La salvezza


Adamo e Eva - Peter Paul RubensFratelli e sorelle, parlando della salvezza pensiamo probabilmente a qualche cosa di non ben definito, che riguarda le nostre situazioni dopo la morte; qualche cosa di vago e comunque lontano nel tempo (così sperano tutti) che perciò ora non ci interessa più di tanto.

Noi associamo questo termine alla vita eterna e, pur avendo in sé un senso positivo, preferiamo non pensarci visto che si collega al momento della nostra morte. Eppure la salvezza non riguarda solo il nostro futuro ma il nostro oggi, il nostro presente.

Salvarsi significa sottrarsi da un grave pericolo e vi è un pericolo molto serio che ci minaccia,un pericolo tanto più serio e rischioso quanto più è nascosto e ignorato.

Questo pericolo è il peccato.

Il peccato è come un muro che ci separa da Dio Padre:Dio è amore, bellezza, gioia, libertà, vita e il peccato, separandoci da lui, porta nella nostra vita tutte le cose che gli sono contrarie: odio, superbia, orrore, sofferenza, angoscia, schiavitù, invidia, morte.

La conseguenza del peccato non è solo quella di finire lontani dall’amore di Dio, all’inferno cioè,ma anche un drastico inquinamento del nostro presente. Il peccato separa pericolosamente da Dio e le sue conseguenze intaccano ogni tipo di relazione e perfino l’ordine della natura.

Si dice: Cristo ci ha salvati liberandoci dalla schiavitù del peccato. Si tratta di un’affermazione centrale del Nuovo Testamento, e poi di tutta la teologia cristiana. Questa affermazione è tanto importante quanto difficile da comprendere. Devo onestamente ammettere che essa fa parte del nucleo centrale della fede neotestamentaria:La salvezza o la redenzione operata da Gesù ha come primo aspetto proprio la liberazione dal peccato e dalla legge. Una simile affermazione suona stranamente per l’uomo d’oggi, dal momento che viviamo tempi in cui si perpetua l’ideologia dell’egoismo, e conseguentemente è scomparso il senso del peccato dalla coscienza umana.

Fatta questa premessa, introduciamoci nell’analisi sul rifiuto del disegno di Dio da parte dell’uomo, solo così potremo comprendere appieno il senso del peccato, e ci serviremo della Bibbia.

ADAMO ED EVA: “Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse:”Dove sei?”. Rispose:”Ho udito il tuo passo nel giardino:ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese il,Signore Dio:”Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare”. Ripose l’uomo:”La donna che mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”.

Il Signore Dio disse alla donna:”Che hai fatto?”. Rispose la donna:”Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato”. Allora il Signore Dio disse al serpente:”Poiché tu hai fatto questo, sii maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn.3,9-15).

Questo dialogo serrato tra Dio e l’uomo fa emergere la confusione, l’oscurità, la vergogna del peccato dell’uomo. Quattro volte parla il Signore e i primi tre interventi sono domande precise: dove sei? Chi ti fatto sapere che eri nudo? Che cosa hai fatto?.

Le tre domande perentorie sono seguite da una terribile profezia che indica uno stato di inimicizia e di divisione all’interno dell’esperienza umana e della storia.

Alle quattro domande di Dio, tre volte rispondono gli uomini e con risposte timide, incerte, reticenti e,in parte, menzognere. Adamo afferma di avere paura, paura di Dio. Denuncia così un rapporto falsato con quel Dio d’amore in cui non sa più riconoscere il Padre, il misericordioso di cui non scopre più il volto. E aggiunge, accusando Eva:la donna che mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ho mangiato. Denuncia quindi anche un suo rapporto irresponsabile con la compagna della sua vita, ributtando su di lei la colpa che gli rimorde nella coscienza.

Da parte sua la donna, in timore e confusione, risponde che il serpente l’ha ingannata, mostrando un rapporto irresponsabile con se stessa, con la sua colpevolezza personale, con la chiarezza delle sue responsabilità.

Nell’insieme, Adamo ed Eva, con le loro parole, sottolineano la divisione,l’oscurità, la confusione che derivano all’uomo dallo stato di peccato, cioè di lontananza da Dio.

Dio Padre, al principio,sogna una terra di pace e di benevolenza, in cui il lavoro non è opprimente e al convivenza non è guerra;a tale sogni l’uomo si ribella e lo splendore, l’immenso valore della libertà donatagli da Colui che l’ha creato e amato,si trasforma,nelle sue mani,in strumento di negazione,in un progetto alternativo a quello che gli era stato proposto.

Ma la domanda rivolta dal Signore Dio ad Adamo:”Dove sei?” è la domanda che Dio Padre rivolge a ciascuno di noi che non abbiamo affidato pienamente la nostra vita al suo disegno d’amore: dove siamo, a causa della non fiducia o della poca fiducia in Lui?

Adamo rappresenta l’uomo di tutti i tempi, che rifiuta la condizione di creatura e di figlio, che non vuole essere figlio adottivo di Dio, che si ribella a un Dio che lo serve.

La sua paura ha segnato tutta la storia, ha segnato l’umanità che teme Dio immaginandolo come un tremendo punitore, che ha paura della morte,della sofferenza,do ogni forma di privazione o di pericolo. Rifiutando Dio, noi e le nostre società non andremo lontano e le conquiste del progresso potranno essere addirittura la nostra babele e la nostra morte.

Nelle risposte che Adamo ed Eva danno al Signore noi troviamo che manca, in realtà, l’unica parola adeguata, l’unica parola che stenta a salire dalle labbra di ogni uomo,proprio perché si è perso di vista il vero volto di Dio:”Ho peccato contro di te!”;è la risposta semplice di Davide, nel Salmo 50.

Ancora nei primi capitoli della Genesi, la Bibbia ci presenta altre tre tipologie del peccato. Esse mostrano come i tre rapporti fondamentali che costituiscono la pienezza dell’uomo, l’ideale dell’umanità (il rapporto con Dio, il rapporto tra gli uomini e il rapporto con la terra) venga disconosciuto e pervertito.

CAINO E ABELE: “Dopo un certo tempo,Caino offrì i frutti del suolo in sacrificio al Signore;anche Abele offrì i primogeniti del suo gregge e il loro grasso.Il Signore gradì Abele e la sua offerta,ma non gradì Caino e la sua offerta.Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto.Il Signore disse allora a Caino:”Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto?Se agisce bene,non dovrai forse tenerlo alto?Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta;verso di te è il tuo istinto,ma tu dominalo”.(Gn:4,3-7).

Che cosa ha fatto Caino? Probabilmente la sua offerta era imperfetta o avara,non dettata da riverenza e amore verso il Signore:Tuttavia il peccato prende in lui forza e violenza quando egli si rattrista e non riesce ad accettare che il fratello sia migliore di lui, non riesce a vivere in pace con uno che ha un destino diverso dal suo.

Caino non realizza quell’unità dei diversi che costituisce l’umanità e,anziché sentirsi spronato a salire al livello di Abele, vorrebbe che il fratello scendesse al suo. Vive la tristezza dell’invidia, che è una delle cause più gravi dello scatenarsi di guerre, di conflitti sociali,delle forme di razzismo che devastano l’umanità.Forme drammatiche ai nostri giorni e cresceranno di violenza in Europa a mano a mano che aumenterà il numero di persone di altre razze,di altre culture perché faremo fatica a vivere la fraternità, nell’ideologia dell’egoismo, con gli africani, con gli arabi, con gli asiatici, a vivere la dimensione dell’accoglienza dell’altro, a cercare lo scambio, a rallegrarci del bene dell’altro.

Caino ha perduto il senso,il valore del rapporto con il fratello e giunge ad uccidere.In tale situazione,non è più in grado di ascoltare la voce di Dio,tanto è vero che Caino la banalizza,se ne prende gioco. Allora il Signore Dio disse a Caino:”Dov’è Abele, tuo fratello?”. Rispose:”Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”.

IL RACCONTO DEI FIGLI DI DIO E DELLE FIGLIE DEGLI UOMINI: “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero le loro figlie, i figli di Dio dissero che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore Dio disse:”Il mio Spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi”(Gn.6,1-4).

Come possiamo notare il brano evoca leggende e saghe antiche di cui è difficile dire quale sia stato il contenuto vero.Lo scrittore sacro però ritiene importanti questi brandelli di memorie per offrirci un quadro della dimenticanza,perdita e confusione di rapporti fondamentali.

Il primo è di nuovo sul tema della fraternità,sul rapporto uomo-donna:”Ne presero per mogli quante ne vollero”. Leggiamo qui l’inizio della considerazione della donna quale oggetto,quale cosa; non come un “tu” con cui avviene uno scambio unico ed indivisibile.La donna è vista come forma di possesso, non nella sua dignità pari a quella dell’uomo. Ma c’è un altro aspetto non meno inquietante ed è stato dato dalla menzione un po’ oscura dei giganti,quasi che l’umanità si sia illusa e si possa illudere di creare uomini con poteri divini, superuomini.

Pensiamo alla tremenda tentazione della biotecnologia, prendere in mano la vita,moltiplicarla,creare nuove razze di umanità,nuove forme del vivere, immaginare che la terra possa essere oggetto di sfruttamento totale e che l’uomo debba vivere in tubi stellari. Tutti progetti che la scienza, credendosi onnipotente,elabora senza più fermarsi e smarrendo il rapporto equilibrato dell’uomo con la terra.

E’ quindi la perdita dell’armonica relazione uomo-terra,uomo-corpo,dell’attenzione ai ritmi dell’esistenza,che certamente sono in continua evoluzione e l’uomo deve saper dominare,ma che non possono esser impunemente distrutti.

LA TORRE DI BABELE: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese del Sennaar e vi si stabilirono.Si dissero l’un l’altro:”Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli sul fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero:”Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome,per non disperderci sulla terra”. Ma il Signore Dio disse:”Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore Dio li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché il Signore Dio confuse la lingua su tutta la terra e di là il Signore Dio li disperse su tutta la terra. (Gn.11,1-9).

Come possiamo osservare è un racconto misterioso,allusivo,pieno di simboli e si riferisce a situazioni originarie dell’umanità; in questo senso è esemplare. Dice non soltanto ciò che è avvenuto, ma ciò che può avvenire, che avviene.

Che cosa è accaduto? Il punto di partenza è una situazione di perfetta comunione:”Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole”.

A un certo punto però si scoprì il mattone: mentre prima si costruiva con il legno, o mettendo le pietre una sull’altra facendo una casa al massimo di un piano, con il mattone, strumento ben maneggevole e di costruzione leggera, l’uomo comincia a pensare di non avere più limiti alla sua possibilità operativa e di potere arrivare addirittura in cielo.

Di per sé siamo di fronte a un fatto tecnico che non è buono né cattivo. Tuttavia vi leggiamo dietro l’entusiasmo, la presunzione, l’ambizione che viene dalla scoperta; un po’ come oggi la scoperta del computer con cui possiamo imitare l’intelligenza e tenere il mondo in mano.

“Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Dalla soddisfazione della scoperta del mattone nasce un progetto esorbitante, la pretesa di un’impresa colossale, destinata a durare per sempre, a significare l’autosufficienza umana, la capacità che l’umanità ha di edificare se stessa in assoluto.

Siamo noi che ci diamo gloria e siamo noi gli arbitri del nostro destino presente e futuro. Sottilmente, senza una dichiarazione esplicita, laidamente, è rotto il contatto con Dio: Perché, in verità, è Dio che dà un nome, che lancia un ponte verso l’uomo.

Il peccato dunque non consiste nel proposito di costruire una torre, bensì nella rottura della coordinata del timore di Dio, della soggezione dell’uomo al Signore del cielo e della terra.

Il testo biblico non fa applicazioni morali, ma le cogliamo nella conclusione del castigo divino:”Scendiamo e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

In tale tentazione noi ci siamo dentro in pieno, molto più che nei secoli passati: le continue scoperte, infatti, ci fanno ritenere di non dover più dipendere da nessuno, di poter dare il nome a noi stessi. Quanto più assumiamo responsabilità civili, sociali, politiche, scientifiche, tanto più ci troviamo immersi in una mentalità che ha perduto le coordinate, le ha confuse, spingendoci a vivere situazioni che vanno dall’esaltazione alla depressione, situazioni di sfiducia nella vita, di scoraggiamento, di amarezza perché dalla voglia sfrenata di possedere tutto si passa facilmente al senso della propria povertà fisica, morale, spirituale e si finisce per non capire più nulla.

Quello della torre di Babele è il racconto di una colpa collettiva; mentre il rifiuto del disegno di Dio da parte di Adamo ed Eva era espresso in termini individuali.

La radice di questo peccato è la pretesa dell’uomo di essere il centro di tutto , di non avere bisogno di Dio, di staccarsi dalla dipendenza creativa, magari senza negarla, ma agendo per proprio conto. E’ il fenomeno odierno di guazzabuglio culturale: idee, pensieri, progetti, filosofie che contrastano tutte con l’idea di servire l’uomo.

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