Apocalisse: Le Sette Trombe

LE SETTE TROMBE

Capitoli 8-9-10-11. Le sette trombe.

Sulla scena della visione prendono posto gli attori: sette angeli con sette trombe. Ma non suonano subito. C’è un rallentamento: una specie di parentesi, in attesa di un qualcosa non ben definito. Dal momento che il culto ebraico esigeva la presenza di un altare dei profumi nel tempio, i riti d’offerta che vi si collegano sono diventati rapidamente oggetto di una spiritualizzazione, perché l’incenso simboleggia le preghiere (Sal. 141,2). Nella liturgia celeste Il profumo dell’incenso che sale verso il Signore e, poi, il fuoco disceso sulla terra, significano che le preghiere dei giusti, supplicanti e perseguitati, sono state esaudite.

“Un angelo si avvicinò con in mano un braciere d’oro, e si pose a lato dell’altare. Gli fu dato molto incenso, perché lo offrisse – quale simbolo delle preghiere dei santi (giusti) – sull’altare d’oro davanti al trono. Il fumo dell’incenso, simbolo delle preghiere dei giusti, salì verso Dio. Poi l’angelo prese il braciere,lo riempì con il fuoco dell’altare e lo gettò sulla terra: seguirono tuoni, grida, lampi e scosse di terremoto.

E’ una parentesi importante: si direbbe addirittura che, in un certo senso, sia il quadro centrale. La scena, infatti, è incorniciata, in alto e in basso, dalla visione dei sette angeli con le sette trombe: gli angeli sono pronti a suonare, ma prima attendono che la liturgia sia compiuta. Giovanni differendo il suono delle trombe, rende ancora più ansiosa l’attesa. Ma ci offre, da un’angolatura nuova, ciò che sta per accadere. Le trombe hanno la stessa funzione dei sette sigilli, ma i giudizi che esse annunciano sono più severi. Il suono delle trombe è ammonitore. I giudizi, per quanto rigorosi, non sono totali, definitivi, ma mirano a riportare gli uomini a se stessi (9,20-21).

Giovanni descrive con un linguaggio figurato e simbolico quattro calamità che colpiscono la terra: “Il primo angelo suonò la tromba: grandine e fuoco, mescolati a sangue, caddero sulla terra. Rimase bruciata la terza parte della terra,la terza parte degli alberi e ogni specie di piante”.”Il secondo angelo suonò la tromba: cadde nel mare un’enorme massa incandescente. La terza parte del mare diventò sangue, e la terza parte degli animali morì, e la terza parte delle navi perì”. “Il terzo angelo suonala tromba: dal cielo cadde una stella immensa, che bruciava come una fiaccola: cadde sulla terza parte dei fiumi e delle sorgenti d’acqua. Il nome della stella è assenzio, un’erba amara e velenosa, e molti uomini morirono”. “Il quarto angelo suonò la tromba: fu colpita la terza parte del sole, la terza parte della luna e la terza parte delle stelle. La terza parte della loro luce si offuscò, e così la terza parte del giorno e della notte”. Il “guai” gridato dall’aquila solitaria dice che il peggio deve ancora venire con i prossimi squilli delle ultime tre trombe e riguardano direttamente l’umanità. Il castigo è tremendo, ma non ancora totale: solo la “terza parte” della terra, del cielo, delle acque è colpita. Con questo nuovo simbolo Giovanni ottiene due effetti: ritardare il suono delle ultime trombe e creare l’impressione che i flagelli che stanno per abbattersi saranno ancora peggiori.

Nella letteratura profetica il “silenzio” precede la venuta di Dio nel gran giorno del giudizio. La tromba è un oggetto frequente nei passi escatologici e apocalittici: “Suonate la tromba in Sion – si legge nel profeta Gioele (2,1) – poiché è vicino il giorno del Signore”. E’ presente anche nel vangelo di Matteo 24,31; e in Paolo 1 Ts. 4,16.

I flagelli scatenati dalle trombe riprendono, amplificandole, le piaghe d’Egitto: grandine (v.7), acqua cambiata in sangue (v.8), acque avvelenate con assenzio (v.11, pianta aromatica contenente un’essenza amara e tossica), tenebre (v.12), cavallette (9,3). L’umanità capirà la lezione e saprà approfittarne? Questo è l’interrogativo che dobbiamo porci.

Capitolo 9. La quinta e al sesta tromba.

La quinta e a sesta tromba sviluppano due scene molto simili. Nel primo, la visione di una voragine da cui escono fumo e un numero sterminato di cavallette. Le cavallette non sono un semplice fenomeno naturale, anche molto distruttivo, esse sono esplicitamente designate come potenze infernali. Il loro capo porta un nome ebraico Abaddon che significa: perdizione, distruzione. Infatti, il loro compito è di tormentare l’umanità che non ha impresso sulla fronte il sigillo di Dio. Nella visione, subito dopo, le immagini si complicano e si sovrappongono. Le cavallette non sono più cavallette, ma cavalli pronti all’assalto, e infine, uomini dalle lunghe chiome, feroci come leoni. La visione complessiva è che si tratti di un immenso squadrone di cavalleria lanciato al galoppo (i cavalieri barbari Parti).

Nel secondo, la visione dei quattro angeli sterminatori, ai quali è affidato il compito di sterminare un terzo dell’umanità. Tuttavia le immagini mutano rapidamente e si sovrappongono nuovamente. L’impressione complessiva è l’arrivo di un immenso esercito di cavalleria (“miriadi di miriadi: ne udii il numero”), che incute terrore e semina morte.

In concreto nella prima visione gli uomini vengono tormentati ma non sono uccisi, nella seconda ne viene sterminata una terza parte.

Lo specifico delle nostre due visioni è racchiuso nella conclusione, sulla quale cade il peso dell’intera narrazione: “Gli uomini, scampati allo sterminio, non rinunciano a adorare i loro idoli, e non si convertono dalle loro malvagità”. I disastri che accadono non sono una necessità, né frutto del caso: al contrario, hanno alle spalle precise responsabilità. Questa è la prima cosa che si deduce dall’intera conclusione. E subito una seconda: il loro scopo è la conversione, per aiutare gli uomini a “capire”. E’ in vista di questo scopo che i castighi si intensificano, si precisano, si fanno incalzanti e sempre più eloquenti, ma non distruggono totalmente, non chiudono tutte le possibilità.

Tuttavia gli uomini – nonostante i molti richiami – restano ciechi e chiusi. Si tratta del terzo tema della conclusione, il più esplicito e il più importante. Pur constatando le conseguenze a cui il loro modo di vivere porta, gli uomini dovrebbero comprendere. E invece no. E’ una cecità sorprendente: anziché ravvedersi, gli uomini si ribelleranno e bestemmieranno il nome di Dio. Dando la colpa a Dio, non alle loro idolatrie.

L’idolatria presuppone sempre due convinzioni: che l’uomo un “Signore”, lo voglia o no, ce l’ha sempre (se non ha il vero Dio, ha gli idoli); e che l’idolatria non mette semplicemente in gioco l’onore di Dio ma anche la salvezza dell’uomo (la sottomissione al vero Dio è liberante, l’asservimento ai falsi dei è alienante; dal riconoscimento al primato di Dio vengono la libertà e la fraternità, dall’idolatria la violenza e l’oppressione).

Quali sono le forme concrete che l’idolatria assume?

L’idolatria non consiste soltanto nell’abbandonare il signore, unico Dio, per una pluralità di dei. E’ anche questione di tipo di Dio. Idolatria è anche credere in un Dio diverso da quello vero o ridurre il vero Dio ad un Dio falso. Non scordiamo che gli Israeliti nel deserto, ai piedi del Sinai, si costruirono un vitello d’oro per adorarlo.

L’idolatria può manifestarsi in due modi, nel rifiuto di Dio e nella degradazione di Dio. La prima forma trova la sua radice nel desiderio di indipendenza e nella pretesa di fare da sé (l’uomo che vuole porsi al posto di Dio). Tuttavia il tentativo di erigere se stessi a misura del bene e del male è pura illusione: in realtà se si rifiuta Dio, si sceglie fatalmente un altro padrone (il potere, il successo, l’ideologia, il denaro, il sesso fine a se stesso, la musica sfrenata ecc…). La seconda forma consiste nel degradare l’idea di Dio, costruendola a nostra immagine, a servizio di quei falsi valori (privilegi, strutture ecc…) che diventano, appunto, i “veri signori”.

Fin qui la meditazione biblica intorno al tema dell’idolatria. A questo punto è facile comprendere il legame fra idolatria e opere malvagie (omicidi, magie, dissolutezze, furti e quant’altro). Perché l’idolatria – se la consideriamo in rapporto all’uomo – consiste nel mettere al di sopra dell’uomo “l’opera delle sue mani”, cioè i beni, il potere, la ragion di Stato. Sono le forme dell’idolatria di sempre, che i profeti avevano individuato. Solo Dio invece è al di sopra dell’uomo: niente altro. Se tutto questo è dimenticato, allora l’uomo viene sottomesso dalle cose, o ad altri uomini. In altre parole, l’adorazione degli idoli scatena le forze distruttive della divisione, dell’oppressione e della violenza.

Capitolo 10. L’angelo e il piccolo libro.

La caratteristica fondamentale della visione è il suo evidente carattere di anticipazione. L’immagine dell’angelo che tiene un piccolo libro aperto, deriva, come quella del “libro sigillato” (Ap.5,1-2), dalla visione di Ez. 2,8-3,3. A differenza del “libro sigillato”, questo libro è piccolo, dunque più limitato; esso è presentato aperto e contiene dunque una rivelazione più vicina. L’angelo grida a gran voce simile ad un leone che ruggisce, e, dopo aver urlato, i sette tuoni fanno udire la loro voce. Nell’A.T., le stesse immagini sono molte volte applicate a Dio stesso (il ruggito del leone in Am.1,2; 3,8; il tuono in Salmo 29, 3-9). Di origine trascendente, il messaggio dei sette tuoni è momentaneamente incomunicabile agli uomini.

Tuttavia il compimento del piano di Dio è rimandato più avanti, al suono della settima tromba; al profeta viene consegnato un libro aperto, ma il suo contenuto non viene narrato.

I punti forti della scena sono tre: il solenne giuramento dell’angelo (giuro per Colui che vive nei secoli dei secoli), la consegna del piccolo libro, l’ordine di profetare di nuovo.

Il Signore tuonò…, il Signore ruggisce…, il numero sette indica pienezza e definitività. Possiamo allora considerare il fragore dei sette tuoni come una “sigla” che intende sottolineare che la parola dell’angelo – “Non vi sarà più alcuna dilazione di tempo” e “Il mistero di Dio sarà allora compiuto” – è una parola divina definitiva e irrevocabile. Anche il solenne giuramento intende dire, in sostanza, la stessa cosa. E l’ordine dato al profeta di non scrivere quanto udito, si è creata un’atmosfera drammatica e di suspence: perché il profeta non deve scrivere quanto ha sentito? E che cosa avrà udito?

Poi l’ordine rivolto al profeta: Prendilo e divoralo (il libretto) sarà amaro nelle viscere e dolce come il miele in bocca.

L’Apocalisse s’è aperta con la visione di un libro (c.5), “scritto dentro e fuori e sigillato con sette sigilli”. Ora la stessa immagine ritorna, ma con alcune varianti importanti: il libro è piccolo, è aperto, il suo contenuto non è più un mistero che per essere compreso richiede la morte/risurrezione di Gesù. Ma che cosa rappresenta di preciso questo libro? Si tratta forse del medesimo libro sigillato, divenuto però ora aperto e comprensibile al credente? O è un libro nuovo, diverso, che contiene destini meno importanti, meno misteriosi, tali che ogni uomo attento può leggere dentro la trama delle vicende? E’ difficile rispondere.

Giovanni ha presente la scena descritta da Ezechiele (2,8-3,3), una drammatizzazione di quanto Geremia aveva già detto molto brevemente; “Trovate le tue parole le divorai” (15,16). Nel libro che Dio consegna a Ezechiele (scritto sul diritto e sul rovescio) ci sono lamentazioni, sospiri e guai, e tuttavia quando il profeta lo mangia sente in bocca “qualcosa di dolce come il miele”. La parola di Dio è salvifica anche quando minaccia. Giovanni precisa che il libro è nel contempo dolce e amaro: dolce, perché il popolo di Dio rimane protetto e la salvezza è vicina; amaro, perché la salvezza passa attraverso la tribolazione.

Il gesto di mangiare il libro ha un significato molto chiaro nelle visioni: la parola di Dio deve penetrare nell’intimo dei credenti, deve diventare la loro vita, il loro tormento e la loro consolazione. Così è per chiunque intenda diffondere la parola di Dio, deve innanzi tutto assimilarla.

La descrizione dell’angelo possente – circondato da una nube e fasciato dall’arcobaleno – richiama

la visione del Figlio dell’uomo (1,12-16) e la visione del trono di Dio (4,1-3). Sono tre scene introduttive: la prima introduce il messaggio alle sette chiese, la seconda introduce la vera e propria profezia apocalittica, e la terza introduce la settima tromba, vale a dire il “centro” della grande rivelazione.

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