Vangelo di Luca – Cap. 16,1-9 al 16,19-31

Valentin de Boulogne - Tributo a Cesare

L’amministratore astuto.

Capitolo 16,1-9

*Poi Gesù diceva ai suoi discepoli: C’era un uomo ricco che aveva un amministratore il quale gli fu denunciato come dissipatore dei suoi beni. *Egli lo mandò a chiamare e gli disse: Che cos’è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua gestione, perché ormai tu non puoi più amministrare. *Allora il fattore ragionò tra sé: Che farò ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare? Non ho la forza; mendicare? Mi vergogno. *So ben io quel che farò perché, quando sarò licenziato dall’incarico, ci sia chi m’accolga in casa sua. *E chiamati a uno a uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Quanto devi al mio padrone? *Quello rispose; Cento misure di olio. Ed egli: Ecco il tuo contratto, presto, siediti e scrivi cinquanta. *Poi chiese a un altro: E tu quanto gli devi? Quello rispose: Cento misure di grano. Ed egli: Ecco il tuo contratto, scrivi ottanta. *Il padrone lodò l’impiegato truffatore, perché aveva agito con astuzia. In effetti gli uomini che appartengono a questo mondo sono più avveduti nei loro affari di quelli che appartengono alla luce. *Perciò io vi dico: Usate la ricchezza disonesta per farvi amici che vi accolgano, quando essa verrà meno, nelle dimore eterne.

Nella parabola dell’amministratore infedele il cristiano diventa l’uomo del futuro: la sua vita essenzialmente tensione, dinamismo, apertura e ricerca. Dio esige da noi, come amministratori dei suoi beni, una prova d’accortezza, consistente nel combinare l’oggi col domani, il provvisorio di quaggiù con il nostro futuro, l’adesso con il non ancora. Questa combinazione deve avvenire nella misura giusta, senza che un tempo danneggi l’altro.

Certo che la parabola dell’amministratore astuto suscita sempre perplessità: com’è possibile che il vangelo presenti un uomo disonesto quale modello da cui imparare? Dobbiamo, innanzitutto, tenere presente l’ambiente palestinese e i suoi costumi. I grandi proprietari terreni, per lo più stranieri, avevano alle proprie dipendenze degli amministratori locali, ai quali lasciavano grande libertà e piena responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il profitto pattuito, ma, una volta assicurato questo profitto, avevano la possibilità (aumentando il prezzo) di realizzare guadagni personali.

Ed è in questa situazione che il nostro latifondista riceve delle denunce a carico del fattore al quale aveva affidato la contabilità dell’azienda. Di qui il controllo dei conti e la minaccia del licenziamento per l’amministratore truffaldino. Per comprendere il modo di agire di costui si deve tenere conto del suo ruolo e delle sue condizioni di lavoro. Generalmente, come abbiamo già detto, il fattore di un latifondo godeva di una notevole libertà e responsabilità. Il compenso per la sua prestazione era ricavato dai guadagni che egli riusciva a fare con prestiti ad alto interesse. Così in un momento critico egli agisce con estrema decisione e accortezza valendosi della sua posizione per assicurarsi un avvenire e rifarsi una vita.

Il racconto evangelico riporta due soli esempi della manovra architettata messa in atto dall’amministratore: quella a favore del grossista che ha comperato 100 misure di olio e quella a favore del mercante che ha comperato 100 misure di grano. In concreto l’amministratore che tiene tra le sue carte i contratti dei debitori, condona o abbuona circa il 50% al primo e il 20% al secondo debitore. Così facendo si procura amici che lo aiuteranno nella difficoltà, perché lui ha rinunciato alla propria parte di profitto, senza danneggiare il padrone. Tuttavia è inutile porre la questione in questi termini: ladro sì, ladro no! La parabola, infatti, non attira l’attenzione sui mezzi a cui il fattore ricorre per farsi degli amici.

Gesù vuole lasciarci impressionare dalla prontezza e dalla furbizia con cui il fattore cerca, senza un attimo d’esitazione, di mettere al sicuro il suo avvenire. Appena si accorge che il suo futuro è in pericolo, il fattore si dimostra astuto, voltando a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è venuto a trovarsi. Ecco, il vero centro della narrazione è racchiuso nella motivazione che sorpassa l’involucro della parabola e inizia l’applicazione ai discepoli. La sentenza di Gesù ha un tono pessimistico: egli oppone la decisione e la scaltrezza con la quale agiscono gli uomini legati al sistema presente, “figli di questo mondo”, all’indecisione e ignavia dei “figli della luce”. Ebbene, il cristiano non dovrebbe essere altrettanto pronto, intelligente e risoluto nell’assicurarsi nel tempo presente il Regno di Dio? E possiamo comprendere perché il padrone dell’azienda abbia parole d’elogio per l’abile manovra del suo dipendente, il quale resta in ogni caso un truffatore per il suo modo di approfittarsi. In definitiva Gesù invita i discepoli ad impegnarsi nel mondo sociale ed economico, ma con criteri diametralmente opposti a quelli del sistema del peccato, al quale s’ispira l’amministratore truffaldino. I discepoli devono servirsi del capitale “mammona”, che è comunque e sempre iniquo, poiché frutto d’accumulo e fonte di falsa fiducia, per creare una solidarietà che va oltre la sfera e gli interessi mondani. In altre parole devono aiutare i poveri, i quali così diventano loro amici e clienti presso Dio. E’ questa la decisione saggia e coraggiosa che deve distinguere i discepoli: garantirsi il futuro vero finché ne hanno la possibilità, ma con criteri alternativi rispetto a quelli del sistema mondano.

La riflessione di questo brano mi stimola di mettere un titolo: Gesù legge il giornale. Una lettura della cronaca in chiave di sana autocritica, dal nostro punto di vista. Il paragone delle ultime due righe è urtante. “…in effetti gli uomini che appartengono a questo mondo sono più avveduti nei loro affari di quelli che appartengono alla luce. Perciò io vi dico: Usate la ricchezza disonesta per farvi amici che vi accolgano, quando essa verrà meno, nelle dimore eterne”.

Se non si trovasse nel vangelo, ci sarebbe da gridare all’autolesionismo. Altrove l’astuzia del serpente ci è proposta come modello, in connubio a prima vista sconcertante con la mitezza della colomba. Seguire Gesù, luce del mondo, significa essere scaltramente risoluti. La gente che non sa perdere la propria vita per guadagnarla non può tenergli dietro. Un artista perde la testa per l’arte e un innamorato è disposto a fare le cose più strane per la sua ragazza. Solo noi, amatori di Dio, dovremmo “guardarci dalle esagerazioni, prendere le cose con calma”? I santi erano d’altro parere. E due righe di fuoco sulla nostra giornata grigia non ci stanno poi male.

Vera e falsa fiducia: l’uso del denaro.

Capitolo 16, 10-15

*Chi è degno di fiducia in un affare di poca importanza, è degno di fiducia anche in uno importante; chi truffa in un affare minimo, è truffatore anche in quelli grandi. *Se dunque non siete stati degni di fiducia riguardo all’uso della ricchezza disonesta, chi vi affiderà il vero bene? *E se non siete stati degni di fiducia nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? *Nessun servo può servire a due padroni: infatti o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure parteggerà per l’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e al denaro. *I farisei, che erano attaccati al denaro, udivano tutte queste cose e lo deridevano. *Egli disse loro: Voi vi mostrate giusti agli occhi degli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori; ciò che per gli uomini è eccelso, è detestabile davanti a Dio.

A ridosso della parabola dell’amministratore astuto, 16,1-9, Luca raccoglie alcune sentenze che suggeriscono una successiva interpretazione e anche una rettifica del fattore truffatore. Gesù stesso commenta il brano con il ritorno agli argomenti della parabola: l’importanza delle scelte di fondo, la fedeltà nelle piccole e nelle grandi cose. Ma soprattutto l’evangelista insiste sul tema, a lui più congeniale, della povertà e del distacco. Le ricchezze umane sono chiamate ingiuste, non perché cattive in se stesse, ma perché distolgono l’uomo dalla ricchezza vera che è quella davanti a Dio. L’invettiva finale contro i farisei viene giustificata dal fatto che erano avari: amici del denaro.

Nei primi versetti si parla di “fiducia”, o “fedeltà”. Il brano costruito secondo i criteri della filastrocca, è un piccolo test della fedeltà dei discepoli: l’uso del denaro è la cartina di tornasole dell’autenticità cristiana. Infatti si contrappongono simmetricamente due sfere: affari di poca importanza o ricchezza ingiusta da una parte, e affari di massima importanza o il vero bene e ricchezza dall’altra. In latri termini: il discepolo che si dimostra fedele nell’uso della ricchezza o dei beni terreni, offre sufficienti garanzie per ricevere le responsabilità nelle comunità e infine il bene per eccellenza: il regno di Dio.

Ma che cosa significa essere “fedeli” on degni di fiducia nella ricchezza ingiusta? Il commento non la scia equivoci: “Nessun servo può servire a due padroni…Non potrete servire a Dio e al denaro” (Mammona). Il termine può essere tradotto con “proprietà o potenza”, e come tale esso viene contrapposto a Dio. Non è dunque soltanto il denaro in senso tecnico, ma il potere economico che sequestra l’uomo in modo totalizzante, rispetto al servizio di Dio. In pratica “mammona”, rappresenta l’idolatria; quindi la fedeltà del discepolo nell’uso del potere del denaro, è la libertà di servire Dio con tutto il cuore. Libertà e disinteresse che lo rendono degno di fiducia per i compiti di servizio a favore dei fratelli della comunità.

I farisei, che udirono il commento di questi principi, trovarono che tutto ciò era sciocco: “…udivano tutte queste cose e lo deridevano”. E dicevano di Gesù: Ma che modo di parlare è questo? Buttare via il proprio denaro per restare poi nudi come una lumaca senza guscio? Parole che proferite da un pazzo, ma anche bestemmie da eretico! Infatti, la legge ebraica parlava ben chiaro: la prosperità materiale era una benedizione di Dio e un premio per chi osserva le norme della morale religiosa (Lev. 26, 3), mentre la povertà e la miseria erano il retaggio dei peccatori secondo l’antica tradizione ebraica (Giob.8,8; 20,4; 27, 13). Dunque se Gesù era povero, pensavano, peggio per lui: ciò significava che Dio non gli concedeva il premio dei giusti perché non lo meritava; quindi la smettesse di sconvolgere la legge e la tradizione.

Allora Gesù, conoscendo i loro pensieri e riferendosi al vero motivo dei farisei in difesa delle ricchezze, rispose loro: “Voi vi mostrate giusti agli occhi degli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori; ciò che per gli uomini è eccelso, è detestabile davanti a Dio”.

La Legge allettava i suoi seguaci anche con la promessa delle ricchezze; ma dopo Giovanni il Battista la Legge è stata sostituita dal regno di Dio, che non promette più beni materiali ed esige anzi la violenza morale di distaccarsi da loro. Del resto lo stesso spirito intimo della Legge antica non induceva ad attaccarsi alle ricchezze ma a superarle, perché esse erano proposte come mezzo e non come fine: chi si fermava a questo mezzo allettante, tradiva lo spirito della Legge. Questo è l’insegnamento che Gesù illustrò con la parabola. La parola di Dio ci chiede di avere idee chiare sul ruolo che il denaro ha nella vita. Il capitalista pensa che il denaro è dei ricchi, il comunista affermava che il denaro doveva averlo in mano lo Stato; il cristiano sa che il mondo con tutti i suoi beni è di Dio. Persone e stati ne sono semplici amministratori. Tutto (non solo i beni economici) viene da Dio in funzione della comunione umana. E’ il nostro egoismo che ne fa motivo di sfruttamento. Ognuno di noi da solo non può certo rivoluzionare un sistema economico come il nostro basato sulla competizione. Ma la testimonianza di un gruppo di cristiani, anche ridotto, è un punto luminoso. Parecchi punti possono intessere attorno al mondo una rete di luce che lo farà vedere diversamente. Anche in questo caso la testimonianza cristiana è essenzialmente comunitaria. Il cristiano non vuole avere più del necessario, perché gli altri non debbano mancare del necessario.

La legge e il regno di Dio.

Capitolo 16,16-18

*La legge e i profeti arrivano fino a Giovanni; da allora è annunciata la buona notizia del regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi. *E’ più facile che periscano il cielo e la terra anziché cada un solo trattino della legge. *Chiunque ripudia la propria moglie e sposa un’altra donna commette adulterio, e chi sposa una donna ripudiata dal marito commette adulterio.

Il vangelo non è lo sviluppo logico e sistematico di una ideologia religiosa e neppure un manuale ordinato dell’insegnamento di Gesù. La prova è data dalle tre sentenze di questo breve brano, collocate a questo punto senza un evidente nesso tematico o letterario. La prima sentenza riassume sinteticamente la visione della storia salvifica che l’evangelista ha privilegiato: Giovanni il Battista segna il punto di demarcazione tra l’antica storia di attesa e promessa, “legge e profeti”, e il tempo nuovo inaugurato da Gesù. Questo è il tempo del regno di Dio, al quale con forza irresistibile tutto tende. L’evangelista vede questo nuovo movimento avviato dall’annuncio del regno nell’accorrere delle masse a Gesù, nella conversione dei peccatori. Tuttavia l’ingresso nel regno esige una decisione seria e una forte dose di perseveranza e di fedeltà.

Segue poi una parola contro la pignoleria dei legisti che si aggrappano disperatamente alle minuzie della legge. Invece Gesù sentenzia il valore permanente della legge come manifestazione della volontà di Dio, “E’ più facile che periscano il cielo e la terra anziché cada un solo trattino della legge”. L’interpretazione di Gesù è vera, se si tiene conto del versetto relativo all’adulterio che segue. Gesù infatti manifesta l’intenzionalità originaria della legge e dà la possibilità di attuarla. Non esiste eccezione o dispensa nell’impegno di amore tra uomo e donna. Questa non è un’interpretazione della legge più severa di quella delle scuole giuridiche e teologiche dei giudei, ma una reale possibilità data a quelli che accolgono la buona notizia del regno di Dio e si sforzano di entrarvi.

Parabola del ricco e di Lazzaro.

Capitolo 16,19-31

*C’era un uomo ricco che portava vesti splendide e raffinate e tutti i giorni banchettava sontuosamente. *E c’era un povero, di nome Lazzaro, che giaceva, coperto di piaghe, all’ingresso del suo portone, *bramoso di sfamarsi con ciò che veniva scartato dalla mensa del ricco; ma perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. *ora il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo; anche il ricco morì e fu sepolto. *E dal soggiorno dei morti, immerso nei tormenti, questi, alzando gli occhi, vide Abramo da lontano e accanto a lui Lazzaro. *E gli gridò: Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del suo dito per rinfrescare la mia lingua, perché io sono tormentato tra queste fiamme. *Ma Abramo: Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita come Lazzaro i suoi mali; ora egli è consolato e tu sei tormentato. *Inoltre tra noi e voi c’è un grande abisso, cosicché, anche volendo, non si può di qui passare da voi, né da costì può alcuno passare da noi. *Quello replicò: Allora, Padre, ti prego, manda Lazzaro a casa di mio padre, *perché ho cinque fratelli; li avverta affinché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. *Gli rispose Abramo: Hanno Mosè e i profeti; li ascoltino. *E quello ancora: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si convertiranno. *Gli rispose Abramo: Se non ascoltano Mosè e i profeti, anche se uno risuscitasse dai morti non si lascerebbero convincere.

Gesù narra di due giudei, uno ricchissimo, l’altro poverissimo. Il ricco indossava vesti raffinate e splendide, probabilmente di porpora di Tiro e di bisso d’Egitto, e ogni giorno organizzava conviti interminabili. Il povero, a cui era stato imposto il nome comunissimo di Lazzaro, giaceva ricoperto di piaghe sulla strada nei pressi dell’atrio del ricco; in quella posizione lui percepiva il lontano frastuono dei conviti del ricco e suo sogno supremo sarebbe stato saziarsi di ciò che cadeva da quelle mense, tuttavia nessuno badava a lui: anzi, pure in quella sua povertà così nera, pare che lui recasse qualche utilità al ricco, dal momento che i cani ogni tanto al passargli davanti di fermavano a leccarne il marciume delle piaghe che gli ricoprivano il corpo. Ma, come Dio volle, morirono ambedue, e allora le parti si invertirono. Morto prima Lazzaro, vennero gli angeli e lo portarono di peso su in lato nel luogo della felicità eterna deponendolo nel seno di Abramo, fra le braccia del privilegiato “amico di Dio” capostipite degli ebrei. Morto poi il ricco, fu sepolto con grande sfarzo; ma fu anche l’ultima esternazione di lusso, giacché dalla sua splendida tomba lui rotolò giù nella Sheol (dimora dei morti in ebraico), dove si trovò immerso in atroci tormenti.

Delineate le due figure e le due situazioni, la narrazione prosegue capovolgendole: il povero è nel seno di Abramo e il ricco all’inferno, fra i tormenti. Descrivendo il regno dei morti, Gesù si adatta alla mentalità e alle immagini del suo tempo. La forza della parabola non sta certamente in questo adattamento. Gesù vuole piuttosto affermare che Abramo non riconosce tutti gli ebrei come suoi figli. Alcuni maestri (Rabbì) pensavano che i grandi meriti di Abramo sarebbero stati a beneficio di tutti i discendenti; escludendo alcune categorie di delinquenti. Gesù non è di questo avviso. Non basta l’appartenenza a un popolo per essere salvi. Decisivo è il modo in cui si è vissuti.

Inoltre c’è una seconda nota polemica: Molti pensavano: ognuno ha la vita che si merita, il ricco la ricchezza e il povero la povertà (non si ragiona così anche oggi?). La ricchezza era infatti ritenuta segno della benevolenza divina. Gesù contesta una simile opinione: egli sa che Dio prende le difese dei diseredati. Capovoltasi la situazione, il ricco alzando gli occhi dal luogo del tormento vede in alto Abramo che sorregge dolcemente in seno il povero Lazzaro. Allora gridò: “Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del suo dito per rinfrescare la mia lingua, perché io sono tormentato tra queste fiamme”. Ma Abramo gli rispose: “Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita come Lazzaro i suoi mali; ora egli è consolato e tu sei tormentato”. Abramo, il giusto, fa rilevare la giustizia della doppia sorte: poiché il ricco è stato dichiarato giusto davanti agli uomini dalle sue ricchezze e la sua religione è consistita tutta in questo, lui è già stato ricompensato sufficientemente; poiché d’altra parte ciò che è eccelso tra gli uomini è abominio davanti a Dio, adesso di fronte a Dio le sue passate ricchezze diventano per lui motivo di sofferenza. Precisamente il contrario, per la ragione inversa, avviene di Lazzaro. Del resto le nuove sorti sono assolutamente immutabili, e Abramo non può fare niente anche per uno della sua razza che non stia lassù vicino a lui: “Inoltre tra noi e voi c’è un grande abisso, cosicché, anche volendo, non si può di qui passare da voi,….” .

Il ricco, dal luogo del suo tormento, ripensa ai suoi fratelli e al padre e desidera che almeno essi sfuggano in futuro alla sorte presente di lui. A tale scopo prega nuovamente Abramo, “…manda Lazzaro a casa di mio padre, ho cinque fratelli, li avverta…” Neppure questa richiesta è accolta da Abramo, il quale secco risponde: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, anche se uno risuscitasse dai morti non si lascerebbero convincere”, in altre parole, si regolino la condotta conformemente alle norme di Mosè e dei profeti consegnate nella Sacra scrittura, e ciò basterà per evitare il luogo del tormento. Purtroppo i fratelli continuano a vivere senza sospetto nella loro ricchezza. E’ proprio il loro vivere da ricchi che li rende ciechi di fronte al povero (eppure così vicino) e di fronte alle Scritture (eppure così chiare). Il ricco non osteggia Dio e non opprime il povero, semplicemente non li vede. E’ questo il grave pericolo della ricchezza ed è questa la principale lezione della parabola. Il ricco vorrebbe che i suoi fratelli fossero avvertiti. Ma a che servirebbe? Hanno già i profeti e Mosè, dunque no occorre altro. Non sono le voci che mancano, ma la libertà per comprendere, e insieme la lucidità per vedere. Il vivere da ricchi rende ciechi.

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