Atti degli Apostoli

Abbiamo visto nella parte precedente come, fin dal suo inizio, la chiesa percepisca se stessa e la propria dinamica vitale. All’interno di questa, il ruolo predominante aspetta allo Spirito Santo.

Soffermiamoci ora a rileggere il racconto della Pentecoste (At.2,1-48) per meglio mettere a fuoco questa riflessione.

Cominciamo da una constatazione preliminare: se mettiamo a confronto l’inizio del ministero di Gesù secondo Luca e l’inizio della vita della chiesa negli Atti vediamo che tra i due eventi c’è una profonda somiglianza. In ambedue i casi la presenza dello Spirito Santo è dominante, sia a livello di iniziativa che di contenuti.

Gesù si manifesta al battesimo in cui lo Spirito Santo scende e si ferma su di lui (Lc.3,22), mosso dallo Spirito Santo torna in Galilea (Lc.4,14) e parla dell’evento salvifico che da lui ha inizio con il discorso programmatico della Sinagoga di Nazareth, in cui dominano l’accento universalistico e il costante riferimento alle profezie (Lc.4,14-30).

Anche la chiesa nasce in un battesimo dello Spirito Santo (At.2,1-4) e si manifesta col discorso di Pietro come portatrice di una salvezza universale promessa dai profeti (At.2,14-36).

Da questo parallelismo derivano alcune conseguenze: la prima e la più evidente è che, manifestandosi come Gesù, la chiesa deve assumere uno stile di vita conforme a quello di Cristo, teso all’annuncio della salvezza per tutti gli uomini (come dobbiamo fare noi battezzati nello Spirito). La seconda è che la chiesa deve al massimo valorizzare questa presenza dello Spirito Santo che la inibita accogliendone l’impulso missionario, il linguaggio universale e la forza che si manifesta in franchezza e libertà di parola al di là dei rischi che questo può comportare.

Lo Spirito Santo è, prima di tutto, in questo senso, colui che suscita una decisione e compromettersi e a lasciarsi coinvolgere personalmente e a proprio rischio (quanti di noi lo hanno fatto?).

Nel racconto della Pentecoste, dello Spirito si parla solo quattro volte: al vers.4 (due volte), al vers.33 e al vers.38, ma ciascuna merita grande attenzione. Leggiamo insieme:

“Tutti furono pieni di Spirito Santo
e cominciarono a parlare in altre lingue
come lo Spirito dava loro di esprimersi” Atti 2, 4

Da questo versetto emerge appunto come iniziativa e modi di espressione della chiesa siano un dono che viene dall’alto. Non si tratta cioè di una comunità che decide in proprio cosa fare,ma di una comunità che dà il proprio assenso all’opera di Dio: lo Spirito Santo suscita il volere e l’operare, come si esprime altrove l’apostolo Paolo (Fil.2,13), in ordine alla salvezza che non riguarda il gruppo ristretto, ma l’universalità degli uomini.

Questo tratto è sottolineato dalla precisazione “in altre lingue” indicante appunto la prospettiva missionaria della vita della chiesa, chiamata ad annunciare l’identico Vangelo nella cultura dei popoli. Il fatto quindi di incarnare e inculturare il messaggio di Cristo non è un problema tattico, ma la necessaria risposta al dono di salvezza di Dio, che lo Spirito Santo suscita e sollecita.

La seconda menzione dello Spirito Santo è nel corpo del discorso di Pietro:

“esaltato dunque con la destra di Dio,
ricevuta dal Padre la promessa dello Spirito Santo,
(Gesù) ha effuso questo che voi vedete e ascoltate” Atti 2,33

In questo caso notiamo che lo Spirito Santo è messo in relazione da una parte alla persona e all’evento di Gesù, dall’altra all’oggi vissuto dagli uomini che Pietro ha di fronte. Questa irruzione del divino nell’oggi dell’uomo è presentata da Pietro come la realizzazione delle promesse dei profeti, ma soprattutto come un fatto che non può lasciare l’uomo come è. Nessuno dopo un tale accadimento e un tale annuncio, potrà più essere come prima. Lo si dice esplicitamente nell’ultimo versetto che ci interessa direttamente:

“E Pietro disse: Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia
battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei
peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo”. Atti2,38

Se la chiesa ha come primo compito quello di accogliere il dono e di condividerlo con coraggio, come mostra l’atteggiamento degli apostoli, chi ascolta è anch’egli messo in condizione di partecipare al medesimo dono che si articola in diversi momenti: annuncio, ascolto, nascita della fede, conversione, battesimo, aggregazione alla chiesa, rispettivamente.

Quello che importa è che lo Spirito santo non può essere trattenuto e incatenato; egli genera invece una novità di vita sia individualmente che nella comunità e l’uomo deve lasciarsi coinvolgere e deve compromettersi personalmente con una decisione.

La Pentecoste non è vissuta dagli apostoli come un episodio della propria vita o come una conoscenza superiore di Dio, o come un piano di azione privato: essa è per loro il principio (così dovrebbe essere per ognuno di noi),come il primo giorno della creazione. Non a caso il racconto protrae con la descrizione di una comunità totalmente rinnovata (At.2,42-47).

Dal testo si vede chiaramente che nessuna buona volontà umana da sola avrebbe potuto costruirla, ma che essa fiorisce dall’incontro dello Spirito Santo donato da Dio e dal cuore dell’uomo che lo ascolta e lo condivide.

L’iniziativa di Dio è comunque sempre precedente a quella dell’uomo e la presenza dello Spirito Santo è il criterio della vita della comunità cristiana, così come gli Atti ce la descrivono. Possiamo anzi restare sorpresi da questa preminenza del divino, d’altra parte essa è anche l’unica garanzia di successo, se poco fa abbiamo parlato di decisione e di assenso ad un piano, una visione, potremmo dire che l’azione della chiesa è, soprattutto, una collaborazione all’opera di Dio, che resta sempre al primo posto.

In questo senso dovremo vedere in che reciproco rapporto gli Atti pongono l’azione e la contemplazione come poli della vita della comunità cristiana e soprattutto come la comunità degli Atti si pone di fronte alla Parola di Dio.