Apocalisse: La Sala del Trono

Capitolo 4,1 – 8,1 – La sala del trono

Nella visione d’investitura (1,9-20) Giovanni si era sentito ordinare: “Metti per iscritto le cose che vedrai, sia quelle riguardanti il presente sia quelle riguardanti il futuro” (1,9). Nelle lettere alle Chiese (cc.2-3) Giovanni ha parlato di ciò che è. Ora si accinge a parlare di ciò che avverrà (“Sali quassù e ti farò vedere le cose che devono accadere”). Ambedue gli oggetti dell’Apocalisse (ciò che era e ciò che sarà) richiedono una rivelazione di Dio. Non solo il futuro, ma anche il senso profondo del presente sfugge all’occhio dell’uomo: per comprenderlo è necessaria la rivelazione di Dio (in concreto il confronto con la sua Parola).

Lo scenario cambia: si passa da quanto avviene sulla terra a quanto avviene in cielo. Ciò è caratteristico di Giovanni, che vede sempre questa vita nell’attesa della realtà eterna. L’immagine delle Chiese “militanti” cede il posto alla visione sublime del trono di Dio onnipotente.

Le singole immagini che compongono la visione (4,1-11) hanno diverse origini, in gran parte però derivano dalla tradizione profetica dell’A.T. Nessuna di queste immagini è originale e propria di Giovanni. Per comprendere questa visione – che il suo carattere d’introduzione induce a ritenere importante ma che tuttavia alla lettura appare deludente ed enigmatica – occorre che in un primo momento si abbia la pazienza di analizzare le immagini una ad una, cercandone l’origine e il senso.

Giovanni vede “un trono innalzato nel cielo”. Il “trono” è un’immagine importante dell’Apocalisse (la troviamo più di quaranta volte).

In cielo c’è il trono di Dio e dell’Agnello, ma sulla terra c’è anche il “trono di satana” (2,13). Il trono è dunque un’immagine che allude alle due sovranità che si contendono il dominio della storia e del cuore dell’uomo.

Giovanni non descrive Dio, ma solo il suo trono e lo splendore che lo circonda: uno splendore paragonabile a quello delle pietre preziose. Dio è luce e altro di Dio non si può dire. Ma il trono è anche avvolto dall’arcobaleno che significa aureola, non soltanto luminosità, ma anche di pace e di alleanza (così come l’arcobaleno del diluvio, Gn.9,13).

Ventiquattro anziani – seduti su piccoli troni – fanno da corona al trono di Dio. Loro compito è rendere omaggio a Colui che è seduto sul trono (4,10), intonare gli inni di lode, porgere le coppe dei profumi. I tre elementi che li caratterizzano – troni, vesti bianche, corone – corrispondono agli attributi promessi ai cristiani (3,21; 3,4-5.11). Quest’assemblea celeste rappresenta dunque, in un certo senso, il popolo di Dio che partecipa alla gloria e celebra una liturgia di adorazione e di azione di grazie che si indirizza prima a Dio come creatore, poi all’Agnello come redentore (c.5).

Il nome stesso di vegliardi, che è stato dato loro, evoca i capi o i responsabili d’Israele, poi delle sinagoghe e infine delle comunità cristiane. Questi anziani o vegliardi sono ventiquattro, come abbiamo detto, ciò può far pensare sia alle ventiquattro classi sacerdotali (1 Cr.24,3-19), sia a dodici profeti rappresentanti il profetiamo dell’A.T. e ai dodici apostoli, sia dei patriarchi delle dodici tribù dell’antico Israele.

Il carattere relativamente generico della descrizione di questi personaggi lascerebbe supporre che Giovanni non dia una grande importanza alla loro identificazione.

Dal trono escono lampi, voci e tuoni. Sono i segni classici che accompagnano la manifestazione di Dio. Così è descritta nel Libro dell’Esodo (19,6) la gran teofania del Sinai.

“In mezzo al trono e attorno al trono quattro viventi” (4,6), pieni di occhi davanti e dietro, in sembianze di leone, di vitello, di uomo e di aquila che vola. Seguendo la tradizione, questi quattro esseri, sono i simboli dei quattro evangelisti. E’ difficile ammettere che tale sia stata l’intenzione di Giovanni. Infatti, la visione s’ispira direttamente ad Ez. 1, 10ss, dove i quattro esseri su cui poggia il trono di Dio rappresentano il mondo creato. Per altri esegeti si tratta di quattro cherubini alati della mitologia babilonese, per altri si tratterebbe di angeli. Come i ventiquattro anziani (che hanno il compito di intonare l’inno della regalità divina e di riconoscere l’unica sovranità di Dio gettando ai suoi piedi le loro corone), così anche i quattro esseri viventi intonano l’inno di lode e di ringraziamento: “Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente che era, che è e che viene” (4,8).Questi ripetono le parole dei serafini della visione di Isaia (c.6).

Possiamo terminare questa prima lettura analitica rilevando gli innegabili vantaggi che ci ha offerto: un complesso di spunti che costituiscono una base sicura per ulteriori riflessioni e la convinzione che Giovanni ha desunto le sue immagini dalla tradizione biblica, in particolare dalle tre più famose visioni profetiche (Isaia 6; Ezechiele 1; Daniele 7).

Accontentarsi dei singoli elementi che compongono il quadro – come abbiamo fatto finora – non permette di penetrare il senso della costruzione e il suo messaggio continua a restare nascosto. E’ perciò necessario passare all’istante ad una lettura che colga nel loro insieme, cioè il legame, le costanti e il movimento. Lo sguardo di Giovanni va dal centro (il trono di Dio) a ciò che lo circonda (i ventiquattro anziani e i quattro viventi) per poi ritornare al centro (il canto della sovranità di Dio). Dio non è descritto. Non si può vederlo, ma soltanto intuirne la presenza e la potenza. Di Dio non si può dire di più. E tuttavia si può capire chi è Dio per noi, se osserviamo ciò che lo circonda: la luce, i suoni, i personaggi della sua corte e la liturgia che essi celebrano. I ventiquattro anziani e i quattro viventi sono tutti in atteggiamento di adorazione davanti al trono, pronti all’ascolto e all’obbedienza. Nonostante ciò, ci sono uomini che preferiscono innalzare troni ad altri Signori. E qui si innesta la polemica contro il culto imperiale. L’Apocalisse insegna che solo il vero Dio deve essere onorato. Solo Dio, non gli uomini.

Prima di iniziare la narrazione di ciò “sta per avvenire”, Giovanni ha voluto mostrarci la visione celeste della corte di Dio. Prima di mostrarci il tumulto e le contraddizioni della storia, ecco la visione di Dio seduto sul trono in una calma sublime: egli regge imperturbabile i destini del mondo e della sua comunità. Gli uomini si agitano, ma non Dio. Il racconto degli eventi tumultuosi della storia si apre (4,1-11) e si chiude (c.21) con una visione di pace, simboleggiata appunto dal trono di Dio. La storia va da pace in pace: il peccato e l’idolatria degli uomini non possono infrangere questo disegno.

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