Vangelo di luca – Cap. 9, 1-6 al 9, 56-62

Caravaggio - cena Emmaus

La missione dei dodici.

Capitolo 9,1-6

*Chiamati a sé i dodici, Gesù dette loro potere e autorità su tutti i demoni e di guarire le malattie. *E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a risanare gli infermi. *Disse loro: Non prendete nulla per il viaggio; né bastone né bisaccia, né pane, né denaro, né due abiti per ciascuno. *In qualunque casa entriate, là rimanete, e da quella poi riprendete il cammino. *E se non vi ricevono, uscendo da quella città scuotete persino la polvere dai vostri piedi; sarà una testimonianza contro di loro. *Ed essi, partiti, andavano per villaggi, annunciando dovunque la buona notizia e operando guarigioni.

Gesù, in 9,1-6 trasmette ai suoi dodici apostoli l’autorità sui demoni e sulle malattie, autorità che egli ha ricevuto dal Padre. Luca segue una linea di conferimento: chiamata, investitura, invio. Si tratta di una linea di continuità tra la missione di Gesù e quella dei dodici. Agli apostoli viene dato il potere di cacciare i demoni e di guarire ogni malattia. Sono costituiti così esorcisti e taumaturghi, mandati a realizzare nella storia i segni concreti della venuta del regno. Né più né meno del maestro, di cui i capp. precedenti hanno narrato l’attività liberatrice e risanatrice. Così al Messia succede la comunità messianica. Ma resta invariabilmente presente e operante il potere messianico di liberazione dell’uomo.

Gesù affida ai suoi discepoli le sue stesse prerogative messianiche. I Dodici sono mandati a realizzare nella storia i segni concreti della venuta del Regno. Al Messia dunque succede la comunità messianica. Il “potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità” non è una prerogativa personale ma dono di Gesù stesso: non c’è missione del discepolo senza questo legame profondo con il maestro. E’ lui che invia, è lui che dona la forza per sostenere la missione, è lui che conferma la missione con i segni…L’elenco dei Dodici non è messo qui per caso…Ci dice che la missione non è opera di solitari; ci dice che Gesù chiama un gruppo, una comunità ad annunciare e costruire ( con parole ed opere) il Regno; ci dice che diversi sono i ministeri e i carismi; ci dice che non occorre essere santi o super eroi per partire; ci dice che Gesù conosce profondamente i suoi.

Il comportamento del missionario. Ancora una volta il Vangelo pone l’accento che la missione è frutto di una “istruzione”, è mettere in pratica la parola di Gesù. I vv. 1-6, esprimono la volontà di Gesù riguardo al compito dei dodici. Il missionario deve dunque essere fedele alla volontà di Gesù, deve essere docile alle sue direttive. Ma in concreto cosa deve fare il missionario?

Deve rivolgersi alle “pecore perdute della casa d’Israele”; deve predicare che il “regno dei cieli è vicino”, ovvero che si è fatto vicino all’esistenza umana; deve guarire gli infermi, liberare dai demoni, ecc…Sono, questi, i segni dell’era messianica. Il compito del missionario non si limita a proclamare il regno, ma vuole suscitarne i germi anticipando la realtà di salvezza e di liberazione che esso significa. Tutto ciò gratis, in pratica nella consapevolezza di avere ricevuto senza merito un dono grande da condividere e testimoniare. La condivisione dell’esperienza di essere salvati gratis, ma anche missione di chi sa che l’unica sicurezza è Gesù e la sua Parola. Ecco allora il richiamo alla sobrietà, e la fiduciosa libertà dei missionari da ogni altra preoccupazione.

La modalità della missione. Direi che la norma principale è quella della relazione, dell’incontro personale. La strategia è quella di passare di casa in casa offrendo la pace (Shalom), in altre parole la salvezza messianica. Tutto ciò sollecita la responsabilità dei destinatari, solo l’accoglienza dell’offerta di Dio renderà possibile che la Pace entri, di fatto, nella loro vita. La missione si rivela così avvenimento escatologico, un evento decisivo per il destino di vita o di morte degli uomini.

O mio Gesù, Tu, attraverso le parole dell’evangelista Luca, parli non solo agli apostoli, ma ai discepoli d’ogni tempo, a tutto il popolo di Dio. Il discepolo non ha una missione diversa da quella del suo maestro. “Le pecore sono senza pastore”; il popolo di Dio è disperso, senza unità, senza guida e tu, Gesù, vuoi essere annunciato dovunque, perché vuoi unire, togliere gli uomini dalla solitudine e dalla dispersione. I Dodici furono inviati nei villaggi d’Israele, perché Israele fu il popolo eletto, il primogenito, che deve diventare luce per le genti, deve essere un segno chiaro dell’amore di Dio, anche di fronte ad un uomo solo, ma sempre disposto ad esserlo di fronte a tutti. Noi, se vogliamo essere tuoi discepoli, dobbiamo mettere a disposizione tutto noi stessi gratuitamente (la fede, il tempo, l’amicizia), perché noi, per primi, lo abbiamo ricevuto gratuitamente ed abbondantemente: tutto ciò, che è in noi, è dono di Dio e degli altri e, perciò, tutto deve, generosamente e gratuitamente, tornare a Dio e agli altri.

Quando faremo l’annuncio, dovremo farlo in modo chiaro, convincente, ma senza forzare ad ogni costo il cuore dell’uomo (non l’hai mai fatto neanche tu o Gesù), ma affidando la risposta alla libertà dell’uomo stesso. Sempre dovremo tener presente che la persecuzione fa parte della missione ed è il segno della sua verità, perché l’annuncio della tua venuta inquieta il mondo. Tu, Gesù, hai fatto irruzione nella tranquillità del mondo, la Tua parola costringe a prendere posizione e penetra, persino, nel cuore delle famiglie, lacerandone l’ordine, la convivenza. Ma perché, Gesù, dovremo affrontare tutto questo? Perché questa è la via che tu, per primo, hai percorso, questa è la via che ci porterà alla vera libertà, alla salvezza eterna. Il coraggio, che dimostreremo nel parlar chiaro, nel gridare il messaggio di Cristo dai tetti, nel non aver mai vergogna di Cristo davanti agli uomini, sarà il criterio con cui Cristo ci difenderà davanti al tribunale di Dio.

Opinioni su Gesù.

Capitolo 9,7-9

*Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti ed era perplesso, perché alcuni dicevano che Giovanni era risorto dai morti; *altri che era apparso Elia; e altri che era risorto uno degli antichi profeti. *Ma Erode diceva: Giovanni l’ho fatto decapitare io stesso; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose? E cercava di vederlo.

Luca inquadra il brano nella prima missione apostolica, ma lo semplifica assai e non vi aggiunge la narrazione del martirio di Giovanni il Battista. La domanda cruciale è la stessa di marco: Chi è Gesù? Luca però aggiunge: E cercava di vederlo. Con questo particolare prepara la presentazione di Gesù a Erode durante la passione e implicitamente afferma che non si può dare una vera risposta alla domanda se non nella luce della Pasqua.

Vari giudizi corrono su Gesù: Elia redivivo, un profeta, il Battista risorto. Nessuno ancora purtroppo lo riconosceva per quel che era: il Messia, Figlio di Dio. Gesù assume il suo compito alla maniera dei profeti d’Israele. Trasmette la parola di Dio facendo apparire la portata divina degli avvenimenti – qui, delle guarigioni che opera -, ma soprattutto pone la sua persona al centro stesso dell’annuncio di questa parola.

Occorre saper vedere Lui! Il titolo di profeta attribuito a Gesù riassume buona parte della sua testimonianza terrena: la sua predicazione e i segni compiuti, le sue esortazioni alla penitenza e i suoi avvertimenti circa la fine dei tempi, la sua fedeltà sino alla morte. Anche Erode cercava di vedere Gesù, che gli era presentato come un uomo singolare, ma gli mancava l’intenzione – propria del discepolo – di “riconoscere” in lui la missione del profeta.

La moltiplicazione dei pani.

Capitolo 9,10-17

*Al loro ritorno gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora egli li prese con sé e si ritirò in un luogo solitario, verso una città chiamata Betsaida. *Ma la gente, appena lo seppe, lo seguì; ed egli l’accolse e prese a parlare del regno di Dio e a guarire quelli che ne avevano bisogno. *Il giorno cominciava a declinare, e i dodici gli si avvicinarono e gli dissero: Congeda la moltitudine, perché vadano nelle borgate dintorno e nelle campagne per alloggiare e per mangiare, perché qui siamo in un luogo deserto. *Ed egli rispose loro: Date voi loro da mangiare. Ma essi soggiunsero: Noi non abbiamo che cinque pani e due pesci; a meno che non andiamo a comperare dei viveri per tutta questa gente. *In realtà erano circa cinquemila uomini. Gesù disse ai suoi discepoli: Fateli sedere a gruppi di cinquanta. *Così fecero disponendoli tutti a sedere. *Ed egli, presi i cinque pani e i due pesci, alzò lo sguardo al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla gente. *E mangiarono e si saziarono tutti; e dei pezzi loro avanzati ne portarono via dodici panieri.

La Chiesa primitiva ha fatto un grande uso della moltiplicazione dei pani e interpretato come prefigurazione eucaristica. Il racconto è introdotto dal resoconto degli apostoli della loro missione. Gesù si ritirò verso la città di Betsaida. Tuttavia la folla lo seguì. Non si tratta di un semplice particolare cronachistico, ma di un’allusione alla realtà ecclesiale: il nuovo popolo di Dio, che è la chiesa, segue Cristo ed è da lui riunito per il banchetto finale. La nota cronologica “il giorno cominciava a declinare” riprende alla lettera l’incipit del racconto dell’ultima cena come detto: Alzò lo sguardo al cielo, li benedisse, li spezzò, e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla gente”. Con ciò viene indicato il significato profondamente eucaristico del brano. “…date voi loro da mangiare”. I discepoli comprendono che il pane per la folla sarà procurato senza andare a farne provvista nei villaggi vicini, ma hanno poca fede e perciò rispondono di avere soltanto cinque pani e due pesci. Tutti ne mangiarono e ne avanzò pure. Il racconto presenta tre livelli di significato: cristologico, eucaristico ed ecclesiale. Gesù è il profeta finale che chiama tutti a partecipare al banchetto escatologico, in altre parole alla salvezza. Il nuovo popolo di Dio si nutre alla tavola eucaristica del corpo e del sangue di Cristo. La partenza di Gesù con il suo gruppo fu notata dalle folle di Cafarnao, le quali dalla direzione capirono facilmente qual era la meta; allora molti presero a seguirlo. Con ogni probabilità, durante il viaggio a piedi, i volenterosi partiti da Cafarnao erano aumentati di numero; infatti, tutta la regione era percorsa da carovane dirette a Gerusalemme.

L’incontro con tanta folla fece subito svanire il progetto di solitudine e di riposo; tanto più che Gesù, appena vide i volenterosi accorsi, s’impietosì di essi e iniziò a guarire miracolosamente gli infermi e parlare a tutti del regno di Dio. Frattanto le ore trascorrevano velocemente, la giornata volgeva al termine. La folla scordandosi d’ogni cosa, non si stancava né si staccava da Gesù; però i pratici apostoli s’avvicinarono a Gesù e gli fecero osservare che il posto era solitario, l’ora tarda, e quindi sarebbe stato opportuno lasciare la folla affinché si recasse nelle borgate più vicine per trovare un po’ di pane e companatico. Gesù disse di acquistare del pane e dar loro da mangiare. Gli apostoli rispondono che sono in possesso di cinque pani e due pesci.

Gesù ordinò ai discepoli che facessero sedere la folla nell’erba. Quando tutti furono adagiati in tanti circoli, ciascuno di una cinquantina di persone, a questo punto, Gesù presi i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, benedisse il tutto e spezzò i pani distribuendoli ai discepoli perché li spartissero tra la folla insieme ai pesci. I discepoli vanno verso la gente e distribuiscono il cibo ricevuto dal Maestro. Servono quelli che sono più vicini, poi gli altri e i loro panieri restano sempre pieni. Hanno già servito venti, cinquanta, cento persone…, e hanno ancora tanti pani e pesci quanti ne avevano all’inizio. E’ davvero meraviglioso: riescono a nutrire centinaia di uomini, di donne e bambini senza difficoltà. Essi credono in Gesù e sono entusiasti di lui. Assieme al loro Maestro, i futuri pescatori di uomini moltiplicano i pani e i pesci. Nutrono il popolo di Dio, il popolo affamato di verità, così affamato delle cose spirituali da seguire il maestro fino a dimenticare di tornare a casa a rifocillarsi. Il popolo ha fame del Signore, del suo messaggio, della sua presenza. Tutta la gestualità di Gesù è un’anticipazione dell’Eucaristia.

Poi Gesù consigliò loro di raccogliere gli avanzi perché nulla andasse perduto. Tutta quella gente per l’intera giornata aveva cercato il regno e la sua giustizia ossia il pane dello spirito, ma senza pensarci trovò il pane del corpo. La folla aveva inteso parlare da Gesù del “regno” e n’erano state commosse, infine avevano visto moltiplicarsi fra le mani di quel taumaturgo e banditore del regno il cibo dei loro corpi. La conclusione fu immediata, in conformità alle loro attese messianiche chi operava simili prodigi, poteva altrettanto facilmente sterminare eserciti nemici come Isaia, poteva ricoprire di tenebre un’intera regione come Mosè, attraversare fiumi all’asciutto come Giosuè, correre vittorioso su tutta la terra come il pagano Ciro chiamato “messia” dallo stesso Dio d’Israele (Is.45,1), poteva insomma attuare in pochissimo tempo il tanto sospirato “regno del messia” a maggior gloria d’Israele. Per la folla, dunque, Gesù era l’atteso Messia: la sua potenza lo rivelava indubbiamente tale.

Riconoscimento e sequela del Cristo.

Capitolo 9,18-27

*Una volta, mentre si trovava assieme ai suoi discepoli in un luogo appartato a pregare, Gesù rivolse loro questa domanda: Chi sono io secondo l’opinione della gente? *risposero: Giovanni il Battista; secondo altri, Elia; secondo altri uno degli antichi profeti redivivo. *Riprese Gesù: Ma, secondo voi, chi sono io? Pietro rispose: il messia di Dio. *Egli però intimò loro di non dirlo a nessuno. *e aggiunse: Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dai notabili, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi ed essere ucciso e risorgere il terzo giorno. Poi diceva a tutti: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. *Perché chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perde la propria vita per me, la salverà. *Che giova all’uomo se guadagna il mondo intero e perde o rovina se stesso? *Perché se uno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà nella sua gloria e del Padre e degli angeli santi. *In verità vi dichiaro: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver veduto il regno di Dio.

Che si tratti di un momento importante del dialogo tra Gesù e i suoi discepoli, lo si capisce subito dalla premessa di Luca: si trovava a pregare in un luogo solitario ( si trovavano dalle parti di Cesarea di Filippo). Infatti la preghiera scandisce i momenti decisivi della missione pubblica di Gesù: l’investitura battesimale, 3,21; la scelta dei dodici, 6,12. Gesù riprende l’interrogativo che già i discepoli si erano posti: chi è dunque costui? 8,25. Interrogativo che incuriosiva: per la folla Gesù è un profeta, comunque identificato, con Elia, con il Battista; inquietava Erode; per i discepoli è il messia di Dio. Ora è Gesù che pone la domanda, ma per dare alla fine lui stesso la risposta giusta.

La prima predizione della passione rimuove alcuni dubbi sulla vera identità di Gesù come Messia. Egli proclama chiaramente che il suo futuro su questa terra implicherà sofferenza e morte secondo i piani di suo Padre (“Egli doveva andare a Gerusalemme”). Fra l’ostilità crescente dei capi e l’incomprensione delle folle, per concentrarsi sulla formazione dei discepoli, specie dei Dodici, Gesù pone una “questione di fiducia”. Pietro, in nome degli altri, fa una corretta professione di fede: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Ma Gesù deve essere accettato come “Messia-Servo sofferente”. Gesù ha appena predetto la sua passione; quindi parla delle condizioni per seguirlo. I verbi adoperati. “rinnegare”, “portare la croce”, “seguire”, “perdere la vita” sono sfumature di una stessa realtà: chi vuol seguire Cristo deve rinunciare sicuramente a tutto, per condividere con Gesù il suo drammatico destino che culmina sulla croce. Il ricordo del Figlio dell’uomo glorioso dimostra, però, che l’ultima parola va riservata alla risurrezione.

Con un’attenta sensibilità spirituale Luca fa seguire alla nuova rivelazione del destino di Gesù, le conseguenze per la vita dei discepoli, riunendo una serie di sentenze circa la sequela. La vicenda e il destino di Gesù si prolungano ora nella comunità dei discepoli, che vivono nell’impegno del Vangelo. Tuttavia lo sguardo è rivolto al futuro, al Figlio dell’uomo che viene in veste di giudice definitivo per stabilire il regno nella sua piena manifestazione salvifica. Questi versetti ci portano ad un punto centrale del Vangelo di Luca, e segnano uno spartiacque tra ciò che è successo prima di quel giorno e ciò che seguirà. Qui c’è un cambio di scena quasi imperativo. Nel luogo appartato per pregare parte un nuovo inizio orientato soprattutto ad una formazione più puntuale ed anche più esigente dei discepoli.

Gesù inizia a spiegare in che senso egli realizza il suo messianismo glorioso attraverso il sacrificio personale a servizio degli altri, come voluto da Dio e predetto dalla Scrittura. E’ a questo punto che Gesù parla a tutti di cosa significa seguirlo. Il discorso di Gesù non è solo per alcuni, per i più capaci o per i più tenaci. Gesù convoca tutti: la folla e i suoi discepoli. Lui chiama tutti a seguirlo. Gesù non sta facendo un discorso per cristiani più impegnati e tanto meno ha in mente preti o suore. C’è solo una condizione indispensabile per ascoltare la sua proposta, e la condizione è sperimentare la libertà che Lui ci lascia.

Il discorso del maestro può trovare consenso solo in persone libere di seguirlo. La sua è sempre e solo una proposta, non un’imposizione: “Se qualcuno vuol venire dietro a me”. Il condizionale è d’obbligo per Gesù. Non si segue né per compiacenza e per far contento chi ci chiede qualcosa, né perché si è dei fanatici ammiratori di qualcuno più in gamba di noi. Si segue perché si è profondamente liberi di far propria la proposta annunciata. Nessuno è obbligato a seguire Gesù. Ma se qualcuno lo vuole, Lui dice chiaramente ciò che chiede.

Due sono le condizioni indispensabili per la sequela: Rinnegare se stessi e prendere la propria croce. Il discepolo deve “rinnegare se stesso”: deve in pratica cominciare a lavorare su di sé per togliere dal suo orizzonte una vita costruita solo sull’egoismo, sul prevaricare sugli altri, sul mettersi sempre al centro. Il discepolo deve comprendere come la sua vera realizzazione può essere solo nella sua capacità di farsi dono. Ed è solo dentro il farsi dono che si ritrova la propria realizzazione personale. Nel momento in cui ci scopriamo profondamente amati e importanti agli occhi di Dio, comprendiamo come e perché l’unico senso dell’esistenza è poter riamare, donare e servire. Mi pare che questo discorso di Gesù, tra l’altro così chiaro, sia tanto più attuale ed esigente nella cultura sociale in cui siamo immersi, dove predomina il mito idolatrico dell’uomo arrivato, della persona che rincorre a tutti i costi una posizione sociale elevata a danno degli altri, dove il mito dell’efficienza è al primo posto, dove si costruisce sul “fai da te” o sull’ “usa e getta”. Dove è più facile edificare sull’apparenza che sull’essere c’è l’incapacità fondamentale ad amare e lasciarsi amare. E chi è incapace d’amare e di lasciarsi amare, si condanna ad innamorarsi della sua immagine, come Narciso che secondo la leggenda mitologica a furia di rimirare il suo volto nell’acqua del lago, ci cade dentro e muore. Rinnegare noi stessi è iniziare a riconoscere che siamo chiamati ad amare per primi, per dare ad altri la possibilità di amare.

“Prendere la propria croce ogni giorno” significa cominciare una continua lotta con la nostra bugiarda affermazione, con le nostre false sicurezze. Sarà un lento e lungo lavoro, un imparare ad assumere ciò che siamo giorno per giorno. E sarà un’enorme fatica che ci accompagnerà tutta la vita. Dove comprendiamo di essere tanto incapaci ad amare, scopriamo il luogo dove Dio ci ha già visitato. Nessuno al posto nostro, può vincere l’egoismo che è in noi. Dove facciamo esperienza del nostro limite, ritroviamo la sorgente della nostra possibilità ad essere e fare diversamente.

“Rinnegare se stesso” e “prendere la croce” sono quasi un sommario di ciò che è necessario per essere un vero discepolo: una dedizione e un’offerta totale di sé, un “abbandonarsi” alle cose di Dio e alla persona di Gesù, in fondo si tratta di “un’autodonazione”.

Ed è sempre Gesù che parlando a noi parla di sé: “Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. In queste parole c’è in gioco tutta l’esistenza. Si tratta della scelta tra una vita “piena” e una vita “vuota”. L’uomo può giocarsi l’esistenza puntando sul possesso, nella logica dell’avere sempre di più; oppure può giocarsi l’esistenza puntando sull’amore. La prima scelta contiene la negazione della vita: perché nelle pieghe più profonde della sua vita l’uomo è fatto per amare, non per essere solo. La seconda scelta, al di là di un apparente fallimento, contiene la pienezza della vita. “In fondo a che serve guadagnare il mondo intero se poi si perde la vita?” La vita è un dono che costantemente si riceve e si mantiene in vita solo ridonandolo.

C’è un senso in tutto ciò? Sì, ma solo se comprendiamo quel “per causa mia e del Vangelo”. Nessun altro senso se non nella persona di Gesù. Solo Gesù può chiederci tanto. Gli altri significati sono solo falsi significati.

La trasfigurazione.

Capitolo 9,28-36

*Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. *Mentre pregava il suo volto cambiò aspetto e la sua veste divenne di un candore abbagliante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia *che, apparsi nella loro gloria, parlavano del suo esodo, che doveva avvenire a Gerusalemme. *Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma quando si risvegliarono videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. *E mentre questi si allontanavano da lui, Pietro disse a Gesù: Maestro è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia. Egli non sapeva quello che diceva. *Mentre egli parlava sopravvenne una nube che li avvolse; ed essi ebbero paura nell’entrare in quella nube. *E dalla nube venne una voce che diceva: Questi è il mio Figlio, quello che io ho eletto; ascoltatelo. *Mentre la voce risuonava, Gesù si trovò solo. Essi conservarono il silenzio e in quei giorni non raccontarono a nessuno quanto avevano veduto.

Luca racconta il capitolo rilevandone la portata apocalittica. Teniamo presente che il genere letterario apocalittico indica che il racconto mira ad evidenziare la rivelazione dell’essere misterioso di Gesù. E’ il Figlio dell’Uomo avvolto di gloria divina, il Signore a cui tutto è sottomesso, il nuovo Mosé che annuncia la parola definitiva e ultima di Dio all’umanità, il figlio amatissimo di Dio. L’originalità del brano, oltre alla scenografia tipicamente apocalittica, proviene dal contesto. Viene subito dopo l’annuncio della passione e morte del Figlio dell’Uomo. Il tutto sta significando che al di là della passione esiste per Gesù un futuro di gloria divina, che il crocefisso è il Figlio dell’Uomo che verrà alla fine nello splendore della sua divinità. Il servo sofferente di Dio e il Figlio dell’Uomo glorioso sono uniti nella stessa persona. Come possiamo valutare ora il racconto a proposito dell’esperienza che i discepoli hanno avuto del maestro? Sembra di dover escludere prima di pasqua una rivelazione del suo essere trascendente e divino. Soltanto alla luce della risurrezione essi compresero a fondo, per la prima volta, chi era Gesù e il senso della sua morte tragica. Svelato l’enigma della sua persona nelle apparizioni del Risorto, nasce la professione di fede che egli è il Figlio di Dio e il Figlio dell’Uomo trascendente. La crocifissione non appare più un fallimento ma una tappa necessaria verso la gloria e soprattutto l’espressione della sua obbedienza di servo sofferente glorificato da Dio. Lo scandalo della morte tragica è superato. Essa ha significato l’abbassamento del figlio dell’uomo, che verrà alla fine nella pienezza della sua gloria e come Signore del mondo. Ne è garanzia la risurrezione. Il racconto della trasfigurazione, originato da questa fede pasquale, intende anticipare nella trama del vangelo il significato dell’evento di pasqua. Perciò la trasfigurazione è l’apparizione pasquale anticipata.

“Otto giorni dopo…” costruisce all’istante un ponte tra quello che è accaduto precedentemente, vale a dire la confessione di Pietro nel luogo della preghiera, il primo annuncio della passione del Figlio dell’Uomo e ciò che accade nella presente narrazione. Si è quasi costretti a rilevare con immediatezza che questi “Otto giorni dopo” non si possono intendere in senso letterale soltanto: sarebbe una frase troppo rimpicciolita rispetto a quanto sta per svelare il testo. Infatti, dopo una breve introduzione, si parla della Trasfigurazione di Gesù, delle Parole del Padre celeste dalla nube luminosa. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”. Come Mosé salì sul monte accompagnato da altri tre, così anche il nuovo Mosé, Gesù, sale il monte con tre dei suoi discepoli, i quali, peraltro, saranno gli stessi che accompagneranno Gesù nell’Orto degli Olivi e saranno testimoni della sofferenza del Messia, come qui lo sono della Gloria. Gesù li porta “per pregare” e all’interno della preghiera egli viene trasfigurato. La stessa cosa accade anche nella nostra preghiera: la fede ci fa vedere in una luce diversa Gesù di Nazareth, lo mostra come Figlio amato dal Padre. Gesù “fu trasfigurato davanti a loro” cioè davanti ai tre discepoli. Egli subisce una trasformazione, una spiritualizzazione del suo corpo; spiritualizzazione che diventerà permanente in lui dopo la sua risurrezione. L’attuale Trasfigurazione, quindi, è solo un anticipo di quanto avverrà in maniera continua in futuro. Luca concentra la sua attenzione sul volto di Gesù che viene trasfigurato, più che sulle altre parti del corpo o sulle vesti. Avendo davanti a noi il riferimento biblico di cui sopra, è logico immaginare che Luca voglia evidenziare la somiglianza tra Gesù e Mosé il quale scendendo dal monte Sinai “aveva la pelle del volto raggiante, per il fatto di aver conversato con Dio (Es. 34,29). Gesù in questo modo è rappresentato come il nuovo Mosé.

“Ed ecco apparvero loro Mosé ed Elia che conversavano con Gesù”. Luca introduce l’avvenimento con una sua tipica espressione: “Ed ecco”. Non è solo lui ad usarla ma è presente nel linguaggio corrente della Bibbia ed ha l’intento di richiamare con forza l’attenzione del lettore, perché sta per accadere qualcosa di grandioso, di divino. Luca dice che il qualcosa d’importante è l’apparire di Mosé e di Elia chinati verso Gesù nella Gloria e poi conversano. L’evangelista inserisce Mosé prima di Elia, vale a dire la legge prima dei profeti. Pietro afferma: “E bello per noi stare qui”. In altre parole è come se dicesse che in quel luogo è bello essere, vivere, esistere. La vita, in genere, è vissuta con intensità là dove essa appare nella sua bellezza originaria, come Dio l’ha pensata e voluta. Cosa significhi l’espressione di Pietro che segue subito dopo: “Facciamo tre tende”, non è facile spiegarlo. Ci può aiutare il greco con la parola “skené”, vocabolo che contiene tre consonanti s k n che si trovano pure nella parola ebraica shekinà, che significa presenza di Dio, gloria di Dio tra gli uomini. Con ogni probabilità Pietro con le sue parole, desidera che questa shekinà diventi duratura; resti stabile tra gli uomini di cui ora i discepoli sono spettatori. Il centro del racconto è il versetto dove si dice che “una nube che li avvolse”. I richiami all’A.T. sono diversi. Sempre in Es. 40,34-35, si parla della nube luminosa che avvolgeva la tenda di Mosé, e sempre una nube misteriosa riempiva il tempio costruito da Salomone a Gerusalemme è narrata in 1 Re 8,10-11. La nube nasconde il volto di Dio; ma essa non oscura la sua voce che si sente nitidamente: “Questi è il mio Figlio, quello che io ho eletto; ascoltatelo”. Frase che è un concentrato d’alta teologia, già presente nell’A.T., poiché in Gesù si concentrano tutte le attese e le speranze del popolo ebraico. “Questi è il mio Figlio”, rimanda al Salmo 2,7; l’aggettivo “eletto” ci porta al racconto di Isacco figlio prediletto di Abramo (Gn.22,2); ed infine, “Asoltatelo!” ci fa riudire la voce di Mosé che in Det. 18,15 profetizza che un nuovo profeta occuperà il suo posto dopo la sua morte.

In sostanza l’A.T. trova il suo culmine nella persona di Gesù. Colui il cui volto splendeva come il sole, in altre parole nella forma divina, è lo stesso che si fa vicino e tocca chi gli sta accanto: Egli è l’Emanuele, il Dio con noi. Lo scenario acquista sapore di resurrezione. Il tempo della legge e dei profeti è finito: ora tutto si concentra e fa capo a Lui. Da qui la necessità dettata dalla voce che usciva dalla nube di ascoltare lui e lui solo. Anche quando parla di gioia, di sofferenza, di morte: ascoltatelo. Gesù riunisce in sé la legge e i profeti e li porta a compimento. Il cerchio della storia si chiude. Egli è la Parola conclusiva di Dio Padre e in lui raggiunge il massimo della concentrazione: essa non è più sparsa in volumi e voci diverse ma è racchiusa in una persona sola, in Gesù.

“Mentre la voce risuonava, Gesù si trovò solo”. Inizia il dramma. I discepoli sollevando gli occhi videro Gesù solo. Inoltre l’ultimo versetto dice: “Essi conservarono il silenzio e in quei giorni non raccontarono a nessuno quanto avevano veduto”, Tutto ciò fa emergere l’angosciosa solitudine di Gesù nell’andare a Gerusalemme. Sa che dovrà affrontare la passione, la morte e la resurrezione, di cui la Trasfigurazione è stata solo un anticipo.

Guarigione di un bambino epilettico e nuovo annuncio della passione e istruzione.

Capitolo 9,37-50

*Il giorno seguente, scesi dal monte, andò incontro a lui molta gente. *Ed ecco un uomo dalla folla gridò: Maestro, ti prego, guarda a mio figlio perché è l’unico che ho. *Uno spirito lo prende, e subito si mette a gridare, lo sbatte, lo fa schiumare e a stento se ne allontana lasciandolo straziato. *Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non hanno potuto. Allora rispose Gesù: Generazione incredula e perversa, fino a quando dovrò stare con voi e vi dovrò sopportare? Conduci qua tuo figlio. *E mentre quello si avvicinava, il demonio lo gettò per terra in preda a convulsioni. Ma Gesù comandò allo spirito impuro, guarì il bambino e lo rese a suo padre. *E tutti furono sbalorditi di fronte alla grandezza di Dio. *Mentre tutti si meravigliavano delle cose che faceva, egli disse ai suoi discepoli: *Ascoltate bene quello che sto per dirvi: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini. *Ma essi non riuscivano a capire queste parole; erano talmente oscure che essi non ne afferravano il senso e avevano paura di interrogarlo su questo punto. *Poi sorse tra di loro una questione: chi di essi fosse il più grande. *Gesù conosciuta la questione che stava loro a cuore, prese un bambino, e se lo pose accanto * e disse loro: Chi accoglie questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Perché chi è il più piccolo fra voi tutti, questi è grande. Giovanni prese la parola per dirgli: Maestro, abbiamo veduto un tale che nel tuo nome cacciava i demoni e abbiamo tentato di impedirglielo perché non ti segue con noi. *Gli rispose Gesù: Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi è per voi.

Cap.9,37-43°. In questi versetti continua la rivelazione di Gesù ai discepoli. L’episodio del ragazzo epilettico ne è la causa. Infatti, i suoi discepoli non sono riusciti a guarire quel ragazzo. Gesù si lamenta con la folla, e anche con i suoi discepoli, della poca fiducia dimostrata nell’onnipotenza di Dio che agiva in lui, espressa anche dalla mancanza di preghiera.

Di fronte al popolo ammalato d’incredulità Gesù esalta con forza l’onnipotenza risanatrice della fede e della preghiera. Con un rituale d’esorcismo molto vicino a quello di un rito battesimale, Gesù guarisce il ragazzo, facendolo quasi passare attraverso una morte e una risurrezione. Nel modo di narrare di Marco c’è un accenno implicito alla liturgia catecumenale. Il ragazzo viene “portato” ai discepoli e a Gesù, ed è restituito sano da lui attraverso la preghiera e la fede, fortemente sollecitate dal Maestro. La potenza trasfiguratrice di Cristo passa a noi attraverso la fede e i sacramenti che ha istituito, che sono la continuazione dell’opera di Gesù, vero Messia e Salvatore, e primo sacramento di salvezza.

E’ difficile dare un titolo a questo lungo e vivace racconto. Se siamo stati attenti alla lettura del brano, dobbiamo porci la domanda: si tratta della guarigione di un epilettico o della liberazione di un indemoniato? I sintomi descritti con dovizia di particolari ci portano a credere che il ragazzo sia afflitto da epilessia, tuttavia questi vengono però attribuiti ad uno spirito muto; in seguito lo spirito impuro viene apostrofato da Gesù come spirito muto e sordo. E la reazione dello spirito, all’intimazione di Gesù di uscire dal ragazzo malato, è simile a quella che Marco ha descritto nel primo caso d’esorcismo nella sinagoga di Cafarnao.

I discepoli e gli esorcismi. I discepoli appaiono all’inizio e alla fine della narrazione. All’inizio essi stanno discutendo con gli Scribi. Possiamo indovinare il tema della discussione da quanto afferma il padre del ragazzo: Ho chiesto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non hanno potuto. Alla fine viene ripreso il tema nel colloquio o istruzione privata: Entrato Gesù in casa (espressione prediletta di Marco). La risposta di Gesù alla domanda dei discepoli si richiama al senso di tutto il racconto: la fede. La vittoria sull’avversario che tiene in schiavitù l’uomo non è frutto di una tecnica speciale, dipende unicamente dall’azione potente di Dio, alla quale l’uomo si apre con la preghiera fiduciosa.

La fede. E’ il tema dominante nell’incontro di Gesù con il padre del ragazzo, riassunto nella sentenza solenne: Ogni cosa è possibile a chi crede. L’esclamazione di Gesù: O generazione incredula…fino a quando vi sopporterò, non è semplicemente uno sfogo emotivo, anche se comprensibile e perfettamente in armonia con le altre reazioni di Gesù registrate da Marco, ma è un’affermazione di più vasta risonanza. Tutta l’espressione generazione incredula, fino a quando…, richiama il lamento che la Bibbia pone sulle labbra del Signore nei confronti del popolo del deserto; è quel popolo che dimentica o non sa cogliere il significato dei gesti salvifici. In altre parole si tratta anche ora, di fronte ai gesti di Gesù e alla sua rivelazione, dell’antico peccato del popolo di Dio: la mancanza di fede. Come sempre l’unica condizione richiesta per l’intervento salvifico di Dio è la fede, vale a dire la totale apertura dell’uomo alla sua azione. Nel caso presente questo atteggiamento viene egregiamente espresso dall’implorante esclamazione del padre: Io credo, soccorri la mia poca fede (incredulità).

La guarigione e la risurrezione. Il confronto drammatico di Gesù col povero ragazzo tormentato raggiunge il suo apice nella scena finale. Mentre la folla, di fronte al malato, vittima di un estremo attacco, esclama: E’ morto, Gesù lo prende per mano, lo rialza e quello si mette in piedi. Per fissare quest’ultima scena Marco ricorre al modello letterario che gli è servito per raccontare la guarigione della suocera di Pietro, e la risurrezione della figlia di Giairo. Tenendo conto di queste allusioni alla risurrezione, l’episodio del ragazzo guarito o liberato da Gesù lega molto bene con la scena precedente della trasfigurazione, nella quale è stata annunciata la risurrezione di Gesù. Per i credenti, i segni che annunciano la piena vittoria sulla morte, possono essere i gesti di liberazione da ogni genere di male che opprime l’uomo.

Cap. 9, 43b-48. Col secondo annuncio di passione Gesù presenta un’altra volta ai suoi discepoli il suo modello messianico di dedizione e servizio fino alla morte; i Dodici invece lasciano cadere tale discorso per loro incomprensibile e al contrario discutono animatamente fra loro chi sia il più grande! Gesù allora si siede (a modo di maestro) per inculcare una verità nuova: il più grande deve essere l’ultimo, e cioè il servo di tutti, e deve accogliere con amore e abbracciare il bambino, in altre parole il povero, l’impotente e il disgraziato, come se fosse lui e il Padre.

Al secondo annuncio della morte-risurrezione, come già dopo il primo, segue una nuova istruzione ai discepoli. Inizia quindi un’ampia raccolta di sentenze che si protraggono fino al termine del capitolo 9. La prima serie di sentenze riguarda la precedenza o il rango, un tema oggetto di vivaci discussioni e minute prescrizioni in ogni comunità religiosa, in particolar modo nell’ambiente giudaico. L’intervento di Gesù è occasionato dalla discussione dei discepoli, che si disputano, come abbiamo letto, i posti e litigano per la precedenza. La parola di Gesù applica alla comunità la logica della croce; essa opera un capovolgimento dei valori e acquista tutta la sua serietà dell’avvenimento storico della morte di croce, dove il primo Gesù, diventa l’ultimo di tutti e il servo di tutti. L’azione simbolica del bambino, posto in mezzo ai dodici e accolto con amore e venerazione, è la drammatizzazione della sentenza. Nella società antica il bambino non aveva posizioni o diritti legali, perciò Gesù identificandosi con il bambino diventa servo e ultimo con chi è privo di diritti e di prestigio. Da questa nuova prospettiva anche le precedenze e le attenzioni ai ranghi o ruoli sociali e religiosi sono rovesciate. Soltanto coloro che riconoscono questo fatto e ricevono il regno come un dono ci entreranno. La prossimità con Dio non si misura con il metro del prestigio o del ruolo, ma con quello dell’accoglienza, della solidarietà e dell’amore per gli ultimi. Finalmente anche l’uomo ritrova il suo valore non per quello e quanto sa, produce o fa, ma in forza della nuova catena di solidarietà che, mediante Gesù, risale fino al Padre, a colui che lo ha mandato.

Cap. 9,49-50. In questi versetti sono raccolte sentenze sul tema nel nome di Gesù, e viene introdotto per contrasto il tema della sezione successiva mediante il termine-chiave scandalo, un problema già vivo al tempo di Gesù, ma ancora di più nella comunità primitiva che era quello di valutare i fenomeni straordinari, come appunto gli esorcismi.

L’impetuoso Giovanni riferisce a Gesù, in nome degli altri discepoli, come loro hanno impedito ad uno di scacciare i demoni pronunciando il nome di Gesù, perché non era discepolo come loro. Gesù risponde con un proverbio che diventerà espressione della tolleranza cristiana: “Chi non è contro di noi, è per noi”: chi fa del bene invocando il nome di Gesù, non può che parlar bene di lui. Anche se ufficialmente non è suo discepolo, lo è di fatto.

La sentenza concernente il tema dell’accoglienza vuole rilevare la dignità del discepolo di Cristo in un tempo di persecuzione e di dispersione. Anche nella parabola del giudizio finale, secondo Mt. 25,34-36, i gesti d’accoglienza e di soccorso ai “più piccoli di questi miei fratelli”, sono la condizione per ricevere l’eredità del regno. Gesù s’identifica con i discepoli. Su questo sfondo si comprende allora il tono e la serietà della parola sullo scandalo dato ai discepoli, a questi “piccoli che credono”. Si tratta dell’inciampo messo alla fede e alla comunione dei fratelli più deboli e fragili nella comunità cristiana. Mettere in crisi di fede questi piccoli discepoli è più grave dell’uccisione o del suicidio per annegamento. L’immagine della grossa e pesante macina da mulino, legata al collo dell’annegato non solo fa un certo effetto, ma nell’ambiente di Gesù richiama la somma sventura di un disgraziato che rimaneva insepolto.

Quanti cristiani anonimi ci sono nel mondo che non ostacolano Cristo, anzi agiscono nel suo nome seguendo la voce della coscienza e usufruendo del clima cristiano, anche se non hanno la tessera del cristiano o di una nostra associazione, o della nostra teologia! Non ostacoliamoli con lo spirito gretto di Giovanni, ma rendiamoli nostri amici e collaboratori.

I samaritani rifiutano Gesù incamminato verso Gerusalemme.

Capitolo 9,51-62

*Ora, mentre stava per compiersi il tempo della su assunzione da questo mondo, Gesù prese la decisione di fare il viaggio verso Gerusalemme, *e mandò innanzi dei messaggeri. Questi si misero in cammino ed entrarono in un villaggio dei samaritani per fare i preparativi per lui. *Ma quelli non l’accolsero perché era diretto a Gerusalemme *Vedendo ciò, i discepoli Giacono e Giovanni dissero: Signore, vuoi che invochiamo il fuoco dal cielo e li consumi? *Ma egli si volse e li rimproverò. *E partirono per un altro villaggio. *Mentre erano in cammino un tale gli disse: Io ti seguirò dovunque tu vada. *Gesù gli rispose: Le volpi hanno tane, gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. *Ad un altro disse: Seguimi. Ma quello rispose: Signore, permettimi prima di andare a seppellire mio padre. *E Gesù: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annuncia il regno di Dio. *E un altro ancora gli disse: Io ti seguirò, ma prima permettimi di congedarmi da quelli di casa mia. *Gli rispose Gesù: Chiunque guarda indietro, mentre mette mano all’aratro, non è adatto per il regno di Dio.

Cap. 9,51-56. La ferma decisione di Gesù di intraprendere questo viaggio è come quella del profeta inviato da Dio a portare a termine con fiducia e perseveranza il suo compito. La strada più diretta e rapida dalla Galilea a Gerusalemme attraversa il centro della Palestina, la regione dei samaritani. Inizia così “il grande viaggio” che si concluderà nella città santa con la morte di Gesù, che Luca presenta come compimento. L’invio dei messaggeri, indica che la morte deve essere annunciata. In questi versetti notiamo la reazione dei discepoli e di Gesù dinanzi al rifiuto dei Samaritani. Gesù rimprovera i discepoli, perché anche i samaritani saranno disponibili al vangelo dopo il compimento. In pratica Luca illustra la salvezza di Dio (Gerusalemme) incentrata nell’evento della Pasqua (viaggio nella città santa), e destinata a espandersi dalla città fino ai confini del mondo, per opera dello Spirito Santo.

Il vangelo di Luca appare, nella sua totalità, come una prima teologia della storia della salvezza, in cui la Pasqua di Gesù è il fatto decisivo, e la Chiesa ,nata da lui, è l’espansione vitale, universale, incoercibile. Tutto quanto a compimento della grande storia di Israele, incentrata su Gerusalemme. Si tratta di un disegno immenso che Dio condurrà a compimento a poco a poco. La prima condizione del discepolo è la pazienza davanti all’insuccesso. Gesù rimprovera Giacomo e Giovanni e li invia a concedere il tempo necessario alla realizzazione della conversione e al progresso del regno. L’impazienza dei due discepoli è talora la nostra, non è vero?

Cap. 9,57-62. In tre piccole, ma significative scene, Luca espone le condizioni richieste per seguire Gesù. I tre episodi sono sfrondati di ogni riferimento alle situazioni reali concrete, per cui diventano tre casi tipici che valgono per ogni discepolo. Per comprendere l’urgenza e la serietà delle esigenze di Gesù si deve tenere conto del contesto. Gesù è decisamente incamminato sulla via che lo porta alla morte. Chi accetta l’impegno a seguirlo non deve farsi illusioni e deve ben ponderare il rischio che corre. Gesù non vuole fare da solo il viaggio verso Gerusalemme; d’altra parte seguirlo comporta delle istanze e delle decisioni che sono vitali. Questa è la rivelazione dei primi tre incontri che Gesù fa non appena iniziato il viaggio che lo porterà verso la città santa. Chi vuole seguirlo deve disporsi sul suo esempio a subire disagi e a giungere a rotture che psicologicamente possono ferire.

Oltre alla pazienza, Gesù richiede a chi lo vuole seguire come discepolo: la vita comune con lui (una vita disagiata: viaggi, povertà, contentarsi dell’ospitalità offerta); un impegno missionario a cui tutto dovrà essere subordinato; una rinuncia ai vincoli umani per formare una nuova famiglia con lui. Queste esigenze vanno interpretate nel quadro del servizio del regno e ogni cristiano deve tendere all’ideale di vita austera e distaccata proprio del discepolo; Luca mette maggiormente in rilievo l’ascesi della comunità cristiana, pellegrinante insieme col Maestro, nella missione propria del servo sofferente, verso la propria Pasqua. Dalle sentenze del brano emerge che l’annuncio del regno di Dio non tollera ritardi e rimandi, ripensam,enti nostalgici o remore di sorta. La rottura con il passato e l’impegno per il nuovo futuro non possono essere se non totali.

E oggi? Da un parte c’è l’urgenza missionaria (anche nelle nostre società), dall’altra la preoccupazione per le defezioni e l’incostanza dei credenti, così le tre sentenze di Gesù sono l’occasione di un test serio di fedeltà agli impegni cristiani.

Indice Vangelo di Luca