Vangelo di Matteo – Cap 8


Matteo 8,1-34

Cristo e il centurione - Paolo VeroneseMatteo dopo avere presentato nel discorso della montagna l’insegnamento autorevole di Gesù, nel capitolo 8 ( ma anche nel 9) ha operato una scelta di fatti prodigiosi qualificativi della sua presenza sulla scena della storia. Accanto alle parole del messia, rivelatrici delle esigenze definitive di Dio Padre necessarie per entrare nel suo regno, ecco ora le opere messianiche, segni concreti anticipatori del regno nel nostro tempo. Si tratta di aspetti complementari alla persona di Gesù. Lui è il Maestro che insegna, il taumaturgo che libera e salva. L’uno e l’altro sono manifestazioni del suo potere messianico: due facce di un’unica missione. Vale a dire che sulla montagna Gesù è il maestro sublime; al piano, dove vivono gli uomini straziati dal dolore e dal peccato, lui è il Salvatore.

Cap. 8,1-4 Il lebbroso

*Gesù scese dalla montagna e molta gente lo seguì. *Un lebbroso gli si avvicinò e prostrato in adorazione gli disse: Signore, se lo vuoi, puoi guariscimi. *Gesù stese la mano, lo toccò e disse: Sì, lo voglio; guarisci! All’istante guarì dalla lebbra. *Poi Gesù gli disse: Bada di non dire nulla a nessuno, ma và a farti vedere dal sacerdote e offri il sacrificio prescritto dalla legge di Mosè a dimostrazione che sei guarito.

I lebbrosi, espulsi dalla comunità israelitica, vivevano appartati, esclusi da ogni contatto sociale. Non potevano partecipare alle riunioni liturgiche. Si guardava a loro come a gente impura e contaminatrice. Poiché si trattava di una malattia “religiosa”, era di competenza dei sacerdoti fare la prognosi e dichiarare eventualmente la segregazione (Lv. 13, 34). Agli stessi spettava verificare la guarigione e riammettere in sequestrato nella comunità (Lv.14,1).

Il brano di Matteo contiene una formula di transizione, la richiesta di guarigione da parte del lebbroso, la risposta di Gesù e la guarigione miracolosa, e infine l’ordine all’uomo beneficiato di presentarsi ai sacerdoti del tempio. La parola chiave è “purificare” o “guarire”, ed è presente nella richiesta del lebbroso, nella risposta di Gesù e nella descrizione dell’episodio da parte del narratore.

Al centro del racconto sta la parola di Gesù: “Sì, lo voglio; guarisci”. Nessuna messianicità, nessun cerimoniale più o meno magico. Gesù guarisce con un atto di volontà. Lui possiede una potenza straordinaria. Basta che lo voglia e l’effetto è assicurato. Tuttavia la costruzione del brano, non ha nulla di meccanico. Il miracolo è la sua risposta alla supplica del disgraziato. Il tutto avviene in un contesto di rapporti interpersonali. Il malato, riconoscendone la potenza, interpella il Maestro nella sua volontà, gli si affida, lo provoca a prendere posizione a suo riguardo. Ecco la guarigione esprime concretamente il sì dello’interpellato a un dialogo personale impegnativo.

Cap. 8,5-13 Il servo dell’ufficiale

*Come Gesù entrò in Cafarnao, gli venne incontro un ufficiale a scongiurarlo: *Signore, il mio servo a casa è a letto paralizzato e soffre terribilmente. *Gesù gli disse: Verrò io a curarlo. *Ma l’ufficiale rispose: Signore, non merito che tu entri in casa mia. Dì soltanto una parola e il mio servo guarirà. *Infatti io che sono un subalterno ma ho ai miei ordini dei soldati, se dico a uno: vai, egli va, e a un latro: vieni, quello viene, e al mio servo: fai questo lo fa. *Sentendo Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: Ve l’assicuro che in nessuno degli israeliti ho mai trovato una tale fede. *Vi dichiaro che verranno dall’oriente e dall’occidente per prendere posto al banchetto nel regno dei cieli con Abramo, Isacco e Giacobbe. *Invece gli eredi naturali del regno saranno gettati fuori nella tenebra a piangere e rammaricarsi. *Poi Gesù disse all’ufficiale: Và a casa, e ti avvenga come hai creduto. E in quell’istante il servo fu guarito

Possiamo scoprire il motivo per il quale Matteo ha collocato questo racconto subito dopo il discorso della montagna. Il Maestro, che ha appena rivolto il suo annuncio di salvezza ai poveri e parole tanto impegnative ai discepoli, rivela ora l’efficacia della sua “parola” per chi l’accoglie con fiducia e umiltà. Nel brano viene esaltata la fede di un pagano nell’efficacia della parola di Cristo. Ancora oggi tutti noi cristiani usiamo le stesse parole del centurione durante il rito della comunione eucaristica: “…ma di’ soltanto una parola…”. Tutto l’interesse del racconto è concentrato nel dialogo tra Gesù e il centurione pagano e culmina nella proclamazione di Gesù: “Ve l’assicuro che in nessuno degli israeliti ho mai trovato una tale fede”.

Il fatto avviene nel momento in cui Gesù rientra a Cafarnao, dove era di guarnigione il centurione: probabilmente faceva parte delle truppe mercenarie del tetrarca Erode Antipa. Era pagano, ma ben disposto verso il giudaismo, tanto che aveva costruito a sue spese la sinagoga di Cafarnao; la sua bontà di cuore è confermata anche dal fatto che aveva uno schiavo al quale era affezionatissimo, trattandolo più da figlio che da schiavo. Ora, questo schiavo si era ammalato e stava in punto di morte; l’angosciato centurione, che aveva certamente provato tutte le cure ma invano, conosceva di fama Gesù, anzi proprio in quel giorno Cafarnao si doveva essere quasi svuotata perché molti si erano recati sulla vicina montagna dove il famoso Maestro teneva un discorso. Disperato dal fatto che nessun medico riusciva a guarire lo schiavo, il centurione pensò spontaneamente a Gesù. “Signore, non merito che tu entri in casa mia (per non essere contaminato) Dì soltanto una parola e il mio servo guarirà”’. Poi, dopo questa affermazione, il centurione fa inaspettatamente una professione di fede alla maniera militare: “…ho sotto di me dei soldati, dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. Il centurione voleva giustificare il proprio rispetto verso Gesù col suo spirito militare. Egli conosceva bene la disciplina militare, e l’esercitava sui propri soldati essendone sempre obbedito; Gesù quindi non si abbassasse fino a venire a casa sua, ma pronunciasse una sola parola e il suo comando sarebbe subito riconosciuto ed eseguito dalle forze della natura che opprimevano il moribondo. Gesù fu pieno d’ammirazione per lui, e all’istante la parola attesa dalla bocca del Maestro fu pronunciata, e il malato guarì nello stesso istante.

La dichiarazione di Gesù nei confronti del centurione esalta la fede dell’uomo come vera fede salvifica. Nel racconto evangelico tutto ciò passa quasi in secondo piano, mentre in prima linea rimane la tanta fede.

In pratica si tratta di un cammino della fede cristiana: dalla fiducia in Gesù, che può e vuol guarire, all’accoglienza della sua persona come inviato autorevole di Dio, all’apertura sincera e totale che va oltre il dono della guarigione. Possiamo affermare che il vero miracolo è quello del pagano che giunge alla fede. Matteo ha visto nel centurione di Cafarnao un modello e un anticipo dei pagani simpatizzanti, che entrano a far parte della comunità cristiana.

Cap. 8,14-15. La suocera di Pietro

*Gesù entrò nella casa di Pietro e vide la suocera di lui a letto con la febbre. *Le toccò la mano e la febbre la lasciò. Alzatasi, lo servì a tavola.

Cap. 8,16-17 Il servo di Dio

*Fattasi sera, condussero a Gesù molti indemoniati ed egli con una parola cacciò gli spiriti maligni e guarì tutti i malati, *perché si realizzasse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie.

Cap. 8,18-22 Seguire il Figlio dell’uomo

*Vedendosi attorno molta gente, Gesù ordinò di passare all’altra riva del lago. *Gli si avvicinò un maestro della legge per dirgli: Maestro, sono pronto a seguirti dovunque tu vada. *Gesù gli rispose: Le volpi hanno tane e gli uccelli hanno nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove poter riposare. *Un altro dei discepoli gli disse: Signore, permettimi prima di andare a seppellire mio padre. *Ma Gesù rispose: Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti.

In Matteo Gesù si presenta con una essenzialità rigorosa. Scompaiono dalla scena i discepoli e resta Gesù solo di fronte all’ammalata, la suocera di Pietro. Non occorre neppure che gli facciano presente la malattia della donna. Lui entra in casa, vede la donna febbricitante, le tocca la mano e la febbre sparisce. Per dimostrare la guarigione e per ringraziamento, lei si mise a servirlo. Questo è l’unico caso in cui Gesù (nel Vangelo di Matteo) prende l’iniziativa di una guarigione. Il dono viene offerto senza previa domanda. L’azione di grazia di Gesù precede e anticipa tutti.

I demoni sono cacciati con la forza della parola. L’attività risanatrice evidenzia agli israeliti che si trovano davanti a un esorcista straordinario. L’intento vero però è quello di introdurre un testo di Isaia, dove si parla della figura misteriosa del servo di Dio, che si carica delle sofferenze del popolo, espiandone le colpe per mezzo della sua passione volontaria (Is.53,4.11). Gesù in forza dei suoi segni taumaturgici, realizza la figura del servo di Dio.

I miracoli narrati in Matteo, sono separati dai detti sulle esigenze radicali del discepolato. In primo luogo uno Scriba si rivolge a Gesù come Maestro, e si offre di seguirlo ovunque, e ne ricava in risposta solo l’avvertimento che Gesù, il Figlio dell’uomo, non offre nessuna garanzia di sicurezza, non ha neanche dove riposare. In secondo luogo un discepolo chiede il permesso di andare a seppellire suo padre, ma il Signore gli chiede di scegliere tra il discepolato e gli obblighi familiari. Questo è un modo estremo di rilevare che la chiamata a seguire Gesù supera tutti gli latri doveri, e può anche implicare un taglio con i legami familiari. Tali esempi intendono farci riflettere sulla serietà e l’importanza del discepolato. Il loro carattere estremo crea una tensione che può essere risolta solo accettando la chiamata.

Il messaggio cristiano è esigente. Non si tratta di aderire ad una dot trina, ma ad una persona; non si tratta di impostare un modo di pensare, ma di orientare un modo di vivere. Quando uno decide di “seguire” Cristo, questo non può che voler dire “andare” dove va lui, “fare” quello che fa lui, come lo fa lui. Cristo Gesù toglie all’istante ogni illusione: per seguirlo bisogna prima guardare la condizione in cui il soggetto sin trova e non avere paura dell’insicurezza della sua vita. Naturalmente ci sono molti modi di “seguirlo”: c’è chi lascia tutto per ritirarsi in un chiostro, chi si dedica ad un apostolato intenso negli ospedali, tra i baraccati o tra drogati e carcerati, chi si prodiga per l’educazione della gioventù, chi s’impegna nell’azione politica o sociale, chi si dedica all’azione catechistica, nella lectio divina nella comunità parrocchiale o ad altre forme d’impegno come annunciare la Parola del Signore in internet. L’importante è che sia un “seguirlo” veramente. Un cristiano che si accontenta di “non far del male a nessuno”, come può affermare di “seguire” un Maestro la cui esistenza fu essenzialmente un “essere per gli altri”.

Cap. 8,23-27 La tempesta placata

*Gesù salì sulla barca e i suoi discepoli lo seguirono. Improvvisamente si scatenò sul lago una tempesta così violenta che la barca stava per essere sommersa dalle onde. Ma egli dormiva. *Si avvicinarono allora i suoi discepoli e lo svegliarono dicendo: Signore, salvaci, che periamo! *Disse loro: perché avete tanta paura, uomini di poca fede? Si alzò e minacciò il vento e le onde, e si fece una grande calma. *I presenti si stupirono e dicevano: Chi è mai costui, che anche il vento e le onde gli obbediscono?

Il racconto del miracolo sul lago procede con un ritmo a contrappunto. La conclusione serena e familiare, anche se faticosa, di una giornata con i preparativi per la traversata del lago contrasta con l’improvviso scatenarsi della burrasca. E’ notevole l’insistenza sulle espressioni che descrivono l’infuriare del turbine sul lago. Tutto ciò è molto simile ai giorni in cui la vita assomiglia ad una piccola barca in balia delle onde del mare agitato. Tutto è scuro intorno, c’è tempesta. Dio pare non esserci, Gesù è assente, nessuno vicino per aiutare, incoraggiare. Si ha voglia i mollare tutto!

Meditiamo attentamente la storia della tempesta del lago calmata. Durante la riflessione, immaginiamo di stare sulla barca insieme a Gesù e ai discepoli, cerchiamo di condividere con loro ciò che accade e facciamo attenzione all’atteggiamento di Gesù ed alla reazione dei discepoli.

Nella struttura letteraria del miracolo l’infuriare della bufera contrasta con la serenità di Gesù che dorme a poppa. Alla tranquillità di Gesù fa da contrasto la paura che rende i discepoli incontrollati e aggressivi: Signore, salvaci che periamo!

Il fatto è che era stato un giorno pesante, di molto lavoro. C’era talmente tanta gente che Gesù, per non essere schiacciato dalla folla, dovette entrare in una barca per istruire con parabole. In quel periodo c’erano giorni in cui non c’era tempo nemmeno per mangiare. Terminata di narrare la parabola con cui istruiva la gente, Gesù disse ai discepoli: Passiamo all’altra riva! E così come stava lo condussero con la barca. Gesù si addormentò all’istante.

Il lago di Galilea è vicino alle alte montagne, come il nostro lago di Garda. E vi dico che quando si scatena una burrasca sul lago è cosa da far accapponare la pelle anche ai più navigati barcaioli. Il vento soffia forte e provoca tempeste e ondate dove il sole sparisce. Tutto è buio e nero. Anche quel giorno il vento soffiò forte agitando l’acqua. La barca si riempì d’acqua. I discepoli erano pescatori sperimentati, tuttavia pensavano che sarebbero affogati, e questo significava che la situazione era disperata a causa della tempesta. Gesù, dal canto suo, continuava a dormire tranquillo e sereno. A questo punto facciamo una prima considerazione. Il sonno profondo di Gesù non è solo segno di un’enorme stanchezza. E’ anche espressione della fiducia tranquilla che ha in Dio. Il contrasto tra l’atteggiamento di Gesù e i discepoli è grande!

Gesù si desta non a causa della burrasca ma per il grido disperato dei discepoli: Signore, salvaci che periamo! Gesù si alza. Prima si dirige verso l’acqua del lago e ordina: Taci, calmati! E il lago placa la sua furia. Poi subito si dirige verso i suoi discepoli e dice loro: Perché temete, uomini di poca fede? La mia impressione è che si poteva fare a meno di chetare la tempesta, poiché con Gesù non si corre nessun pericolo. Mi torna alla mente il salmo 22: “Anche se mi trovassi in una valle oscura non temerei alcun male, perché tu sei con me”.

I discepoli s’interrogarono dicendo: “Chi è quest’uomo?”

I discepoli alla domanda di Gesù non sanno cosa rispondere perché nonostante il lungo tempo trascorso insieme, non sanno veramente chi è. Chi è quest’uomo? Con questa domanda in testa, le comunità d’ogni tempo continuano la lettura, per approfondire e desiderare di conoscere maggiormente Gesù nella propria vita.

Ma c’è un altro aspetto da considerare. Ho parlato di comunità (infatti, quella barca rappresenta una comunità), che in realtà significa essere Chiesa (popolo di Dio), ed è nel suo aspetto umano, un’entità minacciata. E non può essere altrimenti, perché Dio non è ancora tutto in tutti. La Chiesa è di natura divina, tuttavia il corpo, vale a dire il popolo che la forma, è di natura umana, terrena, soggetta quindi alle tentazioni dell’avversario. Però il suo essere è garantito, preservato, inattaccabile, ma solo dall’alto, ossia da Dio, e non dal basso, ossia dagli uomini che ne fanno parte: La Chiesa nella misura in cui fa dipendere il suo essere da Dio nell’evento della sua Parola e del suo Spirito Santo, è sottratta alle minacce, giustificata, santificata, purificata, preservata dal maligno. Nel suo Signore Gesù Cristo trova la sua unica garanzia; solo da lui riceve la promessa; solo guardando a lui acquista la sicurezza della sua durata. Da parte degli uomini che ne fanno parte non esiste, infatti, alcuna garanzia del genere per la Chiesa. Rimane sempre, accanto alla fede, la possibilità dell’incredulità, dell’eresia, della superstizione, come pure dell’ignoranza, dell’indifferenza, dell’odio, della disperazione, perfino dell’impotenza delle preghiere; e ciò finché durerà il tempo, finché la manifestazione finale della vittoria di Gesù Cristo non avrà dissipato anche quest’ombra.

Cap. 8,28-34 gli indemoniati

*Quando Gesù giunse sull’altra riva nella regione dei gadareni, due indemoniati, uscendo dalle tombe, gli vennero incontro . Erano tanto furiosi che nessuno osava passare per quella strada.

*Si misero subito a urlare: Che cosa vuoi da noi, figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?

*Lontano c’era al pascolo un grosso branco di porci. *I demoni supplicavano Gesù: Se ci scacci, mandaci in quel branco di porci.

*Disse loro: Andate. Uscirono dai due uomini e se ne andarono nei porci. Allora tutto il branco si precipitò dal dirupo nel lago e quelli affogarono nelle acque.

*I porcari fuggirono ed entrati in città raccontarono tutto ciò che era capitato agli indemoniati. *Allora tutti gli abitanti della città uscirono incontro a Gesù e lo supplicarono di andarsene dalla loro regione.

Ci troviamo di fronte ad uno dei più strani racconti del vangelo di Matteo. L’attenzione è subito polarizzata dal curioso intermezzo della mandria di porci che affoga nel lago. Tuttavia questo non deve far perdere di vista il fulcro di tutta la narrazione: l’incontro di Gesù con due uomini straziati dalla furia demoniaca e di morte e il gesto liberatore che li reintegra nella dignità umana.

La struttura del racconto segue lo schema degli esorcismi o liberazioni d’indemoniati (per esempio in Mc.1,23-27); l’incontro tra Gesù e gli indemoniati; il dialogo, e l’ordine di Gesù; la descrizione dell’effetto ottenuto.

Gli indemoniati vedono da lontano Gesù, appena sbarcato, e gli corrono incontro; ciò che accade dopo è raccontato da due serie di testimoni, dai guardiani, e da chi avevano veduto.

l folli abitavano in qualche caverna naturale o artificiale (uscire dalle tombe), posta in mezzo ai giardini o ai campi, spesso a fianco di una montagna. Un posto tranquillo e abbastanza isolato. Si trattava di due ossessi dotati di forze non comuni. Matteo, infatti, ci fornisce tutta una serie di caratteristiche di questa psicosi, una serie di particolari che è difficile escludere l’idea di una gran popolarità dei soggetti in questione. Tanto che la descrizione stessa è tra le più drammatiche del suo Vangelo.

I folli erano così esagitati che, pur essendo stati più volte legati, prima ai piedi, poi anche alle braccia, con ceppi e catene, essi avevano sempre infranto gli uni e spezzato le altre. Per questa ragione si era deciso di espellerli dalla città, relegandoli presso le caverne del cimitero. La loro malattia aveva preso un decorso progressivo inarrestabile, diventando sempre più preoccupante.

I folli dopo avere riconosciuto Gesù quale Figlio di Dio, lo scongiurano di non tormentarli e di non scacciarli da quella regione.

Lì nei pressi vi era la presenza di una mandria di porci (ci troviamo in un territorio semi pagano, infatti, la carne di maiale rappresentava un tabù per gli ebrei). Con la suddetta presenza, il dramma cambia improvvisamente di scena, forse a causa del fatto che si era determinata una sorta di stallo fra i tre. Soltanto quando i folli gettano uno sguardo su quel branco di maiali, la situazione si sblocca e procede avanti.

Ecco che i folli fanno la loro proposta a Gesù, vale a dire di mandarli da quei porci, per entrare in loro. Gesù acconsente e ordina a quei demoni di uscire da quegli uomini.

Il branco precipitò nel burrone del lago e affogarono uno dopo l’altro.

Ciò che importa sono le reazioni degli uomini ai fatti, e i fatti sono due: la guarigione e la strage. I guardiani dei porci fuggiti per la paura, si recarono ad avvisare i proprietari, la gente di campagna, i discepoli di Gesù e pochi altri.

Qual è la reazione della gente? Paura, paura dell’esorcismo. Prima avevano paura della follia, ora della guarigione; prima temevano di contagiarsi, ora di ricredersi. L’atteggiamento sembra molto schematico, unilaterale, ma il fatto è che le cose siano cambiate così all’improvviso, a loro insaputa, li sconcerta, li sgomenta.

I gadareni, ora sono seduti, vestiti e sani di mente. L’evidenza di questo rassicurante comportamento dovrebbe far capire agli astanti che i “folli” non sono più gli stessi, che qualcosa di decisivo è avvenuto dentro di loro, permettendo di ritrovare la lucidità mentale, la cosiddetta “normalità”.

In altre parole erano guariti. I mostri è rinsaviti, non hanno più bisogno d’essere legati o tenuti ai margini della società. Gesù risanando i folli offre loro una prospettiva di vita nuova, senza strapparli dal loro ambiente naturale e sociale: li invita a riprendere il rapporto con gli amici di un tempo e con i parenti, a riconciliarsi con loro, perché è solo facendo comunità che essi potranno vincere la situazione di diffidenza.

Matteo ha collocato questo episodio nel ciclo dei miracoli con l’intento di dimostrare la potenza straordinaria di Gesù che si rivela in territorio pagano a favore di due,uomini come abbiamo visto, dominati dagli spiriti immondi.

Il tutto è proposto in modo plastico nella descrizione degli indemoniati, gli uomini che abitano nei “sepolcri”, in altre parole in una zona impura, estranea al mondo del sacro e del divino, in preda alla furia e violenza incontrollata degli spiriti. Questi due tratti caratterizzano la forza demoniaca come potenza di morte e di distruzione disgregatrice della dignità e libertà umana.

In quell’ambiente Gesù lascia un segno vivente, due testimoni della potenza liberatrice di Dio.

Come abbiamo meditato, anche ai pagani è annunciata la salvezza, attraverso la testimonianza degli uomini guariti. Così da un episodio “prodigioso”, sconcertante, può nascere la fede sincera. Non sempre siamo in grado di valutare il livello di fede di molta gente, che volentieri chiameremmo “pagana” per via delle sue manifestazioni religiose che sconfinano nella superstizione, nel culto dei morti, in atteggiamenti pre-cristiani, in una fiducia quasi cieca nella potenza taumaturgica di un santo. Sono questi i poveri che sovente non hanno altri mezzi espressivi per tradurre i loro sentimenti profondi e la loro appartenenza a Cristo Signore. Ma tutto ciò non esclude, anzi raccomanda – secondo lo spirito del vangelo – ogni sforzo per purificare e illuminare attraverso la parola, la “verità” dei gesti liturgici ed ecclesiali come risposta alle attese di chi non ha imparato a riconoscere perfettamente chi è Gesù, Figlio di Dio Salvatore.

Più difficile è trovare una via per i “nuovi pagani”, soddisfatti dalla civiltà dei consumi e del benessere materiale. Come rompere quel terribile dominio di Satana che è il denaro, come diventare un popolo di poveri nello spirito, come resistere all’indifferenza e all’isolamento che il credente prova in un mondo che non crede e per il quale la persona e la parola di Gesù è insignificante? Questi sono i problemi del popolo di Dio, del Regno di Dio oggi, davanti ai quali ci è indicata la solitudine e la dedizione di Gesù alla sua missione.

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