Atti degli Apostoli

Radunata e allo stesso tempo sospinta verso l’esterno dallo Spirito Santo, la comunità degli Atti si presenta a noi, per così dire, in due versioni. La prima, che è anche la più nota, è una versione quasi idilliaca: la comunità vi appare concorde, unita, avendo come punti di riferimento l’insegnamento degli apostoli, la Parola di Dio, il tempio, la frazione del pane, la comunione fraterna (At.2,42-48; 4,32-35). La seconda invece presenta un quadro più realista: esistono anche in questa comunità persone che cercano di approfittare delle situazioni (At.5,1-11) e tensioni tra gruppi diversi (At.6,1), elementi, questi, più preoccupati della persecuzione che colpisce dall’esterno, perché mostrano come la realtà degli uomini non cambia automaticamente e come lo Spirito Santo si faccia strada a poco a poco e non senza difficoltà nel cuore dei credenti. La comunità cioè vive con fatica il proprio compito di testimonianza e la stessa prima missione che la sospinge fuori Gerusalemme, secondo quanto Gesù aveva detto (At.1,8), non corrisponde tanto a una scelta autonoma, quanto piuttosto è indotta dalla situazione creatasi in città dopo la morte di Stefano. La persecuzione infatti genera una diaspora che l’autore degli Atti legge come un fatto provvidenziale (At.8,4).

L’immagine complessiva della comunità delle origini è quindi varia e non dissimile da quella della chiesa di oggi, che vive momenti alterni di unione e di difficoltà, di chiusura e di fervore. Ma vogliamo fermare la nostra attenzione, per ora, sui punti di riferimento che la prima comunità, la prima chiesa di Gerusalemme riconosceva come suoi propri.

“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. (At.2,42-48).

Ci limitiamo a questa prima descrizione che, tutto sommato, ci fornisce elementi sufficienti. Il v.42 ne presenta quattro che pone sullo stesso piano: vediamo come vanno intesi.

L’insegnamento degli apostoli: questo riguarda soprattutto la realtà di Gesù Cristo, come si vede dal discorso di Pietro di At.2,14-40 e dai discorsi successivi per i quali riceverà esplicita proibizione di insegnare (At.4,18). In tale insegnamento colpisce soprattutto l’immediatezza con cui Pietro raccorda alla persona di Gesù le promesse dell’AT e la necessità del coinvolgimento personale. Egli colloca sempre Gesù tra due poli: i padri che hanno enunciato o udito le promesse e i suoi attuali ascoltatori che devono adesso compierle nella loro vita. Si tratta di una dinamica semplice ma irrinunciabile.

L’unione fraterna: il termine usato da Luca, non compare più negli Atti, ma forse si comprende alla luce di At.2,44 2 4,34-37, dove appunto si parla dell’uso di considerare comuni i beni di ciascuno. Tale situazione di fatto sottende però una decisione che certamente a Luca sta più a cuore, quella cioè di una effettiva rinuncia all’egoismo personale per accostarsi alle necessità degli altri. Tale rinuncia è sorretta dall’assiduità all’insegnamento, alla preghiera e al prendere pasti in comune, come il contesto fa vedere, ed è il segnale del compimento delle promesse nell’ambito della vita del credente. Non sono in grado di dire se e fino a che punto questa messa in comune dei beni fosse realmente in vigore e fosse considerata vincolante per chi entrava nella comunità cristiana. Probabilmente si richiedeva una decisione di disponibilità per le necessità comuni, che certo era moralmente importante anche se non imposta, come mostrano gli opposti atteggiamenti di Barnaba, Anania e Saffira (At.4,36; 5,11).

La frazione del pane e le preghiere: qui si allude alla dimensione liturgica della vita della comunità: ancora non è avvenuta la frattura col giudaismo e quindi i credenti frequentano il tempio di Gerusalemme; ma anche a casa, tra loro, pregano e spezzano il pane durante il pasto comune a memoria di quanto fatto dal Signore Gesù. Tale dimensione liturgica non deve essere sottovalutata. Anche se noi possiamo dirne poco perché non ne sappiamo altro che queste poche indicazioni forniteci dal testo, essa è evidentemente una dimensione primaria e costitutiva della vita cristiana.

In questo primo quadro della comunità manca la dimensione missionaria in senso stretto, nel senso cioè della missione ad gentes. La chiesa è invece dotata di una fecondità interna e inconsapevole; il testo parla infatti di segni e prodigi usando una coppia di termini che rimanda al linguaggio dell’Esodo e precisa che il Signore aggiungeva alla comunità i salvati. Il Signore è quindi il principale protagonista; la comunità, dal canto suo, offre la propria testimonianza lì dove si trova, senza programmare. Ancora una volta sembra attendere il segno che le indichi chiaramente la necessità di espandersi e di prendere nuove strade.