STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIO

LE FONTI

I libri della Bibbia

La storia, quale seguito quasi organico d'esperienze fatte da tutta la famiglia umana o da questo o quel gruppo d'uomini, una volta vissuta nel tempo si ricostruisce in conformità a documenti vari privilegiati tra i quali sono quelli scritti.

Accostandoci alla storia ebraica dell'A.T. potremmo ritenerci sufficientemente documentati grazie alla serie dei cosiddetti "libri storici" della Bibbia veterotestamentaria, che sarebbe in grado di fornirci, dall'esterno, tutte le notizie cui abbisogniamo.

Tuttavia anche la composizione di tali documenti è stato un fatto storico, culturale, religioso. E un fatto lungo e assai complesso! Una storia completa, quale vogliamo perseguire, non può rivolgersi ai nostri libri quali semplici fonti d'informazione; deve invece includere nel proprio esame le "modalità storiche" del loro formarsi, come gli impulsi che li hanno originati, gli ambienti e i tempi della loro genesi, le tesi da loro perseguite, e così via. In altri termini: nel viaggio all'interno della storia del popolo ebraico dobbiamo includere come fatto storico di principale importanza l'attività letteraria del popolo stesso.

Su questo piano, dobbiamo anzitutto prendere atto del fatto che gli Ebrei antichi, lungi dal fare una semplice opera di documentazione delle loro esperienze, hanno composto le loro opere quali "interpretazione" al fine di far risaltare la propria storia quale frutto di un preciso disegno di Dio presente in modo del tutto particolare nella Sua comunità. Siamo così di fronte ad un'opera teologica, dove l'importante non è mai la riproduzione del fatto in se stesso, bensì il suo significato religioso, salvifico. Essendo centrale l'elemento religioso, quello storico è presente ma a titolo di mezzo, di strumento, che è usato con la libertà riservata ai mezzi che si usano.

Di conseguenza non possiamo pretendere dalla Bibbia l'esattezza cronologica o topografica, la riproduzione fotografica della realtà da un punto di vista esterno, una riproduzione dei fatti imparziale, distaccata, disaffezionata, che sarebbe garante della veridicità del racconto (tra l'altro oggigiorno nessun studioso crede più all'esistenza di un tale genere di storia!).
Ne risulta che, anche per l'interpretazione dei documenti biblici, dovremo andare oltre il dato di fede e, come storici, cercare di ricostruire la situazione concreta che ha originato l'interpretazione di ciascun fatto, per meglio conoscere il popolo ebraico.

L'interpretazione di fede propria della Bibbia non ha poi bisogno di radicarsi in tutte le molteplici esperienze fatte dal popolo. Molte di esse, siano state di natura sociale, politica, economica, culturale o di qualsiasi altro tipo, possono essere state considerate insignificanti dal punto di vista religioso, e perciò non menzionate. Siamo così di fronte ad una storia per molti versi incompleta, non in grado di soddisfare in pieno la nostra curiosità storica, per estinguere la quale molto spesso si dovrà far ricorso a notizie provenienti da altre fonti di carattere profano.
In più, se nell'insieme della Bibbia dell'A.T. i libri chiamati "storici" costituiscono un complesso abbastanza omogeneo tanto da essere distinto dalle altre due parti del canone (libri profetici e sapienziali), considerati al loro interno si presentano in gruppi o anche come opere singole (poche, per la verità), con tematiche proprie che solo nell'ispirazione generale coincidono mentre divergono nel concreto. Ci troviamo così di fronte non ad un tutto organico ed omogeneo, ma al contrario a opere varie che occorre armonizzare.

Si aggiunga infine il fatto che i canoni storici di qualche millennio fa non coincidono perfettamente con il metodo storico attuale. La scienza storica ha fatto dei progressi o, perlomeno, procede secondo metodi varianti nel tempo. Se la verità rimane sempre l'oggetto della storia, il modo di farla risaltare può variare ed essere legato alla sensibilità, alla cultura, alla scienza delle varie epoche.
Ci sono così alcuni procedimenti razionali propri di ogni tempo, che lo studioso è chiamato a conoscere, valutare, per non far dire a scrittori di altri tempi cose che esulavano dalle loro intenzioni.

Prima di addentrarci nel viaggio vero e proprio è necessario conoscere almeno l'essenziale dei risultati conseguiti in anni di studi critici sulla storia della formazione dei Libri. Le ricerche iniziarono alla fine del 1600 e sono tuttora in corso. L'avvio fu determinato dall'obiettiva necessità di rispondere a difficoltà e problemi che i testi presentano. Ci sono, ad esempio, molti doppioni (la cacciata di Agar e Ismalele è narrata due volte; tre volte, due per Abramo e una per Isacco, si parla di una moglie presentata come sorella) e molte incongruenze o diversità (il Sinai è chiamato anche Oreb, il suocero di Mosé ha tre nomi diversi, ecc..) Lo stile è diverso da narrazione a narrazione e le leggi contengono spesso norme divergenti a riguardo del medesimo oggetto.

Fin dall'inizio degli studi l'ipotesi più sensata parve quella di fonti diverse, nate e trasmesse in epoche e ambienti diversi, le quali, a un certo punto, furono raccolte insieme da redattori che compilarono i libri che oggi possediamo. Gli studiosi si concentrarono nella ricerca di queste fonti, per stabilire quante e quali fossero, in quale epoca e ambiente si fossero formate, quali evoluzioni, aggiunte, modifiche avessero subito e, infine, con quali criteri fossero state conglobate negli insiemi attuali.

Nomi, sigle, luogo ed epoca di origine finirono per assestarsi secondo questo schema:

J (Y) Yahvista Regno del Sud sec. X-IZ
E Eloista Regno del Nord sec. VIII
D Deuteronomica Regno del Sud sec. VII
P Sacerdotale Esilio sec.VI-V

 

I testi jahvisti

Quando un testo viene indicato come J, nella nota di una Bibbia moderna, vuol dire che appartiene a quel tipo di brani che hanno una o più delle particolarità seguenti:

  1. Il nome di Dio è YHWH (Yahveh, generalmente tradotto con Signore nelle nostre Bibbie) anche prima della sua rivelazione in Es. 3. L'uso è fatto risalire da J a enos, figlio di Set, figlio di Adamo (Gen.4,26) quindi agli inizi della storia. Dopo Es.3 anche altre tradizioni usano il nome YHWH.
  2. Il monte di Dio è chiamato Sinai (nei testi E e D: Oreb).
  3. I popoli che abitano la Palestina prima degli Ebrei sono cananei ( nei testi E: Amorrei).
  4. Il suocero di Mosé è Reuel (E: Ietro).
  5. Le narrazioni sono ben localizzate, inserite in uno schema storico globale, con particolare attenzione alla vivacità anedottica delle scene.
  6. Si trovano tipiche espressioni antropomorfiche (Dio fabbrica per Adamo ed Eva tuniche di pelle e chiude la porta dell'arca) descrivendo così Dio benevolmente vicino all'uomo, mentre E inserisce mediazioni come l'angelo e il sogno: caso tipico il confronto tra Gen.16 (J) e Gen.29 (E).
  7. Si descrive la psicologia umana, soprattutto quella femminile.
  8. I testi di tipo jahvista sono permeati di ottimismo religioso, fondato sulla conoscenza di YHWH, dei suoi disegni, e della sua potenza.
  9. Il Dio dei testi J è trascendente ma più ancora è vicino all'uomo, gli parla, prende i pasti con lui. La sua legge è un imperativo che si indirizza direttamente, in materia autoritaria, alla coscienza dell'uomo, ma si fonda prevalentemente su precetti cultuali (infatti il decalogo J che si trova in Es.34 è cultuale).

 

I testi elohisti

Il materiale elogista è scarso (nessuna traccia prima di Abramo, per cui il primo brano E di sufficiente ampiezza sarebbe in Gen.20 il sacrificio di Isacco), tanto da far pensare, più che a un vero e proprio documento, a un complesso di tradizioni che sarebbero state ben presto fuse con J (forse al tempo di Ezechia) A E si attribuisce il Decalogo e l'inserimento al Sinai del codice dell'Alleanza.
Possiamo riassumere brevemente l'esposizione classica dei caratteri formali, stilistici e teologici di E. Il nome di YHWH non è usato prima di Es.3. I racconti E non hanno la vivacità e il vigore drammatico di J; sono più semplici, scorrevoli, qualche volta più teneri (Agar!) con presenza di arcaismi. E è interessato a località e a personaggi del Nord. Tipica è la sua profondità morale, il senso del peccato, della trascendenza di Dio. Il suo decalogo è morale, non cultuale (al Nord mancava la ideologia del Tempio e del suo culto). La meditazione salvifica principale non è il re, né il Tempio né la terra, ma la fedeltà al volere di Dio, come affermano i Profeti. E' veramente probabile che i pochi testi di tipo Elogista vengano dal Nord e risalgano a non prima del secolo VIII.

 

I testi sacerdotali

La schema P costituisce l'intelaiatura in cui tutto il restante materiale del pentateuco è ora inquadrato ( pensate al valore strutturale delle genealogia e della cronologia) per cui rendersi conto della linea espositiva di P equivale a percepire la struttura portante dell'intero Pentateuco.

Il filone di P è facilmente individuabile anche in una traduzione per il suo stile solenne e freddo, le genealogie, le cronologie, l'interesse per il rituale e la legislazione.
Q P appartengono testi narrativi e un insieme molto più esteso di testi legislativi. Gli uni e gli altri hanno un'unità di vocabolario, di stile e di idee.

La caratteristica di P consiste proprio in questa unità tra le parti narrative e quelle legislative. Anche all'interno dei testi P si notano, però, numerosi doppioni e incongruenze. Un piccolo ma significativo esempio può essere la differenza di età per l'inizio del servizio dei leviti: 30 anni secondo Num.4,23; 25 anni secondo Num.8,23. Molti sono stati i tentativi di distinguere i vari strati che compongono l'insieme di P e di ricostruire la storia delle successive aggregazioni di materiale. Le opinioni sono spesso divergenti e non interessano direttamente il nostro viaggio all'interno della Bibbia.

La narrazione è scandita da genealogie e notazioni cronologiche. Al di là del concreto e dell'episodico P sembra andare alla ricerca del senso essenziale della storia. La storia umana procede dall'atto creatore di Dio e, nonostante il peccato, la pace di Dio è offerta all'umanità intera anche dopo il diluvio. Vi è in P una forte apertura universalistica. La duplice promessa della posterità e della terra è alla base della chiamata di Sabramo e della storia patriarcale. Al centro della storia sta la faticosa costituzione del popolo attraverso l'Esodo, il Sinai e il deserto.

Qui l'offerta di Dio si scontra con la riluttanza colpevole del popolo, tanto che l'ingresso nella terra è concesso solo a una generazione completamente nuova. Questa lontananza della terra, che è luogo verso cui si va più che luogo in cui si dimora -e, nel caso vi si dimori, ciò e solo come stranieri residenti alla maniera dei patriarchi e dei leviti- sembra riflettere la situazione del popolo in esilio, consapevole di non essere stato in grado di godere stabilmente del dono della terra.

La speranza del reingresso rimane costante. Ma la grazia di essere popolo di Dio può passare per altre vie: il sabato, le morme alimentari, la circoncisione, osservanze che si radicano ancor più profondamente nel disegno divino per la loro antichissima istituzione e che sono praticabili ovunque, anche nella diaspora.

La garanzia primaria rimane però la presenza del Signore, talvolta ritenuta costante, tal altra saltuaria, nella tenda dell'incontro. Dell'incontro, dopo Mosé e Aronne, sono mediatori i sacerdoti. La figura del re è assente dallo schema di P.

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