Apocalisse: Presentazione

cavalieri dell'apocalisse - Viktor Vasnetsov

I Cavalieri dell’Apocalisse, opera di Viktor Vasnetsov

La Lettura e la meditazione dell’Apocalisse richiedono qualche fatica. Tuttavia è un libro affascinante e lo sforzo di comprensione è compensato. Si tratta di un libro incomprensibile? No. Molte sono le cose che si comprendono anche ad una prima lettura. Resta vero però che nel suo insieme è un libro inafferrabile. Temi, scene ed espressioni – alle volte con facilità, alle volte con fatica – si possono chiarire, ma l’insieme continua a sfuggirci. L’impressione e che ancora non sia stata trovata la chiave capace di schiuderci il suo segreto.

L’Apocalisse è soprattutto un libro personale e geniale, è la trascrizione di un’esperienza di fede: un’esperienza semplice e ricca, attorno alla quale Giovanni ha sviluppato un immenso artificio letterario. Non basta analizzare questo artificio letterario, occorre individuare quell’intuizione di fede di cui esso è espressione.

La storia che ci viene narrata non è un racconto. Si tratta di una costruzione e solo se comprendiamo la costruzione riusciamo a capire qualcosa del passato e dei documenti che dal passato sono giunti a noi.

Ed è senza dubbio importante conoscere i singoli materiali della costruzione, la loro origine e il loro significato, a patto però che, nel contempo, si raggiunga l’intuizione centrale che li unifica e li trasforma. E questo non è semplice frutto di erudizione e di analisi, ma di “simpatia”: è possibile unicamente se si legge e rilegge. In altre parole, si richiede intuizione, e questo è possibile unicamente se si realizza fra testo e lettore un rapporto di profonda conoscenza e simpatia.

L’apocalisse fu scritta verso il 90-95 d.C. La tradizione ci dice che l’evangelista Giovanni lasciò la Palestina e che si stabilì in Efeso, il capoluogo della provincia romana dell’Asia. Il libro fu scritto durante un periodo di persecuzione. Giovanni esiliato a Patmos (1,9), era probabilmente condannato a lavorare duramente nelle cave di pietra dell’isola. Alcuni cristiani erano stati uccisi (2,13) e altri imprigionati per la loro fede. Ma il peggio doveva ancora venire (2,10) e sarebbe giunto con l’imposizione obbligatoria del culto dell’imperatore romano. I primi cristiani vivevano in un’attesa spasmodica del ritorno di Gesù Cristo, attesa non ancora realizzata a 60 anni dalla sua morte. Era naturale che alcuni vacillassero. Per questo, le lettere dirette alle Chiese e tutto il libro cercano di incoraggiarli a perseverare. Dio rimane sovrano, nonostante le apparenze. E’ Gesù Cristo il Signore della storia, non l’imperatore; lui ha in mano la chiave del destino e verrà a giudicare. Un futuro glorioso e fantastico attende il credente fedele e in particolare quanti danno la vita per Cristo. Questo mondo e quanto avviene in esso è nelle mani di Dio, che ama e si prende cura del suo popolo.

Con il suo messaggio Giovanni mirava ad istruire oltre che incoraggiare. I simboli vivi, molto chiari ai primi lettori del suo libro che circolava nelle Chiese, diceva poco alle autorità (sempre pronte a lanciare accuse di sedizione) e, cosa più importante ancora, sarebbero rimasti ugualmente vivi per i cristiani di tutte le epoche.

La nostra epoca materialistica stenta a comprendere lo spirito del libro. Da un lato, invece di vedervi un appello all’immaginazione, lo riduce ad una tavola cronologica di eventi. Dall’altro, per reagire al razionale, lo riduce ad un lavoro impregnato di fantasticherie e di misticismo. Al contrario, per capire l’Apocalisse bisogna vederla come un libro materiato di visioni e di immagini e nello stesso tempo come un libro saldamente radicato nella storia, che proclama Gesù Cristo come Signore di questa. Oggi abbiamo forse necessità più che mai delle sue realtà eterne e atemporali, nonché delle prospettive che essa ci apre.

Interpretazione del mondo e della storia.

Mentre la predicazione profetica considera lo svolgersi del disegno di Dio lungo una linea continua e nell’ambito del destino storico del popolo eletto, la letteratura apocalittica suppone un a rottura radicale tra l’era presente, marcata dal peccato e dall’influsso delle potenze malvagie, e l’età futura ove si eserciterà pienamente il trionfo di Dio e dei suoi eletti. L’era presente, tempo di conflitto e di prova, sarà sostituita dalla manifestazione perentoria e definitiva dell’ordine divino. Questo compimento non è aleatorio; non dipende dal gioco delle volontà umane. Le sue scadenze sono determinate in anticipo, normalmente sconosciute agli uomini, perché Dio solo è padrone e giudice della storia. Il cosmo intero è in relazione con l’avvento finale del regno di Dio: la visione della fine dei tempi ha le stesse dimensioni di quella della creazione. Simile concezione è nello stesso pessimista ed ottimistica: pessimista nel senso che essa rileva la caducità del mondo presente e la sua perversità; ottimistica, poiché afferma il trionfo finale di Dio nonostante le vittorie apparenti del male.

Interpretazione cristiana della storia.

La visione giovannea della fine dei tempi ha assimilato certe convinzioni essenziali della teologia cristiana primitiva. L’era nuova, annunziata e attesa dall’apocalittica ebraica, è stata inaugurata al tempo della risurrezione di Gesù Cristo. Gli ultimi tempi sono iniziati e i benefici messianici sono comunicati: lo Spirito è effuso su ogni essere umano e il cristiano è già risuscitato con Gesù Cristo. Ma questo avvento del regno di Dio si è compiuto nel mistero, ed è sempre oggetto di rivelazione e non può essere percepito che dalla fede. Esso tende verso la sua piena realizzazione e la sua manifestazione gloriosa. Secondo questa prospettiva cristiana, il “giorno del Signore” è sdoppiato: da una parte indica l’evento della risurrezione di Gesù e la sua esaltazione come Kirios, Signore; dall’altra, è ancora atteso in quanto parusia, manifestazione universale e strepitosa del regno di Dio per mezzo di Cristo. Momentaneamente, c’è coincidenza del “tempo presente” e dell’ “era nuova”. La Chiesa è nel tempo presente, ma essa è dell’era futura: essa è una realtà escatologica, nello stesso tempo compimento delle profezie e primizia profetica della fine dei tempi.

L’oggetto delle visioni.

Le visioni non hanno il ruolo soltanto di evocare il processo della fine dei tempi in vista di preparare all’avvento del “giorno del Signore”. Esse si interessano maggiormente delle realtà misteriose già instaurate e comunicate. La teologia di Cristo e della Chiesa prende il sopravvento sulla descrizione apocalittica della storia. La speranza cristiana non si nutre soltanto della prospettiva di una parusia imminente, ma anche del richiamo della partecipazione attuale al combattimento vittorioso di Gesù Cristo. Conseguentemente, il tema dell’urgenza, abituale per la letteratura apocalittica, non s’inserisce più con forza nel quadro di una valutazione cronologica delle date escatologiche; esso si fonda soprattutto sulla convinzione che la fase decisiva del disegno di Dio è stata rivelata e inaugurata nell’evento pasquale. Gli ultimi tempi sono imminenti perché, nel mistero, essi sono già cominciati. L’attesa cristiana è tanto più salda e fattiva giacché concerne dei beni le cui primizie sono già da ora accordate.

La struttura dell’apocalisse e sua interpretazione.

Anche nell’ipotesi che alcuni brani o alcune sezioni del libro abbiano avuto originariamente un’esistenza indipendente, lo scritto che ci è pervenuto rivela una certa struttura che non corrisponde certamente alle nostre abitudini attuali di composizione, ma che lascia intravedere n movimento generale assai omogeneo e dei procedimenti abbastanza costanti.

Di primo acchito, possiamo distinguere due grandi sezioni: la sezione profetica che si presenta sotto forma di “lettere alle Chiese” (1,9-3,22), e la sezione più strettamente apocalittica (4,1-22,5). In quest’ultima, si trova globalmente lo schema abituale per le evocazioni apocalittiche: i preludi della fine dei tempi (6,1-11,9), le prove immediate e il grande confronto (12,1-20,15), il compimento e la manifestazione finale (21,1-22,5). Nell’Apocalisse di Giovanni questo schema è arricchito e complicato dal gioco dei “settenari” (sette sigilli, sette trombe, sette coppe) e delle visioni intermedie che permettono al profeta di moltiplicare le allusioni, di riprendere, attualizzandoli, molti testi dell’A.T. e di svolgere la sua meditazione sul mistero della Chiesa e del tempo presente.

    • La prima cosa da fare, quando si legge un passo biblico, è di stabilire il senso che esso aveva per i primi lettori, di leggerlo cioè alla luce della storia ad esso contemporanea.
    • L’Apocalisse appartiene a un genere letterario particolare, fatto di poesia. Visioni, simboli. Prendere alla lettera le sue immagini, considerare il libro un trattato logico o un resoconto di eventi significa non capire niente del suo spirito.
    • L’Apocalisse è radicata nell’Antico Testamento, che ci fornisce la chiave per comprendere il significato dei vari simboli.
    • I passi oscuri vanno sempre interpretati alla luce di quelli chiari e non viceversa.
    • Si tratta di un libro di visioni. Il fatto che Giovanni non si preoccupi di armonizzare i dettagli ci dice che ciò che importa è il significato generale di ogni visione. Dobbiamo trattare le visioni come le parabole, guardare cioè in primo luogo all’intero quadro e cercare di scoprirne l’idea centrale.
    • Non dobbiamo necessariamente prender le visioni di Giovanni come una serie di eventi succedentesi l’un l’altro. Gli orientali non si preoccupano come noi della cronologia.

Messaggio ed attualità dell’Apocalisse.

Come ogni messaggio profetico, l’Apocalisse ci proclama l’attualità del disegno di Dio e, correlativamente, l’urgenza del nostro impegno. Questa proclamazione, essa la fa dandoci l’intelligenza soprannaturale del tempo presente e del suo compimento.

L’opera di Dio è giunta al suo termine, e noi non ne attendiamo più che la manifestazione (1,7; 22,20). Cristo già trionfa e il suo regno è inaugurato. Gesù è il solo salvatore e perciò, per investitura divina, l’unico Signore (5,5-14). Noi siamo negli ultimi tempi e viviamo nell’anticipazione della salvezza e nei preludi del giudizio. Di fronte a questo evento, gli uomini si dividono già in due categorie inconciliabili:

*quelli che riconoscono Cristo sono associati al suo trionfo e costituiscono il popolo di Dio, realizzazione del popolo messianico (7,9-17);

*quelli che, non riconoscendolo, restano in stato di opposizione a Dio: sono gli “abitanti della terra”, i complici della usurpazione empia, che dimorano sotto il dominio di satana e sono votati come lui alla condanna (6,15).

Nella sua realtà profonda, la Chiesa è intimamente associata alla persona ed all’opera di Cristo:

*è la comunità eletta, l’oggetto del suo amore (7,3-4);

*è stata riscattata col suo sangue (5,9; 7,14);

*è l’inaugurazione del suo regno, popolo regale e sacerdotale (5,10; 7,15).

Da questa unione costitutiva, proviene una comunione “esistenziale”; il destino della Chiesa è visto nel suo essere associata al destino di Cristo:

*Cristo era profeta, “testimone fedele”. La Chiesa è una comunità santa che esercita la testimonianza; in questo modo, essa è in missione profetica (11,3-6);

*Cristo ha spinto la sua testimonianza fino alla passione, perché ha incontrato l’opposizione d’un mondo nemico di Dio (5,6). La Chiesa compie ugualmente la sua missione nella prova; essa conosce il combattimento e il martirio (6,9; 7,14);

*Cristo è vincitore e risuscitato (1,5.18; 5,5). La Chiesa partecipa già a questa vittoria; essa non è soltanto in stato di elezione, ma è salvata e vive le primizie della risurrezione (6,11; 7,16-17);

*Cristo è glorificato, stabilito nella condizione di Signore (1,5; 12,16).

La Chiesa è già regno sacerdotale; da ora essa esercita nel culto la sua funzione celeste, e ben presto sarà manifestato il suo trionfo (7,9-12). Così, nel tempo presente, la Chiesa vive i diversi aspetti del mistero di Cristo: essa segue l’Agnello dovunque egli va. Questa conformità implica atteggiamenti morali e spirituali:

*poiché essa deve testimoniare in un mondo che non conosce Dio, le è chiesto di vivere nella fedeltà (1,.3; 2,10);

* su questa terra, ove è in esilio, essa soffre la persecuzione, ma è anche preservata da Dio e nutrita delle primizie della risurrezione. L’atteggiamento che corrisponde a questo stato di prova e di sicurezza della gloria futura, è la perseveranza, forma particolare di fedeltà, come il martirio è una forma particolare di testimonianza (1,9; 2,2.3.10; 3,10-11);

*la Chiesa è anche esodo, in marcia verso la rivelazione della Gerusalemme celeste, sua vera patria, e si prepara a vivere della piena manifestazione del suo signore. Questa prospettiva della gloria futura, in seno alla prova presente, mantiene nella Chiesa una tensione piena di speranza: “Vieni, Signore Gesù!” (6,10).

Questo messaggio riguarda noi. Esso sorpassa l’annuncio di una parusia futura di cui rimangono incerte data e modalità. Non è più destinato a mantenere i fedeli in una vaga nostalgia che li consolerebbe delle loro delusioni terrestri e li inviterebbe al disimpegno.

In ogni momento, l’uomo esprime la sua appartenenza e precisa il suo destino; in ogni momento si verifica l’autenticità della sua fede e si compie il suo giudizio; attorno a lui e in lui si esercita l’antagonismo irriducibile dell’idolatria della terra e del riconoscimento del solo Signore. La parola profetica invita il credente ad apprezzare la gravità eterna di ogni istante; essa non tollera né distrazione, né leggerezza, né compromessi, ma provoca all’impegno immediato e integrale. Ponendo l’esistenza presente nella prospettiva della parusia, l’Apocalisse ricorda che il Signore Gesù è al termine della storia come pure il suo inizio e che, al di là delle apparenze, le realtà terrestri sono relative al disegno di Dio. Ma con i suoi numerosi riferimenti al simbolismo liturgico, essa invita la comunità dei fedeli a vivere il culto come un incontro attuale con Cristo, come un appello a conformarsi alla Pasqua del Signore, come una proclamazione e un’attesa della manifestazione della Gerusalemme celeste di cui essa è l’anticipazione e il segno.

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