, scaduta alquanto con la divisione del regno davidico in due tronconi, è aumentata col Giudaismo postesilico che l’ha considerata il centro della presenza divina nella nuova comunità religiosa sorta sulle ceneri della monarchia. Avrebbe poi raggiunto il vertice con Cristo che, morendo in croce, ne ha fatto per sempre il centro storico della salvezza universale. Da allora Gerusalemme è rimasta la città santa per eccellenza e la culla della comunità cristiana. E si può affermare guardando alla sua travagliatissima esistenza nel corso di tutto il Nuovo Testamento che porta con sé le stigmate della propria missione: Gerusalemme, città della pace, dona questo bene al mondo soffrendo un perpetuo calvario.

 

Profilo dei tre re

Saul

Figlio di Qis, della tribù di Beniamino, fu segretamente unto re da Samuele e poi riconosciuto ufficialmente dal popolo riunito a Mispah (1 Sam.10,17 ss.). Si distingue soprattutto come:
Liberatore dagli Ammoniti e dai Filistei, i quali ultimi non furono però eliminati completamente; anzi, proprio lottando contro di loro cominciò a scontrarsi col potere religioso (di tale contrasto abbiamo l’eco in 1 Sam.13,9-14; 15);
Unificatore del popolo, grazie alla prestanza fisica e alle sue doti di guerriero. Furono le sue prime vittorie a conquistargli la stima definitiva di tutti i gruppi;
Re: in proposito abbiamo però già rivelato la scarsità di notizie concernenti l’esercizio concreto del suo potere regale, dato che le fonti lo vedono costantemente impegnato nella sola attività militare.

Le fonti insistono sul suo malinconico tramonto e sulle cause relative. Fino a che punto le loro preoccupazioni dottrinali restino rispettose del dato storico-cronologico non ci è dato saperlo. Ad ogni modo, esse ci fanno sapere come “per sua sfortuna Saul si compromise con il potere religioso violando durante la guerra amalecita la legge inesorabile dell’interdetto e attirandosi così la riprovazione di Samuele. Abbandonato definitivamente dal Profeta che lo aveva consacrato e guidato, egli accentuò le sue tendenze assolutiste alienandosi l’anima del popolo. La riprovazione divina e l’abbandono del favore popolare determinarono il lui una depressione nervosa così profonda che lo condusse inesorabilmente all’ipocondria. Ne sono il segno inequivocabile le frequenti convulsioni in cui si vedeva, secondo l’opinione di quel tempo, la presenza dello spirito maligno, e le esplosioni del suo carattere già per natura violento e crudele. Questo determinò, secondo una tradizione, l’ingresso di Davide alla corte e l’inizio della sua ascesa. Secondo l’altra tradizione, invece, questi entrò a corte in seguito alla vittoria riportata sul gigante Golia.

Davide

Come appena rilevato, il suo ingresso nella corte di Saul è presentato in due modi difficilmente armonizzabili (1 Sam.16,14-23 e 17,1-18, 5). E’ probabile che il compilatore abbia trovato due fonti che, nell’impossibilità di esaminare criticamente, preferì giustapporre cercando di raccogliere il meglio. Per il resto, Davide rimane come il grande creatore dello stato politico di Israele; nella storia ebraica egli giganteggia accanto ad Abramo e a Mosé, segnando del suo nome il periodo della liberazione del popolo dai Filistei di cui era stato vassallo.
Fu poi un abilissimo politico, riuscendo ad assopire (ma non ad eliminare) la rivalità tra le tribù del nord e quelle del sud. Allo scopo egli portò la capitale da Hebron appartenente alle tribù meridionali a Gerusalemme, ancora in mani cananee e posta tra nord e sud. Anzi, alla sua conquista che si presentava molto difficile perché la città era una vera roccaforte, invitò tutte le tribù perché alla fine la sentissero tutte come città loro. Poi trasformò la capitale politica in centro religioso trasferendo l’Arca dalla cittadina di Kiriat-Iarim nel sud, e progettando di edificare il Gerusalemme il Tempio. Opera che invece avrebbe compiuto Salomone. Pure la divisione del regno in territori amministrativi è stata da lui attuata con la preoccupazione di non provocare la suscettibilità delle tribù.
Fu altrettanto grande come guerriero, riuscendo ad eliminare per sempre il pericolo dei Filistei ridotti a tributo assieme agli Ammaniti, Aramei, Moabiti e Edomiti. Il dominio di Davide si estendeva così dalle frontiere egiziane fino a Damasco. Il regno di Israele, per merito suo, era diventato un piccolo impero, l’entità politico-militare più forte nella Siria meridionale.
Abbiamo già parlato della sua accorta amministrazione.
La Bibbia celebra in particolar modo la sua straordinaria santità, non annullata dalle colpe che il re prontamente riconobbe e pianse. Come re perseguitato (e nelle vicende ultime della sua famiglia possiamo rilevare una certa sua debolezza nei riguardi dei figli), egli è pure presentato quale tipo di Cristo sofferente.

Salomone

E’ la figura più interessante, e composita. Gli si può dare una valutazione grandemente positiva, ed un’altra altrettanto negativa. 

In positivo: il regno salomonico non fu caratterizzato da notevoli fatti d’arme; ciò nonostante conservò quasi interamente l’ampiezza datagli da Davide. Questi risultati sono dovuti alla genialità del sovrano che organizzò l’esercito, dotandolo per la prima volta di numerosi carri da guerra, e creò una cintura di piazzeforti (Hazor, Megiddo, Bet-Horon e Gezer) a difesa delle vie di accesso a Israele. 
Egli si è distinto:

  1. Per abilità politica, che lo portò a stipulare alleanze con l’Egitto e col re di Tiro;
  2. Per la riorganizzazione del regno sotto il profilo amministrativo
  3. Per l’enorme impulso dato al commercio;
  4. Per le grandi costruzioni, soprattutto in Gerusalemme;
  5. Per le sue tendenze umanistiche.

In negativo: si deve riconoscere che Salomone ha compiuto tutta una serie di errori ( o almeno ha posto le premesse) in campo politico, sociale e religioso, tali da provocare subito dopo la sua scomparsa la scissione del regno che mai più sarebbe tornato a riunirsi. Cosicché ci si può legittimamente chiedere se la sapienza che lo ha reso celebre nella storia non gli sia mancata o se almeno debba avere un’interpretazione alquanto restrittiva.

Di fatto:

Politicamente attuò una divisione amministrativa che, sebbene per molte ragioni plausibili, non rispettava i confini delle tribù, dando loro l’impressione di voler togliere la poca autonomia che restava loro, inviò in queste province dei funzionari suoi, per lo più parenti, che curavano gli interessi della sua casa; stabilì che le province pensassero a turno alle spese della mensa regia e pare che le tribù meridionali fossero state esentate da tale onere. Tra l’altro, dal tempo di Davide, le tribù si erano viste private del diritto di eleggere il proprio re.

Socialmente se Davide aveva tenuto un comportamento modesto, Salomone visse nello sfarzo, da vero monarca orientale. La Bibbia sottolinea il lusso sfrenato nella mensa, la grandiosità delle sue stalle (12.000 cavalli), il numero stragrande di carri da guerra (1.400). Tutto questo portava ad un immenso bisogno di denaro e all’imposizione di forti tasse. Nella costruzione del Tempio e della reggia mobilitò un terzo di tutti gli uomini dai 20 ai 50 anni, e ciò non poteva suscitare le reazioni di gente che si vedeva costretta a trascurare i propri interessi per curare quelli del re. Pure la proverbiale lussuria di Salomone comportava praticamente delle spese non indifferenti.

Religiosamente il matrimonio con donne pagane comportava il permesso dato loro di esercitare i propri culti e di avere templi con sacerdoti propri, Da qui, oltre a spese ulteriori, il dilagare del politeismo e dell’immoralità ( e poiché tale comportamento religioso potrebbe non avere suscitato subito le reazioni negative dei profeti, si pone il problema della natura che lo jahvismo di allora avesse assunto). La stessa edificazione del Tempio in Gerusalemme deve avere urtato quelle tribù che nei loro territori avevano santuari tradizionali che, come sempre accade, erano anche una fonte di guadagno. Tutte queste ragioni spiegano come appena morto Salomone il regno sia entrato in crisi e si sia sfasciato.

 

Produzione letteraria

Con la monarchia l’attività scrittoria “esplode”, dando origine alla civiltà della scrittura. Molto è il materiale che, formatosi in questo periodo, entrerà più tardi a far parte della Bibbia. Seguendo la divisione del Canone in libri profetici, sapienziali e storici, dobbiamo affermare che:

La produzione profetica è ancora nulla, dato che il fenomeno dei “profeti scrittori” inizierà solo nel secolo VIII°;
La produzione sapienziale registra invece l’inizio delle sue varie forme:

  1. Con Salomone, cui la tradizione riconosce l’arte della sapienza e che aveva bisogno di gareggiare con la cultura delle corti straniere, inizia la produzione dei PROVERBI (possono essere realmente del suo tempo le due collezioni attuali di Prov.10,22 e 25 -29 che mostrano evidenti paralleli con le sentenze egiziane di Amenemope);
  2. Con Davide del quale ci sono tramandati due brani poetici (2 Sam.1,19-27 e 23,1-7) e cui è attribuito tutto il Salterio, è iniziata di certo la composizione dei SALMI per esigenze cultuali. Qualche Salmo può ben essere suo o almeno del suo tempo;
  3. Nella corte si è sviluppata la poesia aulica, in onore del re, mentre fuori andavano diffondendosi i canti popolari. Alcuni di questi canti aulici e popolari possono essere entrati a far parte, tempo dopo, dell’insieme del CANTICO DEI CANTICI. Almeno secondo una certa interpretazione di quest’opera sapienziale.

La produzione storica registra una ricca produzione in due settori:

Storia contemporanea.
A corte per motivi veri, si compongono gli annali (1 Re 11,41 ss; 14,19 ss; 14,29 ss ecc…) costituenti la futura miniera di notizie per la composizione di tutte le opere storiche.
Vede la luce il racconto della ASCESA AL TRONO DI DAVIDE (1 Sam.16,24 e 2 Sam. 5,12) la quale nel modo di celebrare la gloria di questo re, mostra un modo nuovo di procedere: attenzione prestata non più al solo Jahvé ma al comportamento e ai sentimenti degli uomini, nonché al concatenarsi naturale degli eventi.
La storia della SUCCESSIONE AL TRONO DI DAVIDE (2 Sam.6 e 1 Re 1) con la sua profonda unità letteraria dominata dalla tensione tra la sterilità della regina (2 Sam.6,23) e la promessa di Natan (2 Sam.7), per cui la domanda: “Chi siederà sul trono del nostro signore?” ( 1 Re 1,20.27); con la sua sorprendente profanità relativa di interesse a problemi istituzionali e politici; con la forte caratterizzazione dei personaggi: re, principi, condottieri e mercenari, ribelli, donne e gente del popolo; con la sua profonda teologia che vede tutto guidato da Dio anche se lo nomina tre volte (2 Sam.11,27; 12, 24; 17,14).

Storia passata.
La storia di Giuseppe (Gen.37-50), con il suo carattere sapienziale, si può ipotizzare scritta in questo periodo: la Provvidenza che segue e dirige le sorti di Giuseppe e del popolo futuro; e in questo quadro la figura di Giuseppe “uomo giusto” che si abbandona all’azione di Dio secondo i canoni dell’uomo sapiente illustrati dai Proverbi: uomo di fede, lungimirante, paziente, umile, distaccato dai beni terreni, ecc…
Il documento più importante è però la storia del DOCUMENTO JAHVISTA, così chiamato perché dai suoi autori, ignoti, Dio è chiamato col nome di Jahvé. Si tratta di una storia continua che, partendo dal peccato dei primi uomini nel paradiso terrestre arriva fino alla marcia verso la terra promessa, o alla sua conquista (per alcuni) se non addirittura fino a Davide (per latri) o anche oltre (per altri ancora).

La sua finalità può essere duplice: o rispondere alle preoccupazioni di chi nella secolarizzazione portata da Davide nelle istituzioni religiose tradizionali vedeva un pericolo per lo jahvismo; oppure mostrare che, se con Davide il regno si era trasformato in impero e gli Ebrei si trovavano a convivere con tante popolazioni pagane, ciò era dovuto al disegno di Dio che affidava al popolo eletto un ufficio di mediazione salvifica.
Le sue linee teologiche principali sono le seguenti:

1) attenzione posta non solo a Israele ma a tutti i popoli;
2) tema della benedizione scendente dai patriarchi sul popolo, cosicché il vertice di questo racconto si ha nelle vicende dei patriarchi anziché nei fatti dell’Esodo dall’Egitto;
3) l’unità della storia religiosa umana, messa in risalto dal fatto che Dio sarebbe sempre stato onorato sotto il nome di Jahvé.

Letterariamente il racconto ha un andamento descrittivo, il suo insegnamento è impartito attraverso affermazioni teoriche bensì mediante tanti piccoli fatti raccontati con estrema semplicità ( che non deve essere scambiata per puerilità); l’autore o gli autori non temono l’uso di antropomorfismi e antropopatismi arditi, che sono segno di una spiritualità nobile e virile.
Questo documento finirà per costituire uno dei pilastri portanti (assieme ad altri tre che vedremo) di tutto il Pentateuco.

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