Chicco di senapa

L FATTO DELLA VITA

“Sono stato io che, dieci anni fa ho messo un nocciolo di albicocca in fondo all’orto”, disse il nonno al nipotino.”Per questo, adesso tu vedi questo albero così rigoglioso, che dà frutti per la famiglia intera”.

Esistono cose nella vita, cui non si dà importanza: una sola goccia di profumo riempie tutta la stanza di un’aria gradevolissima; un pizzico di fermento fa lievitare tutta la pasta del pane; qualche goccia di quaglio è sufficiente per far coagulare molti litri di latte; l’esplosione di un solo atomo distrugge un’intera città; un chicco di granoturco produce una pannocchia piena di chicchi; un piccolo errore nel conteggio ha fatto crollare edifici e cavalcavia ecc..ecc..

Sono piccole cose, che generano grandi cose: Così avviene nella natura, così succede pure nella vita. Così è oggi, così era al tempo di Gesù.

Nota: Chi disprezza il seme, perché tanto piccolo, non arriverà mai a vedere i frutti, che potrebbero saziare la fame. Ci sono tanti piccoli semi nella nostra vita, di cui neppure ci accorgiamo. Per cui, corriamo il rischio di perdere il futuro che andrà a vantaggio dei nostri figli.

Gesù ci viene in aiuto, per chiarire il problema. Ascoltiamo ciò che egli dice.

DAL VANGELO DI MARCO 4,30-32 E MATTEO 13,33 LEGGIAMO LE PARABOLE.

Commento

Le due parabole sono un invito alla speranza e alla fiducia che si fondano non sui calcoli delle probabilità o sulle previsioni della futurologia, ma sulla fedeltà e potenza di Dio che si è manifestata nella storia.

Nonostante gli umili inizi dell’azione di Dio per rendere manifesta e operante la sua giustizia e il trionfo della libertà della persona e nell’opera di Gesù, la sua manifestazione finale condurrà tutta la storia umana nella piena giustizia e libertà.

Nel breve racconto compaiono tre personaggi:il seminatore (sottinteso), il seme, gli uccelli. Tutta l’attenzione cade però sul seme. Va precisato che il Regno non è paragonato al seme in questo contesto, ma alla storia del seme. Essa,ovviamente, non può che svolgersi in tre tempi: la semina, la crescita, l’albero fatto. Nella parabola si parla di tutti e tre i momenti, ma l’attenzione è richiamata soltanto sul primo e sull’ultimo: sulla proverbiale piccolezza del seme e sulla straordinaria grandezza dell’albero. L’essenziale è racchiuso nella opposizione “il più piccolo-il più grande”. Nulla viene detto del processo di sviluppo. Stando a questa parabola, non c’è traccia di evoluzione nel cammino del Regno, ma immediatezza.

Lo scopo della parabola non è di consolare i credenti che vivono in un oggi senza senso, deludente e scoraggiante, assicurando loro un avvenire grandioso che li ripagherà di ogni fatica. Lo sguardo verso il futuro è volto a spiegare il senso positivo, ma nascosto, dell’oggi. Certamente non si comprende l’oggi se non si guarda al futuro, come non si comprende la qualità del,seme se non si conosce l’albero. Tuttavia, non è l’albero che dà la forza al seme, ma viceversa.

L’albero fa semplicemente capire la forza che il seme già possiede in se stesso.

Così è l’inizio, l’evento di Gesù, nell’economia del Regno. La grandiosità del Regno futuro non è il “riscatto” del fallimento di Gesù, ma il modo in cui appariranno la forza e lo splendore racchiusi nella sua storia.

Analogamente si deve dire dell’oggi nella storia. Fra la grandezza del futuro e la piccolezza dell’oggi c’è un nesso. Il contrasto sottolineato dalla parabola non significa rottura, tanto meno sostituzione, ma spiega la natura della connessione, la sua impensabile profondità. Una lettura intelligente della parabola esige che insieme (e non separatamente) si guardi al contrasto e al nesso. Letta in tal modo, si comprende che la parabola non suggerisce di guardare al domani per consolarci della mancanza di senso dell’oggi, ma per scoprire il senso che già appartiene all’oggi.

La parabola è rivelazione prima che avvertimento. Ma è anche avvertimento.

Nell’ambito del Regno di Dio i criteri della grandezza e dell’apparenza non servono per valutare ciò che conta e ciò che non conta, ciò che un futuro e ciò che non lo ha. I discepoli non devono fare propri i criteri del mondo, inseguendo sogni di grandezza e confondendo la forza del Regno con il fascino del potere o del numero o del prestigio. Al contrario, la parabola è un richiamo al valore decisivo delle occasioni normali, umili e quotidiane, che formano il tessuto abituale della vita. La sua apparente banalità non deve diventare motivo di trascuratezza. Il Regno di Dio è qui, in questa realtà, soprattutto nell’organismo visibile del mondo interiore invisibile.

Nel NT il lievito, che fa fermentare la pasta, è per lo più una immagine negativa: basta un poco di male per rovinare una grande quantità di bene (1^Cor.5,7-8; Gal.5,7-10; Mt.16,6-12). Sorprendentemente la parabola rovescia l’immagine. (Capovolgere le immagini è quasi sempre segno di genialità). Cioè, serve a sorprendere e catturare l’attenzione. E, soprattutto, serve a mostrare il senso nascosto, non ovvio, delle cose. Il significato recondito della parabola è che anche il bene è contagioso, non soltanto il male. Forse, anzi senza forse, non è un caso che Gesù abbia usato il verbo “nascondere” per descrivere il gesto della donna che mette il lievito dentro la pasta. La presenza del Regno è nascosta, velata, come quella del lievito nella farina.

Gesù ha racchiuso l’intera parabola in una sola frase. Così la narrazione è agile, essenziale, tutta orientata al centro. Gesù non concede distrazioni. Il centro è il contrasto tra la piccola quantità di lievito e la grande massa di farina. La meraviglia nasce dal fatto che una realtà tanto piccola ne produca una tanto grande. Il punto è l’insospettata forza del lievito. Di tutto il resto si tace: neanche un accenno, per esempio, alla progressività della fermentazione o al tempo che essa richiede. Già questo basta a farci comprendere che la lievitazione di una così grande massa di farina non va sbrigativamente identificata con una progressiva, e infine totale, cristianizzazione del mondo. Il lievito trasforma, la sua forza è sorprendente, ma non si deve pretendere di osservare i progressi momento per momento. Solo se si ha la pazienza di attendere fino al mattino, ci si accorgerà che, durante la notte, il lievito ha fatto fermentare la pasta.

La grande quantità di pasta fermentata svolge la stessa funzione del grande albero nella parabola precedente. Non intende distoglierci dall’inizio né consolarci per la sua pochezza, ma rivelarci la sua insospettata potenzialità. Perciò, anche questa parabola è teologica, rivelazione prima che avvertimento.

Nell’inizio c’è già tutta la forza trasformante che si constaterà alla fine: questa è la rivelazione. L’evento di Gesù, e ancora oggi il Vangelo nel mondo, può sembrare piccola cosa (basta guardarsi in giro), ma non è così. Di qui l’avvertimento: non bisogna lasciarsi sedurre dalla grandezza, né farsi abbattere dalla piccolezza. La forza del Vangelo è diversa da quella del mondo: diversa perché nascosta, mentre la potenza mondana s ostenta; e diversa perché straordinaria, al di sopra di qualsiasi possibilità che il mondo possa vantare.

Amen,alleluia,amen.