Vangelo di Matteo – Cap 9

Cap. 9,1-18: Il paralitico e la remissione dei peccati.

*Gesù salì sulla barca, rifece la traversata del lago e venne nella sua città. *Gli portarono un paralitico steso su una brandina. Vedendo la loro fede, Gesù disse al paralitico: Coraggio, figlio mio! I tuoi peccati ti sono perdonati.

*Ora alcuni maestri della legge dissero tra sé: Costui bestemmia. *Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: Perché covate pensieri cattivi nella vostra mente? *Che cos’è più facile, dire: I tuoi peccati ti sono perdonati, oppure dire: Alzati e cammina?

*Ebbene perché sappiate che il figlio dell’uomo ha sulla terra il potere di perdonare i peccati, disse al paralitico: Alzati, prendi la tua brandina e vai a casa.

*Quello si alzò e se ne andò a casa. *La gente che aveva veduto fu colta da timore e incominciò a lodare Dio per avere dato un tale potere agli uomini.

Gesù guarisce il cieco - Carl Heinrich BLOCHIl brano del vangelo che abbiamo letto ci riporta a Cafarnao, nella casa di Pietro e di Andrea, scelta da Gesù come sua abitazione. C’è come una strana euforia in città: giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, in tanti si dirigono verso quella casa. Nei loro volti si legge la voglia di star bene e di essere finalmente felici. Anche se solo un gruppo riesce ad entrare, il clima è in ogni caso di festa.

La presenza di Gesù allarga sempre il cuore alla speranza, crea tranquillità e gioia. Sembra che costoro vivano le parole del profeta: “Non ricordate più le cose passate…Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is.43,18-19). In verità quelle persone si erano accorte che stava sorgendo una cosa nuova. E, infatti, la loro attenzione si era rivolta verso quel giovane profeta.

La prima considerazione che mi viene da pensare e che mi chiedo: non dovrebbe essere così per ogni nostra parrocchia, per ogni nostra chiesa, per ogni nostra comunità? Non dovrebbe essere il cuore di ciascuno di noi come una porta per chiunque ha bisogno di amore e di sostegno?

Il brano parla di quattro amici che portano un uomo malato davanti a Gesù (tratto dagli altri sinottici). E questo mi sembra suggerire una seconda considerazione, a noi, spesso distratti ed egocentrici, che i malati e i poveri hanno bisogno che qualcuno li aiuti, che stia loro vicino, che s’interessi davvero della loro vita e della loro condizione.

La situazione è drammatica dal momento che vi è un tale accorrere e pigiarsi della folla che gli ammalati non possono più raggiungere Gesù. Ecco allora lo stratagemma dei quattro amici del paralitico: sfondano il tetto e calano il malato davanti a Gesù. Operazione piuttosto facile poiché si tratta di un’abitazione del tempo ad un solo piano con un terrazzo fatto di frascume e fango, che si può facilmente rimuovere.

Davvero l’amore non conosce ostacoli, fa scovare strade anche le più impensate! Così il paralitico è posto al centro della casa. Per la gente è il centro fisico, per Gesù diviene il centro delle sue attenzioni. Il povero malato che nella speranza della guarigione si era lasciato trasportare in quel modo, si sente dire parole inaspettate: “Coraggio, figlio mio. I tuoi peccati ti sono perdonati”.

La terza considerazione da fare è che l’uomo è inesauribile nel peccato, ma Dio lo è ancora di più nel perdono. L’incarnazione del suo Unigenito e l’opera redentrice di lui sono la testimonianza più chiara. Gesù ha mostrato in mille modi quanto Dio ami perdonare; anzi ha perfino anticipato il perdono prima che fosse chiesto. E’ il caso del paralitico della narrazione che stiamo meditando. Per l’ammalato, con ogni probabilità, non erano i peccati che lo preoccupavano in quel momento, ma la sua infermità. Eppure è questo il primo miracolo che Gesù compie in lui: lo libera dal peso delle colpe che inceppano il suo spirito più di quanto la paralisi impedisca le sue membra. Ma l’invidia acceca. Tra i presenti ci sono degli Scribi (dottori della legge) che pensano che quell’uomo aveva solo bisogno di salute, non di perdono, per il semplice motivo che “chi può perdonare i peccati se non Dio?”, Ciò significa che il giovane profeta sta bestemmiando! Allora per fare comprendere che tale gesto non è arbitrario, Gesù aggiunge con autorità: Che cos’è più facile, dire: I tuoi peccati ti sono perdonati, oppure dire: Alzati e cammina?

*Ebbene perché sappiate che il figlio dell’uomo ha sulla terra il potere di perdonare i peccati, disse al paralitico: Alzati, prendi la tua brandina e vai a casa.

La guarigione del corpo attesta la remissione dei peccati, è il segno esterno, controllabile da tutti, del perdono concesso, e nello stesso tempo dimostra la magnanimità del perdono di Dio il quale non solo distrugge i peccati dell’uomo, ma lo benefica in modo meraviglioso.

Il paralitico aveva bisogno, come ciascuno di noi, di perdono e di guarigione. Del resto a che serve la salute fisica se si è cattivi nel cuore? A che serve guadagnare il mondo intero, se poi si perde l’anima? Eppure il mondo è giunto sino a coniare quel povero e ridicolo detto: “Quando c’è la salute c’é tutto!”

Il perdono dei peccati è iniziativa della misericordia infinita di Dio che cerca tutte le vie per salvare l’uomo, creatura del suo amore. Dio è fedele; ha voluto la salvezza dell’umanità e l’ha attuata in Gesù, il Cristo; in lui le sue promesse sono divenute realtà. Ecco il motivo per cui l’uomo deve decidersi a rispondere con la fedeltà alla fedeltà di Dio, col suo “sì” al “sì” di Lui.

Cap. 9,9-13 Gesù e i peccatori

*Andando oltre, Gesù vide un esattore delle imposte seduto al banco della dogana. Si chiamava Matteo. Gli disse: Seguimi. Ed egli alzatosi lo seguì.

*Gesùfu poi invitato da Matteo a vasa sua. Vennero molti esattori di tasse e peccatori pubblici e si misero a tavola con lui e con i discepoli.

*Vedendo questo, i farisei dicevano ai suoi discepoli: Perché il vostro maestro mangia assieme agli esattori di tasse e ai peccatori?

*Ma Gesù, che aveva udito, rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.

*Andate a imparare che cosa significhi questa parola del Signore: E’ la misericordia che io voglio, non il sacrificio. Io infatti non sono venuto a chiamare quelli che sono fedeli ma i peccatori

Anche questa seconda controversia riguarda l’atteggiamento di Gesù nei confronti del peccato.

Nei versetti precedenti Gesù si presenta come chi ha il potere di riconciliare il peccatore con Dio, qui, al contrario, rende presente la salvezza di Dio per chi sono esclusi: i peccatori.

Nel brano assistiamo ad un doppio movimento: Gesù che esce lungo il mare (=azione missionaria dell’andare) e la gente che corre da lui (=azione dell’andare della speranza).

Durante il tragitto con i discepoli e la gente, incontrano una persona sgradita alla gran parte della popolazione: Levi, figlio di Alfeo, colui che riscuoteva le tasse a favore di Roma. Tra l’altro, era risaputo a tutti che questi esattori imponevano quote più elevate del prestabilito, per arricchirsi. Tuttavia, Gesù senza mezze misure lo convoca: Seguimi!

Si tratta di un imperativo esistenziale più che vincolante; Levi-Matteo avrebbe anche potuto rifiutare senza apparenti conseguenze, ma avrebbe continuato una vita da ricco e da odiato.

“Egli si alzò e lo seguì”. In quel preciso istante scatta qualcosa di misterioso: la conversione. Perché si converte? Io credo non sia possibile rispondere in modo razionale a questa domanda imperniata su Gesù, il quale non contempla i “perché”, ma l’esclusivo ed incondizionato “credo”. Levi-Matteo in quei brevi attimi in cui i suoi occhi incrociano quelli di Gesù, ha compreso che aveva accantonato i valori della Legge, sostituendoli con falsi valori materiali. Levi-Matteo comprende che quel Rabbuni che lo ha chiamato è capace di ridare i sogni perduti, il sorriso smarrito e, soprattutto, la speranza. Infatti, si alza rompendo con quella falsa vita e quel suo falso amore, e si mette in movimento al seguito della pienezza della Vita.

Coloro che sollevano la questione dello scandalo di Gesù che mangia con i peccatori sono gli Scribi, cioè i maestri della legge appartenenti al partito dei Farisei. Questi ultimi erano gli eredi spirituali degli Hassidim, “i giusti”, che avevano sostenuto la lotta dei Maccabei nel II° secolo a.C. per la libertà e l’indipendenza religiosa. Erano fedeli osservanti della legge dell’insegnamento tradizionale e, a differenza dei sadducei, credevano nella vita dopo la morte. Fariseo significa “separato”, vale a dire coloro che, per il loro attaccamento alla legge, si separavano da tutto ciò che era impuro, in particolare dal “popolo della terra”, in altre parole dal popolo ignorante e poco pratico delle prescrizioni ( circa 613) e perciò esposto alle varie forme d’impurità legale. Gli esattori del fisco erano uno dei gruppi che facevano parte della classe dei peccatori. Sotto questa qualifica cadevano non solo i ladri, le prostitute, ma anche chi esercitava certi mestieri che potevano essere occasione di disonestà: pastori, conciatori di pelle, asinai, artigiani in genere, ecc. Quanti esercitavano questi mestieri erano equiparati agli schiavi, in pratica erano privati dei diritti civili e politici.

Gesù si trova a mensa con i peccatori e i pubblicani nella casa di Levi.

Levi spalanca letteralmente le porte della propria casa (parafrasando il gesto, non è possibile iniziare un cammino di sequela con Gesù con l’antifurto). L’invito a cena è l’evidente celebrazione dell’incontro col ritorno alla Vita. Non si tratta sicuramente di una cena romantica ed esclusiva tra Gesù e Levi, “molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme”.

La gioia di chi ha ritrovato la Vita, non può essere contenuta, deborda e genera anche disappunti perché supera i paradigmi stagnanti, adottati da chi non hanno speranze e desidera perpetuare il passato. Gli scribi dei farisei vedendo il banchetto criticano aspramente Gesù ed i suoi discepoli perché mangiano insieme ai peccatori. Essi però sono semplicemente degli spettatori della cena, non vi partecipano e tentano di danneggiarla pesantemente. Sono persone che si fermano alla “buccia della vita” (esteriorità), che non giungono alla “polpa” (interiorità) e pretendono che tutti si blocchino senza assumersi responsabilità di proposte.

Ecco perché Gesù sentenzia contro di loro: “Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli ammalati…” Similmente Gesù è come un medico che indica ai pazienti le terapie mediche nei momenti in cui si sentono malati, ma soprattutto nei programmi di prevenzione, in pratica quei casi il cui il medico offre alla persona un bagaglio di conoscenze ( il Vangelo) per comprendere il proprio stato di salute, così da riconoscere la malattia quando è presente ed i benefici della guarigione quando si manifesta (conversione).

E’ necessario riconoscersi peccatori e bisognosi, per potere incontrare Gesù; altrimenti si è così indipendenti da essere estranei anche a se stessi, e non sentiamo il desiderio di crescere e comprendere la Vita che il Signore Gesù ha posto in noi fin dall’inizio dei tempi.

Gesù finisce la cena motivando una volta di più la ragione dell’Incarnazione e così il suo schieramento dentro la storia: dalla parte dei poveri e della conversione del peccatore, non della sua morte.

Cap. 9,14-17 A proposito del digiuno

*Allora si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni per dirgli: Per quale ragione, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?

*Gesù rispose loro: Possono forse gli invitati a nozze portare il lutto mentre lo sposo è con loro? Verrà però il momento in cui ad essi sarà tolto lo sposo, allora digiuneranno.

*Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; il rattoppo strapperebbe il vestito e lo strappo si farebbe ancora più grande.

*Né si versa vino nuovo in otri vecchi; se no si rompono gli otri e il vino si spande ed è la fine per gli otri. Ma vino nuovo in otri nuovi! E così l’uno e gli altri Si conservano.

Per calarsi nel senso profondo dei versetti in oggetto, dobbiamo compiere un passo indietro nell’A.T. Dio ha sempre rivelato il suo amore per le sue creature con espressioni più che mai tenere e umane. Così quando assicura che anche se una madre abbandona il figlio, egli non abbandonerà mai il suo popolo (Is.49,15); e quando, dopo il tradimento e il castigo, richiama a sé il suo popolo, rinnoverà il suo patto d’amore dichiarando: “Ti sposerò per l’eternità, ti sposerò nella giustizia e nel diritto, nella tenerezza e nell’amore, ti sposerò nella fedeltà” (Os.2,21-22). Da sempre Dio ha cercato tutti i modi per far comprendere il suo amore per l’umanità non disdegnando presentarlo nelle forme più accessibili all’uomo come quelle dell’amore materno e dell’amore sponsale.

Gesù esce dagli schemi dell’uomo devoto e si è inserito in questa linea e quando i farisei gli hanno mosso critiche perché i suoi discepoli non digiunavano, ha risposto: “Forse che possono digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?”

Il fatto è che Gesù, non solo sta alla buona tavola con compagnie poco raccomandabili, ma non pratica neppure quella forma d’ascesi che, secondo la mentalità comune, caratterizza l’uomo religioso: il digiuno.

Questo comportamento singolare emerge in modo appariscente dal confronto con l’atteggiamento di Giovanni Battista, l’asceta del deserto.

I farisei digiunavano non solo nelle circostanze prescritte dalla legge, come nel giorno del gran perdono, ma due volte la settimana, il lunedì e il giovedì. Nella controversia del digiuno i due gruppi sono contrapposti: da una parte i discepoli del Battista e quelli dei farisei, dall’altra i discepoli di Gesù.

Gesù in questa sorta di proverbio-parabola attribuisce a sé il titolo di sposo che Dio, per bocca dei profeti, si era riservato. Egli, infatti, è Dio sceso in mezzo al suo popolo, che incarnandosi nel seno di una Vergine ha sposato la natura umana con vincolo indissolubile: “Ti sposerò per l’eternità” .

Vale a dire che la profezia d’Osea si è compiuta in lui; la salvezza preannunciata sotto figura di sponsali tra Dio e l’umanità si realizza in Cristo Gesù. Perciò la sua permanenza tra gli uomini è il tempo delle nozze; tempo di festa a cui non si addice il digiuno.

Con la sua risposta Gesù non intende disapprovare il digiuno che ha già ratificato (Mt.6,16-18), ma vuol far comprendere che la sua presenza nel mondo è la presenza dello Sposo venuto a portare gioia e salvezza.

Del resto questa presenza non durerà a lungo: “Verranno giorni quando sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno in quel giorno”. E’ un’allusione velata alla sua passione e morte, allorché egli sarà sottratto con violenza ai suoi amici. Sarà quello il tempo del digiuno e del pianto.

Le parole di Gesù non propongono ai credenti un modello di comportamento religioso o sociale, organizzare festini nuziali o saltare i pasti quotidiani, ma definiscono il ruolo della sua persona, La sua presenza e la sua assenza sono la ragione del loro stare insieme e del comportamento che si esprime anche attraverso le forme esterne della gioia e della tristezza.

In ogni tempo la novità di Gesù e del vangelo non possono scendere a compromessi con il vecchio sistema giudaico delle osservanze legali o pratiche devote. E’ un vestito nuovo. Sarebbe assurdo riparare il vecchio strappando il nuovo. L’alternativa radicale è confermata dall’immagine del vino nuovo. E’ un vino pieno di forza e fermentazione che farebbe scoppiare gli otri del vecchio sistema religioso. Chi resta attaccato al vecchio sistema, non è in grado di apprezzare la novità cristiana. L’esigenza di un salto di qualità per un’esperienza cristiana autentica è sottesa a quest’ultima sentenza.

In tutto il vangelo di Matteo è operante l’idea di una forte differenziazione tra Israele prima di Gesù e il tempo inaugurato da Gesù. La nuova alleanza non è ammodernamento di leggi, pratiche, dottrine vecchie; è tutta “novità” (compimento) ed esige perciò una mentalità nuova: tutto è in rapporto alla “presenza dello sposo”, di Cristo. Egli ha inaugurato il tempo della gioia: la redenzione è un “convito nuziale”, una festa di “novità di vita”. Per questo, Gesù non impone ai suoi discepoli delle pratiche di ascesi fatte con spirito vecchio; a suo tempo anch’essi digiuneranno, ma con animo diverso. Lo spirito nuovo del vangelo non può essere accolto in schemi invecchiati di un legalismo privo d’interiorità: chi resta tenacemente attaccato a “pratiche” simili, non può capire e vivere la “novità” di Cristo, perché sua dottrina, legge e pratica è l’amore.

Cap. 9, 18-26 Guarigione di una donna e risurrezione di una bambina

*Mentre Gesù diceva loro queste parole, venne un notabile, gli si prostrò davanti in adorazione e disse:Mia figlia è appena morta, vieni a mettere la tua mano sopra di lei e vivrà.

*Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.

*Ora una donna, che da dodici anni soffriva di emorragia, gli si accostò di dietro e toccò la frangia del suo mantello. *Diceva tra sé: Se riesco anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata.

*Gesù si volse e vedendola disse: Coraggio, figlia mia! La tua fede ti ha salvata. E da quell’istante la donna fu salvata.

*Giunto alla casa del notabile, vedendo i suonatori di flauto e l’agitazione della folla, *disse: Andatevene, la bambina non è morta, ma dorme. E incominciarono a deriderlo. *Ma fatta uscire la gente, egli entrò, prese la mano della bambina ed essa si alzò.

*La notizia si diffuse in tutta la regione.

Gesù è sempre in cammino. Sbarcato sull’altra riva del lago, il notabile della sinagoga (Giairo), cerca Gesù perché sua figlia è ammalata e lo prega di aiutarlo.

Strada facendo accade un fatto. Tra la folla c’è una povera donna, esclusa e umiliata per la sua condizione fisica, al punto di non osare apparire in pubblico. La sua emorragia cronica, secondo le prescrizioni religiose del tempo, la rende impura, in altre parole intoccabile e contagiosa per chiunque, tanto più per un profeta come Gesù (Lv.15,19-30). Infatti, secondo la legge ebraica, la donna è impura per tutta la durata del ciclo mensile e deve avvertire del proprio stato non soltanto il marito (per il divieto di rapporti sessuali), ma anche tutti gli altri maschi della famiglia: essi devono evitare scrupolosamente di toccarla o di toccare qualsiasi oggetto che sia stato in precedenza toccato da lei, per non divenire a loro volta impuri.

Il caso dell’emorroissa contempla l’irregolarità, giacché il periodo d’impurità non è prevedibile. Perciò la donna si trova in stato d’impurità permanente, ed è letteralmente esclusa dalla società, almeno dal consorzio maschile, quasi come se si trattasse di una lebbrosa, con l’aggravante psicologica che la sua presunta malattia abbia una connotazione legata al sesso.

E’ a questo punto che inizia la storia di liberazione. Le sue implicazioni più profonde rischiano di sfuggire a chi legge con superficialità il testo evangelico. Infatti, Gesù con quest’incontro, abbatte e denuncia il tabù della femminilità, del sangue e del sesso, che esiste nella Giudea. Tutta la narrazione, nell’ambiente in cui è inserita, ha una portata dirompente e rivoluzionaria.

In primo piano, si trova l’atteggiamento libero e creativo di Gesù nei confronti della Legge ebraica e soprattutto in rapporto alla questione cruciale del puro e dell’impuro. Non solo, leggendo il testo in un’ottica attualizzante, riscontriamo il problema tra vecchio e nuovo alla luce della fede che salva.

Il racconto è molto semplice. La donna che soffre di emorragia da dodici anni approfitta dell’affollamento intorno a Gesù per toccare di nascosto il suo mantello e non la sua persona, persuasa nell’intimo che il semplice contatto basterà a guarirla. E, infatti, è guarita.

Il contatto furtivo con la frangia del mantello di Gesù si è trasformato, grazie alla sua iniziativa di misericordia, in un incontro che le dà la “pace”, in pratica la piena comunione e dignità di figlia di Dio. Come possiamo notare, vi è dunque una crescita dalla fiducia alla fede, dalla segregazione umiliante alla gioiosa liberazione.

La fiducia primitiva della donna è accolta da Gesù e trasformata in fede che dona la salvezza e con lei la guarigione. Poiché è venuta a contatto, non con una forza o magnetismo guaritore, ma con la potenza salvifica del Figlio di Dio, essa può proclamare “davanti a tutti”, la sua domanda di salvezza e quanto le è avvenuto.

Questo episodio ci pone davanti ad un miracolo molto trasgressivo, su due fronti: da una parte di chi lo compie come di chi lo riceve.

La donna ha un ruolo molto attivo nella vicenda, più di qualsiasi altro miracolato dei Vangeli: di fatto è lei a determinare lo svolgersi dell’accaduto. Non si limita, come altri sofferenti, incontrando Gesù, ad invocare a parole il suo intervento (umanamente potremmo anche affermare che la donna agisce in questo modo poiché trattenuta dalla vergogna). Tuttavia, con un atto di volontà vuole assicurarsi l’intervento, vuole pilotarlo da sé senza tentennamenti e dubbi di sorta: “Se solo riuscirò a toccare il suo mantello, sarò guarita”.

Qui mi fermo un istante per una brevissima riflessione. Purtroppo la nostra concezione di fede è più mentale, più asettica; al contrario dell’agire della donna, almeno all’inizio, dal momento che riscontriamo una certa dose di superstizione (spiegabile psicologicamente e storicamente).

Tuttavia il “toccare” esprime la pienezza dell’incontro personale e dell’adesione di fede. Il gesto proibito della donna manifesta certo una disperata volontà di guarire ma anche una fede assoluta in Gesù, ben più forte d’ogni timore. Essa è tutta protesa verso Gesù, anche se non sa spiegarsi la causa di quello stimolo interiore, si rende conto del fatto che in lui si trovano la salvezza e la liberazione e la desidera per sé. Quasi a scacciare il senso di superstizione che qualcuno potrebbe ricavare, Gesù con le sue parole la innalzano nell’ambito della coscienza di fede. Attraverso quel contatto che ha ricercato sfidando la proibizione, è risanata; e anche lodata per la sua fede e il suo coraggio e chiamata “figlia”. Reintegrata in pratica nel consesso del popolo eletto.

L’esempio della professione di fede nel Signore Gesù fa nuove tutte le cose e chiama ciascuno (come la donna) ad una fede più convinta e matura, capace di tradursi in testimonianza coerente e responsabile. E’ Gesù, infatti, la rivelazione piena del Vangelo dell’amore, ed è lui che, con il dono dello Spirito Santo, fa nascere nell’umanità una storia concreta d’amore e carità. Quindi volgere lo sguardo a Gesù significa, perciò, aprirsi ad una coraggiosa verifica per vedere quanto ci siamo lasciati plasmare dal “Vangelo dell’amore”.

Vale a dire che, come la donna emorroissa passò da una fede primitiva ad una di cuore, anche noi dobbiamo passare da una “fede di consuetudine” ad una “fede di convinzione”.

A questo punto tutti noi siamo pronti e preparati a percorrere con il notabile l’ultima tappa della fede cristiana che stiamo meditando. Il notabile aveva già espresso in modo esemplare la sua fede nella potenza salvifica di Gesù, “Vieni, metti le tue mani…e vivrà!” Ma mentre Gesù stava ancora parlando qualcuno giunge dalla casa del capo della sinagoga portando la triste notizia che la figlia è morta. Quindi, “Perché disturbare ancora il Maestro?”. Qui assistiamo al tentativo di qualcuno di lasciar perdere tutto. Gesù, però, va lo stesso, anzi, invita il padre ad avere fede e nel tragitto incontra persone, servi o parenti, che piangono e fanno lamenti funebri, addirittura qualcuno lo deride quando lui sostiene che la figlia del notabile dorme e non è morta.

Ma quale fede si esige davanti alla morte? Con allusioni discrete, ma abbastanza precise per il cristiano, l’evangelista ci fa intuire la dimensione pasquale del miracolo. Innanzitutto Gesù sceglie come testimoni del miracolo, i tre discepoli che lo accompagneranno sul monte della Trasfigurazione e nella notte dell’agonia nel Getsemani e che diventeranno le “tre colonne” della futura comunità di Gerusalemme. In altre parole sono presenti al miracolo, che anticipa la vittoria sulla morte.

Anche qui, come in precedenza, c’è un contatto: Gesù le prende la mano e dice: “Talitha kum”. E’ un ordine perentorio. La figlia del notabile si alza e si mette a camminare. Lo stupore è una delle parti fisse nei racconti di miracolo e rileva la gratuità di qualcosa che è avvenuto e che non è dipeso da noi. Il miracolo, prassi d’antirassegnazione, ci lascia sempre a bocca aperta di fronte alle inedite possibilità di cambiamento. Un’altra considerazione che possiamo trarre da questa vicenda è il confronto tra Gesù e la morte. Nella casa del capo della sinagoga già si celebrava la morte secondo i riti di partecipazione sociale al lutto. E anche qui vi è un contrasto evidente: Gesù ridimensiona la tragedia della morte e vuol gettare un velo su quello che ha compiuto. Cosa sia avvenuto in quegli istanti tra Gesù e quella ragazzina, rimarrà sempre nel cuore di Gesù ed è giusto che “nessuno venisse a saperlo”, perché l’azione di Dio nel cuore di ciascuno e ciascuna di noi possa manifestarsi liberamente oltre gli schemi che a volte c’imprigionano, oltre la folla chiassosa di cui troppe volte facciamo parte, oltre la non voglia di vivere che paralizza.

L’insegnamento che ne traiamo è che come Elia nel deserto, come questa fanciulla, anche noi abbiamo bisogno di riprendere il cammino: un po’ di pane, una mano da stringere e quella parola: Talitha kum!, (Fanciulla, sorgi!).

Cap. 9,27-31 Guarigione di due ciechi

Ritroveremo l’episodio in Matteo 20,29-34

Cap. 9,32-34 Guarigione di un sordomuto

*Partiti costoro (i due ciechi), portarono A Gesù un uomo che non poteva parlare perché posseduto da un demonio.*Appena scacciato il demonio, il muto si mise a parlare. La gente fu presa da ammirazione e diceva: Non si è mai veduto nullas di simile in Israele!

*Ma i farisei dicevano: E’ con la forza del cvapo dei demoni che scaccia i demoni.

Matteo molto brevemente racconta della guarigione di un uomo che non poteva parlare a causa di un demonio, e poi mette in contrasto due reazioni: lo stupore della folla di fronte ai “segni” senza precedenti, e l’attribuzione del potere di Gesù a Satana da parte dei Farisei e degli Scribi. Questi ultimi dicevano: “E’ con la forza del capo dei demoni che scaccia i demoni”. Poi, per metterlo alla prova, gli chiedono un segno dal cielo.

La domanda di un segno d’autenticazione dal cielo, da Dio, è una tentazione per Gesù. E’ l’invito subdolo, in nome di una presunta serietà religiosa, a percorrere la strada del messianismo spettacolare. Da parte dei farisei e degli scribi è la pretesa di basare la fede sulla dimostrazione evidente e controllabile di Dio, senza correre il rischio dell’impegno personale. Da spettatori e controllori neutri e distaccati, sono in grado di stabilire ciò che è segno o meno della presenza di Dio. Questo significa ridurre la libertà di Dio entro i limiti dei propri pregiudizi, dei propri schemi soggettivi. A tali condizioni non c’è più spazio per la fede. La fede è il confronto più serio di Dio con l’uomo, com’è avvenuto nella vicenda di Gesù. Il rifiuto di Gesù di sfruttare la libertà di Dio a chi ha paura di vivere nel rischio della libertà, è il rifiuto di vendere a buon mercato la libertà dell’uomo.

Anche oggigiorno Gesù si scontra con l’incredulità: incredulità che viene da accecamenti, da partito preso, da disattenzione negli uomini della chiesa. Il messaggio di Gesù, la sua vita, non è accolto in profondità interiore. Anche oggi gli uomini vogliono mettere alla prova Gesù, rifiutando ciò che è donato da Dio e pretendono di fissare, come i farisei e gli scribi, essi stessi come Dio debba agire.

Manca l’apertura, l’umiltà, la fiducia, la libera adesione; le disposizioni interiori per accogliere Cristo. E Gesù, come allora, “sospira profondamente” e si allontana, rispettando la decisione umana; ma fa comprendere a tutti che essa impedisce l’incontro e la salvezza. Questo giudizio di Gesù sulla chiusura dell’uomo è terribile anche oggi.

Come risposta ai farisei e agli scribi, Gesù offre tre argomenti:

a)se il suo potere sui demoni venisse da satana, quest’ultimo avrebbe messo i suoi agenti contro se stesso, distruggendo così il regno di satana;

b)i suoi esorcismi dovrebbero essere interpretati come delle buone azioni ispirate dallo Spirito Santo, proprio come lo erano gli esorcismi praticati da altri esorcisti giudei;

c)lui non sarebbe in grado di scacciare i demoni, a meno che non avesse potere sul capo dei demoni stessi. Il fatto poi che collega gli esorcismi di Gesù alla venuta del regno di Dio, è molto importante per la comprensione di tutti i miracoli di Gesù: essi sono segni che in Gesù il regno di Dio sta facendo irruzione nel mondo e raggiungerà la sua pienezza al tempo dovuto.

Essendosi scontrato con le obiezioni dei farisei e degli scribi, Gesù assume l’offensiva con alcune ammonizioni: l’intimità con Gesù è assolutamente essenziale, e i giudei devono riconoscerla, altrimenti corrono il rischio di essere dalla parte sbagliata quando verrà il regno di Dio; l’unico peccato imperdonabile è attribuire l’opera dello Spirito Santo ad uno spirito maligno, così come facevano i giudei con Gesù, non riuscire a riconoscere il Figlio dell’uomo per quello che è può essere comprensibile e anche perdonabile, ma non riuscire a riconoscere la fonte del suo potere è inescusabile; l’opposizione dei giudei nasce dalla loro malvagità, e nel giudizio finale essi saranno giudicati in base alla loro volontà o meno di confessare che il potere di Gesù deriva dallo Spirito Santo.

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