L’uomo mortale

Il pensiero della morte è una presenza silenziosa che sbuca improvvisamente dai pori della pelle e perfora inesorabilmente tutti i sentimenti del cuore e dell’anima, provocando in loro e nell’intera esistenza, il clima del mistero. Quel mistero di vita e di morte, cui lo spirito razionale non sa trovare una giustificazione plausibile.

La contraddizione sta in questo: creati per la vita e condannati alla morte. Essa, senza dubbio, è la più drammatica delle contraddizioni di cui l’uomo è intessuto a livello razionale e spirituale. Infatti, anche Gesù, Dio fatto uomo, nel Getsemani scongiura il Padre dicendo: “L’anima mia è tristissima, da morirne: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice, tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu…
Lo spirito è pronto, ma la carne è debole…Ed entrato in agonia, pregava più intensamente.
“E il suo sudore divenne come gocce di sangue che scendevano giù sulla terra” (Mt.26,39-41); Lc.22,24).

L’agonia di Gesù tocca il culmine quando esclama:
“E’ giunta l’ora in cui il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori” (Mt.26,45). I giorni e le ore sono finiti. E’ giunto il momento in cui il Maestro ci dirà. Come disse agli apostoli addormentati: “Alzatevi, andiamo” (Mt.26,46).

Mistero insondabile è la vita e la morte! Accettarsi come parte e realtà di questo mistero è un dovere. Travagliati, travolti, trascinati dall’imprevisto, sotto il quale si cela un progetto diverso dal nostro, siamo coscienti della nostra precaria esistenza mentre tocchiamo con mano l’essere contingente, finito, limitato, che vorremmo realizzare nella struttura materiale della nostra corporeità. Il salmo 61 squarcia, senza pietà, l’urlo della finitudine interiore quando afferma: “Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini, insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio”.

L’uomo terreno, immerso nell’esperienza sensoriale e corporale, teme la devastazione della sua realtà: egli si difende con la forza dell’istinto, della conservazione e della propagazione di sé, nel tentativo di sopravvivere a se stesso dopo la fine del suo ciclo vitale. Lo spirito e l’anima percepiscono il vuoto dello sfratto, comprendono di abitare in una dimora che ha gli anni e i giorno contati; non accetta di morire e soffre le vertigini del nulla se la ragione non incontra l’immortalità dello spirito e, più ancora, la fede in Gesù: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me anche se morto vivrà, e chiunque crede vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?” (Gv.11,25-26).

Gesù, insegnaci a vegliare e ad aspettare il nostro giorno

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