Gesù e Nicodemo

Capitolo 2,23-3,21

Mentre era a Gerusalemme per la solennità della pasqua, molti cedettero nel suo nome, vedendo i segni che faceva. Ma Gesù non credeva loro, perché li conosceva tutti e non aveva bisogno della testimonianza di alcuno sull’uomo: egli stesso conosceva quello che c’è nell’uomo. Tra i farisei c’era un uomo, Nicodemo, un capo dei giudei. Egli venne da Gesù, di notte, e gli disse: Rabbi, noi sappiamo che tu sei un maestro venuto da Dio, poiché nessuno può compiere i segni che fai tu se Dio non è con lui. Gli rispose Gesù: In verità in verità ti dico, se uno non è generato dall’alto non può vedere il regno di Dio. Nicodemo gli disse: Come può essere generato un uomo già vecchio? Può forse ritornare nel grembo della madre e nascere?

Riprese Gesù: In verità in verità ti dico: se uno non è generato dall’acqua e dallo Spirito non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è generato dalla carne è carne, ciò che è generato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: occorre che siate generati dall’alto. Il vento (lo spirito) soffia dove vuole, e tu odi la sua voce, ma non sai donde venga né dove vada: così è chiunque è generato dallo Spirito. Come può accadere questo? Replicò Nicodemo.

E Gesù: Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose? In verità in verità ti dico: noi diciamo ciò che conosciamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto, ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come credereste se vi parlerò delle cose celesti? Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo, l’unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna. Infatti Dio non mandò il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo suo. Chi crede in lui non è giudicato. Ma chi non crede in lui ì già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. In questo sta il giudizio: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre della luce, perché le loro azioni erano malvagie. Chi fa il male odia la luce e non si avvicina alla luce, per timore che le sue azioni siano svelate. Chi invece fa la verità si avvicina alla luce, perché sia manifesto che le sue opere sono fatte in Dio.

Giovanni riprende la narrazione, rammentandoci che siamo sempre a Gerusalemme durante le feste di Pasqua, un’espressione che richiama: “Era vicina la pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”. Ora però ci fa sapere che in quei giorni Gesù aveva compiuto alcuni “segni”, cioè miracoli o gesti significativi, come quello della cacciata dei mercanti del tempio, e pone l’accento che molti cedettero in lui, vedendo i segni che faceva. Giovanni è come se ci avvertisse che c’è tensione tra Gesù e i “molti che credettero in lui”.

Ma perché non si fidava di loro? Che cosa c’era in essi d’inaffidabile? Alla prima domanda Giovanni risponde immediatamente: Non si fidava perché li conosceva tutti, in altre parole aveva di loro una conoscenza esperienzale immediata; e poi egli sapeva quel che c’era nell’uomo. Per rispondere all’interrogativo della seconda domanda, dobbiamo affidarci al dialogo tra lo stesso Gesù e Nicodemo, il quale è di quelli che credettero in lui e di cui Gesù non si fidava. Adesso affrontiamo una bellissima scena del vangelo. In essa Giovanni ci narra quello che avvenne una notte a Gerusalemme durante le feste di Pasqua.

Nicodemo era un insigne fariseo e maestro della Legge, uomo onesto e di rette intenzioni; ma era anche membro del Sinedrio, e questa sua condizione sociale imponeva evidentemente molta cautela e prudenza alla sua condotta pubblica. Come ho già detto, al vedere i segni compiuti da Gesù, egli rimase scosso. D’altra parte la sua condizione sociale, e più ancora la sua formazione intellettuale farisaica, gli consigliavano oculato riserbo di fronte all’ignoto taumaturgo. Fra questo ansioso contrasto egli prende un via di mezzo, e si reca a visitare Gesù di notte: alla penombra di una lucerna si ragiona con più raccoglimento, e soprattutto non si è facilmente riconosciuti da estranei.

Il colloquio, molto probabilmente fu lungo e forse si protrasse per tutta la notte, ma l’evangelista Giovanni ne riferisce solo i punti più salienti che meglio rispondevano agli scopi del suo vangelo “spirituale”.

Nicodemo parla come portavoce: Noi sappiamo… Poi pronuncia un giudizio con autorità, sicuro: nessuno può compiere i segni che tu fai, se Dio non è con lui. Forse sta proprio in questa sicurezza la ragione ultima della sua incomprensione: egli pensa di avere già capito Gesù, ha letto il suo comportamento dentro gli schemi della propria teologia. Così ha perso tutta la forza di rinnovamento a cui la rivelazione di Gesù intendeva portarlo. Nicodemo afferma che Gesù viene da Dio, ma non comprende il suo invito a rinnovarsi.

A Nicodemo sfuggiva appunto il senso racchiuso nelle parole di Gesù, e quindi per provocare la spiegazione si atteggia ad ottuso di mente: Come può nascere un uomo che sia vecchio? Può forse entrare nel ventre di sua madre una seconda volta e rinascere?

Attenzione, il finto ottuso è più acuto di quanto sembri: egli si erge a giudice della dottrina che Gesù sta per esporgli, ma Gesù gli risponde in modo da ricondurlo alla sua condizione d’ignaro apprendista: In verità, in verità ti dico, se alcuno non sia nato da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio: Ciò che è nato da carne, è carne; e ciò ch’è nato dallo Spirito è spirito. Il significato ultimo delle parole di Gesù e del dialogo con Nicodemo, non è che impotenza, in altre parole ciò che è generato dalla carne è carne. La carne e lo Spirito sono due principi vitali. Ciascuno dei due trasmette la sua vita.

La carne rappresenta la condizione umana non ancora perfezionata dallo Spirito; lo Spirito è invece la vita nuova di chi è rinato dal costato del Messia. Chi è nato dallo Spirito è spirito, ossia è amore, vive ispirato dall’amore. Cristo offre in se stesso l’immagine piena di una vita umana ispirata dall’amore, ma contemporaneamente dona lo Spirito che ci mette in grado di vivere così. L’errore di Nicodemo è quello di pensare che Dio abbia finito di creare in quel lontano settimo giorno; Gesù esprime il suo aperto dissenso quando dice: “Il Padre mio opera sempre e anch’ip opero”. L’opera della creazione dell’uomo non è affatto finita; sarà finita dopo l’effusione dello Spirito.

Quindi Nicodemo, il fariseo, fedele custode e scrupoloso osservante della legge, maestro riconosciuto della “vera religione”, non avverte nella persona, nell’insegnamento e nelle opere di Gesù una novità, una libertà che sembra sconvolgere alla radice il rapporto religioso. Egli è convinto che per appartenere al regno di Dio è necessario e sufficiente la discendenza carnale, la nascita nella stirpe d’Abramo e l’osservanza della legge. Invece non è così! Gesù, inserendosi in questa problematica e mettendosi alla pari del suo interlocutore, gli parla di cose che lui, quale maestro d’Israele, dovrebbe conoscere: In verità, in verità ti dico: se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio.

L’uomo, in pratica, deve radicalmente cambiare se vuol vedere il regno di Dio ed entrarvi, e questa trasformazione equivale ad una “rinascita”: In verità, in verità ti dico, se alcuno non sia nato dall’alto, non può vedere il regno di Dio, cioè a qualcosa che non dipende dall’interessato, il quale, in questo caso può essere soltanto un soggetto passivo. Dobbiamo soffermarci sull’insegnamento di Gesù a proposito della rinascita. Innanzitutto la traduzione in lingua italiana dice meno dell’originale greco, dove c’è un termine che significa contemporaneamente “dall’alto e di nuovo”. La parola greca è ànothen.

Con l’immagine del nascere di nuovo il maestro intende dire che il Regno di Dio, pur essendo una realtà comunitaria, è strettamente legato a un mutamento personale, a una presa di distanza radicale dal proprio passato. In sostanza, il rinnegamento di sé che deve essere un atteggiamento permanente come è permanente la necessità della conversione. Con l’immagine del “nascere dall’alto2, Gesù intende dire che la Legge di Mosè non è in grado di formare l’uomo al Regno di Dio. Occorre il dono di una vita nuova che scende dall’alto e che trasforma la persona nel suo intimo.

Come possiamo comprendere la risposta di Gesù è sconvolgente: afferma che è tutto inutile. Per entrare nel regno di Dio è necessario un rinnovamento totale alla radice, proprio come entrare nella vita con un nuovo essere. Ma nascere, entrare nella vita non dipende da noi, ma da Dio. Nessuna ricetta può permettere a Nicodemo e ad Israele, che egli rappresenta, di convertirsi, di assicurarsi l’accesso al regno. La rinascita avverrà nel segno dell’acqua, nel battesimo, ma sarà opera dello Spirito Santo.

In ebraico spirito si diceva ruah, che tuttavia significava anche soffio (di vento); Gesù prende l’occasione del doppio significato per aggiungere un esempio pratico: …il soffio dove vuole soffia e il rumore di esso tu ascolti, ma non sai donde viene e donde va. Così è di chiunque è nato dallo Spirito.

Benché incontenibile ed invisibile il soffio del vento è reale, nel campo fisico; così nel campo morale, l’azione dello Spirito divino non è moderabile d’argomenti umani né è scrutabile nella sua essenza, ma b en si manifesta nei suoi risultati. Questo Spirito fa nascere ad una vita nuova invisibile, in maniera tale che ricorda come la prima vita visibile del cosmo si sprigionasse dalla materia brutta e insieme dal soffio di Dio che si librava sulle acque del caos (Gn.1,2). Il vento-spirito è una forza che muove. Di esso si dice anche che ha una sua “voce”, un suo linguaggio. Analogamente al vento, lo Spirito di Dio è liberissimo, non conosce limitazione, né confini, né regole prestabilite.

E’ libero perché è Signore. L’apostolo Paolo è esattamente identico: “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor.3,17). Nella stessa maniera, chi nasce dallo Spirito non è mai vittima di ristrettezze mentali, e soprattutto non è èpiù vincolato ai legami terrestri, quali possono essere le istituzioni, la stirpe, l’albero genealogico. La sua identità, come quella di Cristo, non può più essere ridotta all’orizzonte di questa terra. Chi è nato dallo Spirito, sa da dove viene e dove va. Sa che la sua meta è la comunione col Padre.

Nicodemo continua a muoversi a disagio nella dottrina di Gesù. Ciò che gli impedisce di capire l’insegnamento così nuovo del maestro è il suo attaccamento a una tradizione e a un sapere appreso da altri uomini. L’insegnamento di Gesù, e di tutti coloro che sono suoi discepoli, al contrario, non è tanto una dottrina o una tradizione appresa, bensì una testimonianza di ciò che si vive. Chi è nato dallo Spirito, prima vive e poi insegna. La dottrina in tal modo scaturisce dalla vita. Per la mentalità di Nicodemo, maestro in Israele, l’ordine dei fattori è invece inverso: prima c’è la dottrina e poi c’è la vita. Questo è un elemento che separa nettamente le due teologie, quella farisaica e quella cristiana; fin dal prologo Giovanni lo aveva annunciato: “La vita era la luce degli uomini” (Gv.1,4).

Il paragone fra l’azione dello Spirito e quella del vento ha trasportato Nicodemo in un mondo a lui ignoto, in cui il fariseo si sente sperduto. Cessa allora d’atteggiarsi a finto ottuso, ma ancora non si vuol riconoscere ignaro apprendista, e con sincerità non priva di una certa sfiducia esclama: Come può avvenire ciò? Gesù replica con una spontanea riflessione sull’ufficio di Nicodemo: Ma come? Tu sei il maestro d’Israele, e non sai queste cose? E che cosa insegni se non tratti dell’azione dello Spirito sugli spiriti?

Dopo questo inizio il discorso di Gesù si dovette prolungare molto, non senza interruzioni e repliche da parte di Nicodemo. Giovanni, tuttavia tralascia totalmente le parole del fariseo, e delle sentenze di Gesù si fa solamente un compendio breve: Se le cose terrestri vi dissi e non credete, come crederete se io vi dica le celestiali? Nessuno è salito nel cielo se non il disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto (Nr.21,8-9) così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo affinché ogni credente in lui abbia la vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio l’unigenito, affinché ogni credente in lui non perisca ma abbia la vita eterna…

La menzione dell’ascensione allude alla vittoria definitiva del Cristo. La sfera celeste è per sua natura inaccessibile all’uomo, ma Colui che da essa proviene può indicasse quale via si percorre per arrivarci: “nessuno sale al cielo se non Colui che scende dal cielo”. Nicodemo aveva ammesso che la missione di Gesù era divina, mentre Gesù sottolinea che non solo la sua missione ma anche la sua origine è divina altrettanto.

L’obiettivo della missione del Messia appare dalle parole di Gesù come la comunicazione di una vita definitiva: “…affinché chiunque crede in Lui abbia la vita” E poiché ciò si verifica mediante l’innalzamento sulla croce, ne risulta che proprio quello è anche il momento della sua massima glorificazione. La croce per Gesù non sarà una condizione transitoria, ma sarà l’inizio di una effusione permanente di Amore e Vita. La crocifissione per Cristo si concluderà solo alla fine del mondo. Il tempo presente è il tempo della misericordia, perché le sue piaghe sono ancora aperte e dalla ferita del costato si può ancora vedere il su Cuore. Il parallelismo con l’sta innalzata da Mosè nel deserto chiarisce il senso della croce come sorgente di guarigione. Dio ha preso l’iniziativa e ha mandato suo Figlio. Gesù è il dono che Dio padre ha fatto al mondo, è la sintesi di tutti i doni.

Nonostante il colloquio, Nicodemo più tardi non fu vero discepolo di Gesù, quasi a dimostrare esatte le parole allora udite che il soffio di Dio soffia dove vuole. Tuttavia a Gesù egli rimase benevolo fin dopo la crocifissione: nel Sinedrio oserà spendere una parola in favore di Gesù (Gv.7,50-51).

“Chiunque fa il male odia la luce e non viene dalla luce perché non siano svelate le sue opere”. Il senso degli ultimi versetti è molto chiaro: non è scelta la tenebra in se stessa; è scelto soltanto il vantaggio derivante dalla sua complicità. Ma si tratta di un vantaggio ingannevole, in quanto esclude dal favore di Dio. Al contrario, chi ha impostato la sua vita in modo da non aver bisogno della complicità delle tenebre, è spontaneamente e dolcemente attirato dalla luce: ” chi opera la verità, viene dalla luce”.

Notiamo qui l’opposizione giovannea: “chiunque fa il male…chi opera la verità”. Ci si sarebbe attesi che il secondo termine fosse “chi opera il bene”. Per Giovanni, infatti, il termine che si oppone al male, non è il bene, ma la verità. Tra l’altro la verità riguarda l’operare e non il conoscere o il dire “chi opera la verità”. Questa fa certamente saltare tutte le nostre categorie moderne, dove la verità “si dice” e il bene “si fa”. Per Giovanni la verità “si fa”. Ciò significa che “essere veri” conta di più che “dire il vero”. E’ la condizione dei farisei che si sono seduti sulla cattedra di Mosè: essi “dicono” il vero, ma non sono capaci di “essere veri” (Mt.23,1.-3). Così molti si illudono di essere sinceri, solo perché dicono quello che pensano, ma non riflettono sul fatto che se la vita non è illuminata dalla grazia, anche il pensiero si oscura. E con esso la parola che pretende di essere “sincera”. Giovanni dice che la verità “si fa”, perché solo chi vive nella luce, parla parole di luce. Tutti gli altri, pur essendo sinceri, non fanno che comunicare il buio che hanno dentro.