Ma a voi che mi ascoltate io dico

“Ma a voi che mi ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.

Carl Wilhelm Friedrich Oesterley

Commento

Queste parole non hanno bisogno di essere spiegate (sono anche troppo chiare!), quanto di mostrare che sono praticabili. Il rischio maggiore, infatti, è che si ascoltino come pie esagerazioni, espressioni poetiche che stanno bene nei libri, ma che hanno poco o niente a che vedere con la vita reale. La testimonianza dei martiri odierni ( non solo quelli antichi delle persecuzioni romane), insieme a innumerevoli altre (Africa, Islam, Asia e la stessa Italia dove sacerdoti sono stati assassinati in nome della giustizia divina), ci rassicura proprio su questo punto. Il perdono dei nemici è possibile, difatti c’è chi lo pratica!

Dopo questa premessa cercherò adesso di vedere più da vicino cosa chiede Gesù ai suoi discepoli. Anzitutto una precisazione. Il verbo usato per indicare l’amore dei nemici è agapan che indica un amore gratuito che non dipende dal merito o demerito della persona amata; un amore diverso da quello erotico (eran) e da quello di amicizia (philein). Ma l’amore che definiamo “carità”. Ciò ci dice già che l’amore richiesto per i nemici, più che un’impossibile sentimento di trasporto del cuore, è una decisione della volontà; consiste cioè nel non volere il male del nemico, ma semmai “che si converta e viva”.

Tuttavia anche con questa precisazione è umanamente possibile, mi chiedo, mettere in pratica un’esigenza come quella enunciata da Gesù Cristo? Devo rispondere senza mezzi termini: no, non è umanamente possibile! Allora Gesù ci chiede l’impossibile? Neppure. La risposta è che Gesù non ci dà solo il comandamento di amare i nemici, ma ci dà anche la grazia, cioè la capacità di farlo. Se egli si fosse limitato a darci solo il “precetto” di amare i nemici e non avesse fatto altro, esso sarebbe rimasto lettera morta, anzi, come dice San Paolo, “lettera che uccide”.

Sì, uccide, nel senso che saremmo schiacciati da un’esigenza che non riusciamo a soddisfare. Come se uno mettesse davanti a un bambino un peso di un quintale e gli ordinasse di sollevarlo.

Gesù, cari fratelli e sorelle, ha soddisfatto, lui per primo e per tutti, questo comandamento. E’ morto perdonando i nemici. Ma anche questo non sarebbe stato sufficiente. Se si fosse fermato qui, Gesù ci avrebbe lasciato un sublime esempio di amore per i nemici, ma non ancora la forza e la capacità di amare, anche noi, i nemici.
Le cose cambiano quando egli, a Pentecoste e poi, per ognuno, nel battesimo e nei sacramenti, ci dona il suo Spirito. In questo modo egli ci comunica le sue stesse disposizioni, infonde in noi la sua stessa capacità di amare tutti , anche i nemici. Gesù non solo ci ordina di fare, ma fa quello che ci ordina.

Ciò che si richiede a noi tutti discepoli è di accogliere questa grazia, di crederci e di collaborare con essa. Non si può, dicevo, domandare ad un bambino di sollevare un quintale, ma gli si può chiedere di premere col ditino un bottone che azionerà un argano capace di sollevarlo. Premere il bottone è mettere in opera la fede e la preghiera. Parafrasando ciò che Sant’Agostino diceva del precetto della castità, possiamo pregare dicendo: “Signore, tu mi comandi di amare i nemici: ebbene, dammi ciò che mi comandi e poi comandami ciò che vuoi!”
I martiri d’ogni tempo non hanno attinto da se stessi la forza di perdonare chi li uccideva, ma da Gesù, il Figlio di Dio, cui tutto è possibile.

Voglio narrarvi una storia. Un giudice disse ad un amico: quel giovane ha ucciso un uomo, ha confessato il delitto nel pieno delle sue facoltà. Ho dovuto condannarlo. Tuttavia il mio cuore è triste perché sono giunto alla conoscenza dei fatti della sua vita. In tenera età ha visto assassinare suo padre, sì, proprio dall’uomo ucciso. Nell’ambiente in cui è cresciuto si parla solo di vendetta.

Vedi, non ha mai udito neppure una parola di perdono e d’amore. Ecco perché, quando era ancora bambino, si convinse che da adulto doveva vendicare la morte di suo padre. Puoi comprendere con quanto odio ha covato durante questi anni, ma non desiderava che alle figlie dell’assassino di suo padre, toccasse la stessa sorte che era toccata a lui. Solo dopo che ambedue alle figlie si erano formate una famiglia, si vendicò uccidendolo. Il suo delitto è il risultato e il frutto dell’ambiente in cui era vissuto. A mio avviso è stata fatta giustizia, ma non certo una giustizia vera e totale.Le cause che hanno generato il delitto esistono ancora e produrranno altri delitti.

Ho capito più cose del fenomeno della criminalità con questa storia che da tutti i discorsi, gli articoli, i dibattiti su di essa. Ho compreso per esempio come un ragazzo può ritrovarsi criminale senza possibilità di scelta e perciò senza colpa ed accorgersi di avere sbagliato quando ormai è quasi impossibile tornare indietro. Cos’altro può diventare un ragazzo al quale tutto l’ambiente in cui cresce, a partire da quello familiare, gli esalta i valori della vendetta e del crimine, e gli fornisce ogni giustificazione sociale e religiosa dell’agire? Non c’è da stupirsi se accenderà una candela alla Madonna la sera prima di andare ad uccidere qualcuno, perché lo faccia riuscire nell’impresa…Di fronte a queste considerazioni, mi sorge spontanea una riflessione: cosa sarebbe accaduto se ci trovassimo in una nazione dove vigesse la pena di morte? Sarebbe preclusa la possibilità stessa di redenzione vera.

Parlando con alcuni giovani, uno mi chiese che sarebbe della convivenza umana se tutti mettessero in pratica il suggerimento di Gesù di porgere l’altra guancia? Non sarebbe la fine di tutto e il trionfo dell’ingiustizia? Io risposi che anzitutto, se tutti mettessero davvero in pratica l’insegnamento di Gesù, non ci sarebbe nessun bisogno di porgere l’altra guancia, per il semplice motivo che nessuno percuoterebbe più il fratello su una guancia.

Beh, battute a parte, vi rispondo: è vero, non sappiamo cosa sarebbe di una società in cui tutti (ma proprio tutti) mettessero in pratica il precetto di Gesù del perdono; in compenso però sappiamo benissimo che ne è di una società in cui esso non è posto in pratica e si continua a praticare la legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”. Sappiamo cosa ha prodotto, e cosa sta producendo, in Medio Oriente, nella terra in cui Gesù cercò di infrangere per primo questa legge…Senza andare lontano, o altrove, guardiamo in casa nostra: cosa succede in quelle regioni dove la vendetta, la faida, tra le cosche o le famiglie -la legge del taglione- è ancora considerata sacrosanta?

Osservate le statistiche delle forze di polizia, alla fine dell’anno le vittime sono centinaia, come in guerra. L’esistenza di quelle famiglie è avvelenata, sospesa ad un filo in ogni momento…vita da trincea, non vita!
Lancio il mio grido di dolore e, unendomi a tutti i discepoli di Cristo, dico: Gesù Cristo, il Figlio di Dio c’è anche per voi, perdonate, perdoniamo, amate, amiamo, si può fare!

Amen,alleluia,amen!