Vangelo di Luca – Cap 1,5-25 al 1,57-80

Massimo Stanzione - annuncio nascita Battista

Annuncio della nascita di Giovanni Battista

Cap. 1,5-25

Al tempio di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote chiamato Zaccaria, appartenente alla classe di Abia; la sua sposa, una discendente di Aronne, si chiamava Elisabetta. *Dal punto di vista religioso, erano ambedue fedeli, perché in modo integerrimo praticavano tutti comandamenti e i precetti del Signore. *Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile ed entrambi erano avanti negli anni. *Per Zaccaria venne il turno, assegnato alla sua classe, di servire nel tempio di Dio. *Secondo l’usanza del servizio sacerdotale, egli fu scelto a sorte per offrire l’incenso dentro il santuario del Signore. *Durante l’ora dell’offerta dell’incenso tutta l’assemblea del popolo pregava all’esterno. *Allora gli apparve un angelo del Signore, in piedi alla destra dell’altare dell’incenso. *A quella vista Zaccaria fu sconvolto e un religioso timore si impossessò di lui. *Ma l’angelo gli disse: Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata ascoltata; la tua sposa Elisabetta ti darà un figlio e gli metterai nome Giovanni. *Questo sarà per te motivo di gioia e di letizia e molti si rallegreranno per la sua nascita. *Egli infatti avrà un grande compito da parte del Signore; per questo non berrà né vino, né altre bevande inebrianti e sarà consacrato dallo Spirito Santo fin dal seno di sua madre. *Suo compito sarà di convertire al Signore, loro Dio, molti del popolo d’Israele, *preparando la sua venuta con lo spirito e la forza di Elia, in modo da realizzare una tale conversione che i padri si compiaceranno nei figli e i ribelli torneranno a sentimenti di vera giustizia, e così presentare al Signore un popolo ben disposto. *Zaccaria disse all’angelo: Quale prova ho per sapere se questo è vero? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni. *L’angelo gli rispose: Io sono Gabriele, uno di quelli che stanno direttamente agli ordini del Signore, e sono stato inviato per comunicarti questa buona notizia. *Ebbene, poiché tu non hai voluto credere alle mie parole che si compiranno al momento stabilito, ecco che sarai ridotto al silenzio e non potrai più parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno. *Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel santuario. *Ma quando uscì egli non riusciva a parlare; allora compresero che nel santuario aveva avuto una visione. Egli tentava di farsi capire con cenni, ma restava muto. *Quando terminò il periodo del suo servizio al tempio, ritornò a casa. *Qualche tempo dopo Elisabetta, sua moglie, rimase incinta e non si fece vedere per cinque mesi, mentre andava pensando tra sé: * Ecco come ha agito con me il Signore, ora che si è degnato di porre termine a quella che era la mia vergogna in mezzo alla gente.

Le apparizioni di angeli sono il segno che le barriere antiche tra il cielo e la terra sono cadute o almeno stanno per cadere, come in questo caso, e sta per apparire sulla terra degli uomini un’epifania del mondo celeste. L’iniziativa parte da Dio, perché ogni cosa grande viene da Lui. Infatti, con stile solenne, che rammenta le antiche narrazioni della Bibbia, si apre la prima scena del vangelo delle origini: l’annuncio e la promessa della nascita di Giovanni il Battista. I due protagonisti, Zaccaria e a moglie Elisabetta, imparentati con la grande stirpe sacerdotale, sono due giudei devoti e praticanti secondo l’ideale tradizionale. La loro umile vicenda familiare viene riletta da Luca attraverso la lente d’ingrandimento dei grandi personaggi biblici: una coppia fedele a Dio, ma senza figli e in età avanzata, proprio come Abramo e Sara, come i genitori di Sansone, e quelli di Samuele. Su questo sfondo religioso, che evoca già le attese e le speranze bibliche, si staglia la scena sconvolgente del messaggio divino.

Il solenne contesto liturgico fa da degna cornice all’apparizione dell’angelo e al suo messaggio decisivo, che segnano una svolta nella storia salvifica. Il racconto a questo punto segue la falsariga delle narrazioni di annuncio della nascita di personaggi dell’A.T.: apparizione dell’angelo, turbamento di Zaccaria, messaggio dell’inviato divino e segno di conferma. La novità è costituita dal contenuto del messaggio. Si tratta di un messaggio importante perché è portato dall’angelo Gabriele che, nella tradizione dell’A.T., è incaricato di svelare il senso ultimo della storia salvifica. Infatti, l’inviato divino annuncia la nascita di un uomo straordinario, scelto e abilitato da Dio per un compito unico: preparare la venuta del Signore. Zaccaria, superato il primo moto di spavento e di stupore, esprime il dubbio, basato sulle categorie delle possibilità umane. La sua fede non ha raggiunto ancora l’altezza e la profondità sufficiente; non ha ancora sperimentato che innanzi a Dio niente è impossibile, e che la sua potenza inizia proprio là dove la debolezza dell’uomo mostra i limiti delle sue possibilità.

La figura e il ruolo del Battista, con i tratti del profeta degli ultimi tempi, fa comprendere subito a tutti noi che siamo alla svolta decisiva della storia. Vale a dire che le promesse dell’antico popolo giungono a compimento e il profeta, che “precede il Signore”, raccoglie tutte le attese per purificarle ed esaltarle. La reazione di Zaccaria, che chiede un segno di conferma, rientra nel canovaccio dei racconti di annuncio (“Beati quelli che sanno ascoltare in profondità, perché udranno Dio!” Soprattutto ai giorni nostri sembra incredibile che Dio ci parli, eppure egli lo fa ininterrottamente. Perché, allora, non udiamo la sua voce? Semplicemente perché non stiamo in ascolto. La sua lunghezza d’onda egli la rivela a chi lo prega e l’ascolta in silenzio). Ecco che il segno dato a Zaccaria è nello stesso tempo un segno dell’efficacia della parola di Dio e un castigo per la sua poca fede. Il silenzio che colpisce Zaccaria venuto a contatto con il mondo divino, è anche la cornice adatta per accogliere questi grandi avvenimenti guidati sovranamente da Dio: “Le mie parole si compiranno al tempo stabilito”.

Il compiersi delle parole dell’angelo è descritto con sobrietà e religiosa commozione nei versi conclusivi. Elisabetta, come le antiche madri dei patriarchi, riconosce l’intervento benevolo di Dio nella sua gravidanza insperata. Il suo nascondimento ha la stessa funzione religiosa del silenzio di Zaccaria e prepara la piena rivelazione e l’esplosione di gioia che risuonerà nell’incontro con la madre del Messia. Questo primo episodio c’introduce nel clima del vangelo dell’infanzia. Un clima di gioia e letizia.

Annuncio della nascita di Gesù

Capitolo 1,26-38

Nel sesto mese l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, *a una giovane promessa sposa a un uomo, discendente di Davide, chiamato Giuseppe; e la giovane si chiamava Maria. L?angelo entrò da lei e le disse: Rallegrati Maria, ricolma del favore di Dio, il Signore è con te. *A queste parole essa rimase molto turbata e cercava di comprendere che cosa potesse significare un tale saluto. *Ma l’angelo le disse: Non temere Maria, poiché hai trovato il favore di Dio. *Ecco, tu sarai incinta e darai alla luce un figlio e gli metterai nome Gesù. *Egli sarà grande e sarà proclamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Iddio gli affiderà il regno di Davide, suo antenato, *e regnerà per sempre sui discendenti di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine. *Maria disse all’angelo: Come è possibile questo, dato che io sono vergine? *L’angelo le rispose: Lo Spirito santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo sarà presente in te; e per questo colui che nascerà da te sarà santo, Figlio di Dio. *Ed ecco Elisabetta, tua parente, anch’essa è incinta e attende un figlio nella sua età avanzata; ed è già al sesto mese lei che *era considerata sterile, perché nulla è impossibile a Dio. *Allora Maria disse: Sono la serva del Signore; avvenga a me ciò che hai detto. E l’angelo partì da lei.

E’ impossibile cogliere il segreto della storia umana, senza subito comprendere che all’inizio di questa storia, vi è stata una gran tragedia: il peccato originale! Tale peccato ha lasciato delle tracce in tutto il genere umano, nella creazione stessa. E’ da tale maledizione, osiamo dire, che nel “sì” della Vergine Maria, è penetrata, per volere di Dio, nel suo smisurato amore per l’umanità, la generazione verginale dell’uomo eterno.

Che cosa significa?

Il mistero dell’Annunciazione, non consiste solo in una glorificazione sentimentale della SS. Vergine, si tratta di un atto fondamentale pensato nella storia dei tempi, in mente Dei per la redenzione del genere umano, in altre parole la possibilità del ritorno all’innocenza eterna. E’ per questo fine che la Santa Vergine è stata concepita Immacolata, ha concepito da Dio in modo puro, privo di peccato, ha generato pur rimanendo vergine, ha seguito suo Figlio fino alla croce e nella sua Ascensione con la propria Assunzione. La concezione misteriosa di Gesù Cristo, il mistero dell’Annunciazione, contiene un oceano di possibilità d’adorazione e di meditazione, e questo non è per suscitare speculazioni filosofiche, falsi sillogismi, ma soltanto una vibrazione nella nostra anima ogni qual volta all’inizio della preghiera del Rosario diciamo: “Nel primo mistero si contempla…”

Un angelo a Nazareth per rivelare a Maria una cosa grande: “Esulta, o piena di grazia; il Signore è con te” (Lc.1,28). Maria, sconcertata, imbastisce un dialogo investigativo per saperne di più. Anche l’angelo, a sua volta, manifesta sorpresa. Lo smarrimento di Maria, infine, si muta nella consapevolezza di essere stata pensata, concepita, voluta, creata da Dio per Dio. Infatti l’angelo la esorta ad aver fiducia e a non temere, “perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc.1,30). Dio ha bisogno d’incontrare gli uomini dopo la colpa originale. Egli non accetta la sua solitudine divina e predilige le creature. Egli non li può lasciare nel peccato, nel rifiuto del suo amore, un progetto di salvezza. Anche noi, come Maria, siamo interpellati e avvicinati da Dio in Gesù per mezzo dello Spirito Santo. Dio ci vuole incontrare, conoscere, amare e servire. Egli c’insegue, ci chiama per nome, ci richiama, ci attende; cammina con noi, gioisce e soffre con noi, spera ed ama con noi, perché l’amore, ogni amore viene da lui che è amore per essenza (Gv.4,8).

Per vivere la nostra esperienza umana, si fa uomo in Gesù per essere ancora oggi uomo del nostro tempo, eccetto che nel peccato. Viaggia con noi, osserva, urla, grida con la voce dei suoi profeti dovunque un uomo cerchi di riscoprire se stesso, il senso del pensare, dell’agire, del vivere nella prospettiva di un fine ultimo. L’incontro di Maria con l’angelo evidenzia alla coscienza il ruolo e il significato vocazionale della sua esistenza. E’ ciò che Dio, in Gesù, vuol, farci capire, ossia che Egli è il senso e la ragione ultima del nostro esistere.

Maria nella mente di Dio. Dopo l’evidente stupore, Maria sceglie il silenzio e l’ascolto. Lei si convince di dover sentire prima il messaggio dell’angelo, poi riflettere. Dio non si manifesta direttamente, ma attraverso i suoi ambasciatori: angeli, arcangeli, angeli custodi, oppure attraverso la natura, la Creazione, i Patriarchi, i Profeti, la Legge, infine mediante il Figlio suo, l’Unigenito Gesù Cristo. Ma egli resta un Dio presente e nello stesso tempo nascosto, un Dio fatto uomo ma velato dall’uomo, in ogni uomo, in te, in me, in noi.

La grandezza inaccessibile di Dio c’impedisce di vederlo come egli è: “Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione” (2 Cor.5,6-7). Maria è condotta dall’angelo a scoprire Dio-persona. L’intelligenza divina, pulsante d’immenso e smisurato amore per l’uomo, comunica alla fanciulla di Nazareth ciò che per lei ha stabilito e deciso. Dio, in questo modo, permette alla Vergine Maria di entrare in contatto con il suo futuro, con ciò che lei dovrà divenire secondo la sua volontà. Maria intuisce che la sua vita futura è nella mente di Dio e che soltanto in lui ha significato. Inoltre percepisce la gioia di essere totalmente creatura di Dio e, in quest’ottica, intravede anche l’unica via per essere se stessa. Dio ci pensa, ci crea dal nulla per amore, ci fa passare dal non essere all’essere, sempre per amore, perché “Egli è amore”.

La nostra radice è l’amore di Dio, il quale diventa la chiamata di Dio, la vocazione vera d’ogni essere vivente e razionale, d’ogni uomo, donna, bambino, fanciullo, giovane, adulto, anziano. Ciò che Dio ha stabilito per ciascuno di noi, proviene dal suo amore e porta sicuramente al possesso del suo amore, se diciamo con Maria:

“Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc.1,38).

Maria nel progetto di Dio. Lo stupore di Maria, davanti all’angelo, è tradotto con questa espressione: “Maria si turbò, andava pensando tra sé che cosa stesse per significare quel saluto” (Lc.1,29). A questo punto, il dialogo con Dio muta la psicologia, ne cambia lo stile, soprattutto modifica le relazioni e gli obiettivi esistenziali. L’angelo squaderna alla fanciulla di Nazareth le pagine in cui si contengono le cronache della sua prossima missione e dei futuri avvenimenti che la riguarderanno, i disegni dell’Altissimo, che prevedono, innanzitutto, la sua maternità divina e il suo totale coinvolgimento nell’Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, il Figlio di Dio. “Dio vero da Dio vero, generato e non creato, della sostanza del Padre”.

In modo analogo ciascuno di noi è trasformato, rigenerato col Battesimo in Figlio di Dio per mezzo di Gesù. Come Maria i cristiani si abbandonano alla pienezza della grazia che Dio ha stabilito per noi.

Maria sposa dello Spirito Santo. Maria è la creatura preservata dalla colpa originale, unica persona umana da sempre “giardino dell’eden”, la sola a cui Dio, scendendo nel cuore umano, rivolge la parola con successo, perché tutta pura, tutta bella, tutta santa, tutta vera, sincera, umile, obbediente, aperta al dialogo, serva della sua volontà, disposta ad essere ciò che a Dio piace, a volere ciò che Dio vuole, ad amare l’amore di cui è espressione e testimonianza perfetta.

Donna, opera dell’amore di Dio Uno e Trino, “termine fisso d’eterno consiglio”, Maria, per la prima volta, si vede con gli occhi di Dio, si coglie come Dio l’ha concepita, comprende d’essere tutta di Dio, unicamente di Dio, perciò non può negare a se stessa ciò che è: “Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà; perciò il Santo che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio…perché nulla è impossibile a Dio” (Lc.1,35-37).

Questa grand’evidenza invade la coscienza di Maria che, dopo le illuminazioni divine scoperte dentro di sé, non esita ad assecondare liberamente la richiesta di Dio. Così il Figlio di Dio diventa uomo per opera dello Spirito Santo nel seno purissimo di Maria vergine. Al fonte battesimale, nel quale siamo stati rigenerati per mezzo della morte e resurrezione di Cristo col battesimo, lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio ha preso dimora in noi facendoci partecipi del progetto di Dio in Gesù, che ci riempie del suo amore, affinché ciascuno di noi sappia diffondere “il buon odore di Cristo” attraverso le opere della carità, della condivisione, della comunione con il prossimo, spezzando le barriere e le staccionate erette dalla cultura dell’egoismo e del superuomo.

Maria entra a far parte del “Nulla è impossibile a Dio”. Contempliamo Marita, capolavoro della grazia divina, sposa dello Spirito santo, piena di grazia, perché lei ha accettato di svuotare se stessa, tutta se stessa, per essere riempita solo da Dio e del suo amore, per questo l’angelo trova spontaneo chiamarla “piena di grazia, il Signore è con te”; anzi il suo essere esulta, gioisce e canta: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché grandi cose ha fatto in me Colui che è potente, e santo il suo nome” (Lc.1,46-49.

Ciò che vedono gli occhi dello spirito evangelico, nel dialogo con Marita, è l’incertezza umana nel recepire in modo pieno ed esaustivo il messaggio divino. Al suo cuore di donna, pur concepita dall’amore di Dio e destinata all’amore dello Spirito Santo in vista dell’incarnazione del Verbo, Gesù di Nazareth, appare impossibile ciò che l’Altissimo le chiede per bocca del suo messaggero. Maria è sconcertata di fronte al suo destino, al suo futuro e alla sua vocazione. Lei è scossa nel profondo del suo essere creatura limitata, simile ad ogni altra. E nel sentire che i n lei scenderà “la potenza dell’Altissimo”, Maria precipita nella convinzione che tutto ciò è impossibile. Ma Dio si rende chiaro ed inequivocabile ai suoi occhi. Infatti, egli non è geloso; anzi apre la sua natura divina a chi ama e, amando, lo eleva a partecipare al suo disegno di salvezza. Quando Maria percepisce tutto ciò in virtù dello Spirito Santo comprende anche di far parte del “nulla è impossibile a Dio”.

L’epilogo è trascritto da Luca, in modo incisivo, con queste parole: “Ecco l’ancella del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola” (Lc.1,38).

Fare esperienza di Dio. Nella scena dell’annuncio, Maria matura da una parte la consapevolezza della propria creaturalità e limitatezza umana, dall’altra la consapevolezza che l’amore l’ha resa strumento di Dio, luogo della Trinità, donna eletta dall’Onnipotente in vista della redenzione. Dio le domanda così di entrare in comunione totale con Lui. A lei è richiesto, come ad ogni cristiano nel giorno del battesimo, di far parte dell’azione di Dio nell’umanità, di fare esperienza con lui, di predisporre anima, corpo, spirito, tempo, spazio, energie e ogni risorsa di se stessa, al servizio della volontà di Dio. Fare esperienza con Dio significa per Maria impegnarsi a tempo pieno con Lui, facendo di se stessa un umile e docile strumento dello Spirito Santo, affinché operi, attraverso di lei, impiegando la sua completa disponibilità, donazione, abbandono obbediente e tutto ciò che nel mistero della Provvidenza è stato deciso per il bene dell’umanità e dell’intero genere umano.

Visita di Maria a Elisabetta.

Capitolo 1,39-56

Pochi giorni dopo Maria si mise in viaggio verso la regione montuosa e raggiunse in fretta una città della giudea. *Appena entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta. *E quando Elisabetta sentì il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo, ed essa fu ricolma di Spirito santo. *Allora esclamò ad alta voce: Tu sei la più benedetta della donne, e benedetto è il figlio che porti in grembo. *Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga a me? *Perché appena il tuo saluto mi è giunto all’orecchio, ecco che il bambino ha sussultato di gioia nel mio seno. *E beata coli che ha creduto nell’adempimento di ciò che le è stato detto dal Signore. *Allora Maria disse: L’anima mia esalta il Signore *e il mio spirito si rallegra per Dio, mio salvatore, *poiché volse lo sguardo alla sua umile serva. Ecco, d’ora innanzi tutte le generazioni mi chiameranno beata. *perché l’onnipotente ha fatto per me grandi cose: santo è il suo nome.* La sua bontà verso quelli che gli sono fedeli si rivela in continuità per ogni generazione. *Egli ha rivelato la sua potenza efficace: ha disperso gli orgogliosi nei loro progetti, *ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umile; *ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. *Ha soccorso Israele, suo servo, per essere fedele al suo amore misericordioso, *come aveva promesso ai padri nostri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. *Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi; poi ritornò a casa sua.

L’episodio della visita di Maria ad Elisabetta è un ampliamento della scena precedente dell’annuncio. Il “segno”, promesso dall’angelo, trova qui la sua conferma. Inoltre questa scena, nella quale s’incontrano le due madri, stabilisce il raccordo tra le due annunciazioni e i rispettivi figli: Giovanni e Gesù. Attraverso la propria madre il profeta precursore saluta e rende testimonianza al Signore Messia, presente in Maria di Nazareth. Questo significato dell’incontro delle due madri è suggerito dalle discrete allusioni ad episodi e personaggi dell’A.T. che s’intravedono come in filigrana. Elisabetta accoglie Maria “ad alta voce” come il popolo di Dio accolse l’arca della presenza di Dio con forti acclamazioni.

Elisabetta interpreta l’agitarsi della nuova vita, che porta in grembo, come un annuncio profetico della gioia messianica da parte di colui che doveva essere consacrato dallo Spirito Santo fin dal seno materno. Maria è ora l’arca che reca la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo. Essa, infatti, è salutata da Elisabetta come la più benedetta delle donne, perché il bambino, che è in lei, è il Signore. Infine Elisabetta proclama la beatitudine di Maria, dando un significato profondo alla sua maternità: Maria è colei che ha creduto nell’efficacia della parola di Dio.

Al primo avverarsi della parola salvifica e alla beatitudine della fede, segue il primo commento lirico: il magnificat. Un cantico di ringraziamento che celebra in tre momenti successivi la storia salvifica contemplata nella nuova prospettiva del suo compimento messianico. La prima parte, 1,48-50, esalta il dialogo tra l’umiltà e apertura del credente e la forza efficace di colui che è il Santo e il Fedele. Questo dialogo per la comunità cristiana, trova il suo paradigma nella “serva” di Nazareth. Nella seconda parte, 1,51-53, si trova una conferma storica dell’agire di Dio: ciò che egli attuerà in futuro, ha la sua garanzia in ciò che ha sempre fatto nella storia. Sorge nella speranza un mondo nuovo, dove sono sconvolti gli schemi consueti della storia mondana: coloro che contano per Dio, coloro che portano avanti il progetto di giustizia non sono gli orgogliosi, potenti e ricchi, ma gli umili, gli affamati, che coincidono con quanti si fidano di Dio. Si annuncia un capovolgimento, che parte dalle coscienze di coloro che sono totalmente aperti al nuovo progetto di Dio e investe i rapporti di potere e le strutture socio-politiche. Tutto questo non è una fumosa speranza utopica, perché si fonda sulla fedeltà di Dio, che non si smentisce mai. Ora egli è intervenuto in modo efficace mantenendo fede alle sue promesse storiche fatte ad Israele, 1,54-55.

Gesù è il discendente d’Abramo, il vero “servo di Dio”, che assume in prima persona l’impegno di dare compimento alle speranze dei poveri, che si fidano del futuro di Dio.

La preghiera che san Luca mette sulle labbra di Maria è esemplare. Non solo per i sentimenti che esprime (lode, gioia e umiltà), né unicamente per il tema trattato (la speranza del Nuovo Testamento), ma per il genere letterario stesso. Infatti, il Magnificat riproduce nella sua purezza la struttura ideale della preghiera biblica “dell’eucaristia” (azione di grazie).

Possiamo rammaricarci che il linguaggio corrente riservi il termine “eucaristia” alla sola celebrazione della messa, la quale è di certo l’eucaristia per eccellenza, ma non la sola. Più precisamente, il sacrificio della messa e la grande tradizione della preghiera biblica hanno un denominatore comune: entrambi celebrano i prodigi della storia della salvezza. Nella preghiera ordinaria, la rievocazione del fatto storico rimane esclusivamente spirituale. Nella messa, invece, l’anamnesi (commemorazione o ricordo) è accompagnata dal rinnovamento sacramentale del suo oggetto: il sacrificio di Gesù Cristo. In che cosa consiste il genere letterario dell’eucaristia?

Esso comporta due elementi: lode e ricordo; talvolta tre: lode, ricordo e supplica (= uno sguardo sull’avvenire). La preghiera eucaristica inizia con un grido d’ammirazione mista a riconoscenza, come per esempio: “Sii tu benedetto, mio Dio”, oppure “Lodate il Signore…”. Segue la commemorazione delle meraviglie di Dio che hanno motivato la lode. Infine, una supplica per l’avvenire che si spera simile al passato di grazia. Questo andamento che distingue numerosi salmi si applica tale e quale alla messa: sacrificio di lode, commemorazione e rinnovamento della Croce, pegno della gloria futura e preghiera di supplica.

Nel Magnificat distinguiamo il triplice schema:

  • Lode: L’anima mia magnifica il Signore
  • Ricordo: perché ha guardato l’umiltà della sua serva
  • Sguardo sull’avvenire: …come aveva promesso ad Abramo e alla sua Discendenza per sempre

La Vergine Maria, dall’Arcangelo Gabriele, ricevette l’annuncio di essere stata eletta da Dio Padre, Madre del Salvatore. Dopo un istante di stupore, perché l’Angelo l’aveva chiamata “La piena di grazia”, Maria obiettò di non poter accettare a causa del voto di verginità con il quale si era legata. Tuttavia, saputo che esso non costituiva impedimento, perché avrebbe conservato la verginità, pronunciò il suo Fiat. Avendo appreso dall’Angelo che Elisabetta sua cugina era incinta, con sollecitudine si recò a visitarla. Alla sua vista, Elisabetta sentì trasalire il bambino che portava in seno e, illuminata dallo Spirito santo, conobbe il mistero dell’Incarnazione.

La Vergine Maria vede compiersi in lei la più grande delle meraviglie: la concezione del Figlio di Dio, Gesù il salvatore. Ma il canto che innalza dalle sue labbra non è soltanto suo. In Maria, l’umanità che diventa chiesa rende grazie per il dono della salvezza. Nel Magnificat ritroviamo quattro parole chiave: la misericordia – il ricordo – Abramo – la promessa. L’idea predominante del cantico è quella di continuità. Le generazioni sono legate le une alle altre dal filo del disegno di Dio sull’umanità. Da Abramo all’eternità si svolge una sola storia, si adempie una sola promessa. Tuttavia, l’ininterrotta continuità della storia della salvezza è di per sé generatrice di rottura: il capovolgimento delle situazioni fondate sull’opposizione a Dio. Spodestati e rovesciati, l’orgoglio, lo spirito di potenza e la cupidigia svaniscono nella scia del Signore che viene. Con la sicurezza dei profeti, Maria parla al passato. Per lei, il gioco è fatto.

Presente il Salvatore, la vittoria è acquisita.

Certo, il Magnificat è rivoluzionario, ma non è il canto dei rivoluzionari. Non fa appello alle armi, ma alla fede. Orgoglio, spirito di potenza e cupidigia sono incompatibili con il regno di Dio (Gal.5,19-21). La loro sorte è quindi segnata. Madre del Salvatore, Maria si pone tuttavia fra i salvati (“…e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”). Il fatto che sia stata scelta per essere lo strumento della meraviglia dell’Incarnazione è nella logica delle beatitudini che fa preferire il povero al ricco, l’umile al superbo e il debole al potente. Poiché Maria era stata concepita senza peccato originale, non avrebbe dovuto essere soggetta alla comune pena di dolore. Però, perché fosse nostra corredentrice, una volta divenuta miracolosamente la Madre di Gesù, con le sue sofferenze cooperò intimamente con quelle di suo Figlio.

In questo soave cantico, la Vergine, ricordando la promessa di Dio ad Abramo, “…come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre” (Gen.22,18), preannuncia appunto la conversione dei popoli pagani. Il Magnificat c’insegna a non ripiegare la nostra preghiera su noi stessi, ma ad allargarla alle dimensioni del mondo e della storia. Il Cantico c’invita ad esercitare il nostro carisma profetico di battezzati. In quale modo? Guardando di là delle apparenze. La potenza degli orgogliosi è sul punto di crollare. La nostra speranza già si realizza. La profezia ha il senso della continuità e della rottura.

Continuità: essa sa da dove viene e verso quale avvenire conduce.

Rottura. Dice no a tutto ciò che contraria lo Spirito.

L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore.

E’ il cantico della coscienza di sé e del privilegio ottenuto, il cui primo versetto ricorda l’intera tematica del cantico. Nella storia della salvezza nessun individuo è stato gratificato di tanta fiducia come Maria: ciò di cui Dio la ritiene capace, e che allo stesso tempo esige da lei, è unico, e quindi esemplare, per tutte le generazioni cristiane..

Per il cristiano d’oggi, Maria è e rimane il modello di vita valido davanti a Dio. Il Magnificat vi trova il suo complemento grazie all’ancilla domini quotidiano e al fiat mihi secundum verbum tuum: nell’ Eccomi Signore – Maria risponde con la sua disponibilità senza limiti alla fiducia del Dio che la chiama. Essa è disponibile per tutti i disegni di Dio e nel fiat – in altre parole “si faccia di me come hai detto tu” – Maria offre a Dio, in pratica, carta bianca quando dichiara: “La tua volontà deve diventare la mia!”

L’ultima immagine mariana del Vangelo è ancora un’immagine dello Spirito Santo, la Pentecoste; lo Spirito discende sotto forma di lingue di fuoco su Maria e gli apostoli: per lei, è la seconda pentecoste, per la Chiesa la prima; qui, il Magnificat diventa il cantico di tutta la Chiesa. Accanto allo Spirito di Dio, Maria è sempre al centro, sia durante la prima che la seconda pentecoste: questo, perché l’esperienza della cristianità è continua. Dove c’è Maria, là c’è lo Spirito di Dio; dove c’è Maria c’è l’entusiasmo verso la santità, ci sono vocazioni religiose, là nascono dei movimenti spirituali; dove invece non si sa che cosa fare di Maria, lo Spirito di Dio viene meno, l’entusiasmo si spegne e non nascono più vocazioni religiose. L’esortazione dell’apostolo: “Non spegnete lo Spirito!” (1 Ts.5,19) significa, in questa prospettiva: “Non perdete di vista Maria!”.

Perché ha guardato l’umiltà della sua serva. Dora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Il versetto che stiamo esaminando, è intessuto di reminiscenze bibliche. Qui, come nelle descrizioni dell’annunciazione e della visitazione, possiamo notare il costante ricorso ad immagini e parole dell’Antico testamento; qui Maria, una vera figlia di Sion, è la realizzazione della speranza messianica d’Israele. Essa è presentata come in continua e stretta unione con la storia del suo popolo e con la Sacra Scrittura della quale vive semplicemente, tanto da manifestare la sua gioia con le parole dei salmi e delle profezie. Maria non gioisce e non canta da sola, ma – e questo è molto importante – in unione con tutto il popolo di Dio: la serva di Dio, in quanto figlia di Sion e ricettacolo scelto da Lui, rappresenta Israele, il Servo del Signore.

La gioia di Maria sgorga da un riconoscimento illimitato e da un’azione di grazie. Tutto il suo essere, la sua anima e la sua voce, rendono gloria all’unico Dio; essa non conserva nulla per sé e riconosce che tutto proviene soltanto dalla grazia di Dio in lei, la “piena di grazia”. L’evento soprannaturale e unico che la riguarda non si è compiuto per la sua gloria personale, ma solo per quella divina e rivela la straordinaria gloria di Dio: l’anima di Maria loda il Signore.

La fonte della sua gioia è Dio, il Signore della gloria, che ha degnato di posare il suo sguardo sulla più povera e umile creatura del mondo per farne la propria serva. Qui compare il tema fondamentale di una povertà che perviene alla gloria: è perché Maria non ha motivi per vantarsi, perché è vergine, perché è povera, perché abita in un villaggio sconosciuto, perché non è orgogliosa né ricca, che Dio la ama e la sceglie per compiere proprio in lei grandi cose: il ricettacolo del Figlio di Dio, del Salvatore. La gloria giunge nel mondo attraverso una porta d’umiltà e di povertà.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome.

Per Maria, non c’era motivo di vantarsi, bensì di dimostrarsi riconoscente, poiché non si può parlare di merito, ma di dono: il Signore si è degnato di abbassare gli occhi, ha scelto, ha fatto un dono; ha rialzato l’umanità dalla miseria, l’ha innalzata verso di sé; ha affidato suo Figlio alla madre: è lui che ha compiuto tutto questo. In questa nuova situazione, la santa vergine si conserva umile: è per questo motivo che è debitrice di Dio e lo glorifica. Se lo ha sempre fatto, ormai ne ha nuovi e importanti motivi: in quel momento il Signore ha cominciato a compiere attraverso lei una nuova ondata di benefici nel mondo. Le generazioni, le nazioni e i continenti vivranno di suo Figlio Gesù: questo inizio non verrà mai dimenticato e nessuno potrà negarlo, come non si può negate che un fiume abbia una sorgente. Sempre e ovunque, tutti si ricorderanno della Vergine di Nazareth grazie alla quale un nuovo torrente di grandi cose di Dio ha avuto inizio in Gesù Cristo.

Dio è potente, unico e vero, ha cominciato, con la Vergine di Nazareth, a compiere nuovamente grandi imprese (dopo quelle dell’A.T.): Dio è potente per effetto del suo potere santo che nulla può vincere e che si manifesta in modo diverso rispetto a quello dei potenti della terra: egli dona, ma dona per primo e non toglie nulla; egli colma di doni coloro che non hanno altro da offrire che se stessi; egli dona amore e non attende che amore: compie tutto questo perché non solo è potente ma anche santo: è il Dio santo, il suo nome è il Santo. Il nome di Dio, il nome dell’Onnipotente, è santo, così santo e sacro che non si può pronunciare direttamente nella sua onnipotenza e santità. Dio è impronunciabile: è solo nel timore e nel profondo rispetto che ci si può rivolgere a lui, poiché egli è perfettamente santo, sopra di tutto. Di fronte a questa santità divina i profeti hanno tremato (Is.6,3): tutta la religiosità dell’A.T. è permeata della santità divina, santità che costituisce l’essenza più intima di Dio. La santa Vergine con questo versetto esprime l’essenza di quello che sta per accadere tra il popolo, culmine del lungo cammino della salvezza. Essa non parla solo per se stessa e a suo nome, parla per tutto il popolo di Dio, per il quale rende a lui grazie; parla in nome di tutte le generazioni, presenti e future, rammentando la grandezza e la santità di Dio.

Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

Consideriamo anzitutto questo versetto dal punto di vista globale: o, se preferiamo, rileggiamolo e poi, con gli occhi chiusi, esercitiamoci a spiegarlo nel modo più semplice possibile ad un bambino che immaginiamo si trovi accanto a noi; sono sicuro che egli comprenderà tutte le parole che adopereremo: ma riuscirà a comprenderne il senso, il valore, la ricchezza del versetto? E noi, onestamente, l’abbiamo compreso, in altre parole ricevuto e assimilato? Maria ama il suo Dio, non ci sono dubbi. Ma quello che scopre con meraviglia, quello su cui non può tacere, è la scoperta di questo mistero dell’amore di Dio per lei, così umile, così piccola.

E per l’umanità intera. Infatti, Maria non è che una creatura, della stessa natura di tutti gli uomini d’ogni tempo, dei quali la storia non fa che accumulare con il trascorrere del tempo la piccolezza e la povertà: di età in età. Temere Dio significa riporre la propria fiducia in colui che mi conserva nella stabilità, che assicura l’equilibrio: è la certezza di essere al sicuro finché ci si mantiene nel campo d’attrazione del più forte. Il Dio forte che si canta nella Bibbia e nella liturgia non è colui che abbandona i suoi, ma colui che li conserva nella propria zona d’influenza, sotto la sua protezione, nello splendore della sua potenza, nel caldo del suo amore.

Qualunque sia la durata del tempo nell’attesa dei segni sensibili della sua presenza, Dio stende il suo amore e prepara le vittorie. Certo, per un uomo la durata dell’attesa è assai relativa. Ma nella lotta personale contro noi stessi, per fare lo spazio che dovrebbe spettare a Dio nelle nostre esistenze, 2di generazione in generazione” significa certamente che Dio ci concede il tempo per lasciarci giungere a maturità, un passo alla volta, fedele alla meta del cammino come alla partenza. Ma il versetto ha anche un altro significato: un’epoca dopo l’altra. Se volgiamo lo sguardo a duemila anni di cristianesimo, assistiamo ad una certa scristianizzazione della nostra cultura europea; ma “di generazione in generazione”, la fedeltà di Dio ci garantisce che il seme sparso nella terra ha germogliato e crescerà, perché come la pianta ha le radici nel suolo che la nutre, il Magnificat di Maria ha le sorgenti nella Parola di Dio.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore.

Non è raro in coloro che incontrano la Parola di Dio la considerino spesso come un testo dei tempi passati, come un insieme di documenti storici: magari preferiscono leggerla in antiche traduzioni, per assaporare il gusto del tempo andato…Ma la Parola di Dio è “viva” (Eb.4,12), come Dio stesso è vivo (At.1,18; Rm.9,26; 2 cOr.3,3, ecc.) La Parola di Dio ha valore perpetuo, è eterna (Sal.118,89) come è eterno Dio (Sal.9,8) che l’ha pronunciata in modo definitivo: ed essa risuona, portata a noi, come un’eco eterna tra le rocce della storia del mondo. Così è stata “pronunciata” grazie allo Spirito Santo (Lc.1,35) la sua Parola sostanziale, la seconda Persona divina che resta in eterno, con il suo corpo risorto, fatto carne grazie allo Spirito Santo (Rm.8,11), in mezzo agli uomini, in mezzo alla Chiesa (Mt.18,20; Mt.28,20 ecc.) La Parola di Dio è efficace e operante: “Non ritornerà a me senza effetto, senza avere realizzato quanto volevo” (Is.55,11): essa monda coloro che la accolgono (Gv.15,3).

E’ così che gli ebrei intendevano la Parola di Dio. Essi adoperavano una stessa espressione per indicare la parola e l’azione, il fatto, l’avvenimento; ed è per questo motivo che nell’A.T. si dice spesso che la parola “si è fatta”, proprio come si trattasse di un avvenimento: la parola e l’effetto della parola, in pratica l’atto, il fatto, erano sempre strettamente legati alla concezione degli ebrei. In un sublime inno di riconoscenza, Maria rivela la sua esperienza della Parola di Dio: non si tratta di una dottrina, ma di un vissuto! E riferibile non solo a lei, bensì a tutto il popolo di Dio dell’A.T. e del N.T. Maria descrive un’esperienza personale e così facendo s’inserisce nella grande corrente delle esperienze che portano a Dio, corrente che dall’inizio della creazione giunge fino ad oggi: movimento incessante che sfocia infine nell’esperienza eterna del godimento senza fine di Dio.

Maria vuole impegnarci in questa gioiosa avventura di sperimentare la Parola di Dio…Questo dovrebbe essere il Cantico d’ogni cuore giovane, poiché la giovinezza d’oggi ama il vissuto e le esperienze: essa vuole toccare, avere la certezza, verificare, conoscere. E si può “toccare”…Pensiamo alla vita di Abramo, una lunga esperienza personale, che copre un’intera esistenza e che conduce a Dio. Gli ebrei hanno iniziato la loro esistenza come nazione grazie ad un potente atto di Dio: l’uscita dall’Egitto. Il Faraone era davvero orgoglioso: basta leggere i capitoli 4-13 dell’Esodo; e nel capitolo 15 troviamo il celebre canto degli ebrei sulla disfatta degli orgogliosi. Lo stesso avviene per la schiavitù babilonese (ad esempio il Libro di Ester); sul cupo sfondo di questa schiavitù dei giudei ha poi luogo il celebre ritorno verso Sion, che non si può interpretare in altro modo che come un potente atto “del suo braccio” e la disfatta degli orgogliosi: il Salmo 126 è un canto del ritorno. Simili “grandi cose del suo braccio” segnano così tutta la storia del N.T., sia nella vita comunitaria della Chiesa che in quella degli individui (per es. Paolo, Agostino, ecc.) Ma ognuno di noi porta nel cuore il “tocco” della propria storia di conversione personale.

Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili.

Dio è il creatore di tutto quello che esiste. Il gioiello di tutte le creature è la persona umana dotata d’intelligenza e di libera volontà, volontà che viene messa alla prova dallo spirito del male che suscita il desiderio di grandezza, in pratica d’essere simile a Dio. Dio ha permesso la caduta dei primi uomini, perché, secondo il disegno originale della creazione, la persona di suo Figlio sarebbe stata l’inizio di una nuova creazione: il regno della grazia! Per realizzare questo disegno, Dio ha scelto un popolo, del quale s’interessa in modo del tutto particolare: gli affida dieci comandamenti su tavole di pietra e gli invia dei profeti destinati a preparare il grande evento della venuta di Gesù Cristo. Tuttavia, la storia ci mostra l’evoluzione dei popoli, come siano divisi tra potenti e oppressi: l’orgoglio domina la storia. Alcuni potenti si ritengono dèi e vogliono imporre ai loro sudditi le misure più spietate per far accettare loro tutto quello che essi vogliono: ma quando il Creatore, l'”Io sono quello che sono”, decide che è giunto il momento della più grande rivoluzione della storia, la fonda sull’umiltà. Colui che viene a salvare l’umanità, è umile e anche gli individui destinati a contribuire alla realizzazione del più importante evento della storia delle relazioni tra Dio e gli uomini sono persone così umili che sarebbero altrimenti passate inosservate.

La prima di queste è Maria, alla quale l’angelo annuncia che darà alla luce un figlio: ma lei intendeva rimanere vergine; le viene annunciato in che modo ciò avverrà; essa accetta e da questo momento il Figlio di Dio diventa suo figlio, senza che nessuno lo sospetti. La seconda è Elisabetta, una donna ormai anziana che mette al mondo il precursore, Giovanni Battista. Tra queste due persone avviene un incontro, e un dialogo nascosto agli occhi e agli orecchi del mondo rimane per sempre, simile all’eternità divina. Si tratta della visita di Maria a sua cugina Elisabetta che, appena la vede le rivolge queste parole: “Perché mi accade questo, che venga da me la madre del mio Signore?”

Maria le risponde: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome….Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.

Nel corso di tutta la storia dell’umanità sono stati molti i casi in cui il Signore è intervenuto a rovesciare i potenti del momento, quelli che avevano perseguitato gli altri. Maria ha pronunciato le parole del Magnificat, ma ha anche udito quelle di Simeone: “Una spada trapasserà la tua anima”, eppure è rimasta in piedi sotto la croce come una regina; infatti, il coronamento della vita di Gesù, la sua crocifissione, era la garanzia che egli “ha rovesciato i potenti dai troni” e che ha “innalzato gli umili”, poiché il più irriso fra tutti è stato lui, il Signore della vita e della storia.

Ha ricolmato di bene gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.

“Eppure non gli manca niente per essere felice”, diciamo di solito riguardo alle persone ricche, colte, potenti, quando si vede chiaramente che sono infelici. Il fatto è che il denaro, anche se necessario, non crea la felicità e che la salute, per quanto sia importante, non basta, né la buona reputazione. Altre persone, al contrario, hanno attraversato prove terribili e la loro umile esistenza alimenta la nostra speranza. Questo significa che la felicità non consiste nel possedere, non più che nella povertà, bensì in un atteggiamento di fronte alla vita, di cui Maria ci offre il segreto nel Magnificat: la gioia è un dono di Dio. E’ come il mistero della perla nascosta in un campo, di cui parla il Vangelo: colui che l’ha scoperta va, vende tutto quello che possiede e compra questo campo.

I paradossi del vangelo sembrano l’opposto del buon senso comune; eppure è proprio mettendoli in pratica che tanti uomini hanno trovato la gioia, la vera gioia, non quella felicità frivola e fragile, quel godimento rapido ed effimero che è il piacere, ma la felicità duratura, l’autentica gioia, che non esclude la sofferenza ma la innalza nell’intensità dell’amore. La vita quotidiana porta con sé molte delusioni e sofferenze, che provocano scoraggiamento; l’amore, invece, non inganna: e il vero amore è povero; non è narcisista, né oppressore, né possessivo, né egoista: è la perla rara del vangelo (Mt.13,46). Come Maria, solo coloro che sono affamati di Dio possono incontrarlo, nella misura in cui si rendono disponibili all’amore come all’impegno, privi del verme roditore dell’acredine e del risentimento, dell’invidia e della gelosia, dell’egoismo e dell’orgoglio.

Gli affamati del regno di Dio non sono preda di pregiudizi né di ideologia, non stanno continuamente ad interrogarsi per sapere cosa rispondere ai dilemmi dei dotti e alle disquisizioni dei sofisti: infatti, la vita li costringe ad una risposta ed essi vi trovano la felicità del dovere compiuto, del lavoro quotidiano che, ogni mattina, chiede di essere realizzato senza rimandarlo a domani. “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”. L’attesa di tutti culmina nel magnificat della Vergine Maria, piena d’apertura verso Dio, d’umile e gioiosa disponibilità, di nuova speranza e d’intrepida carità. Così anche Gesù, Figlio di Dio fatto carne nel seno verginale di Maria s’inserisce chiaramente nella linea del Magnificat con l’ardente attesa del compimento: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt.11,29). Insieme alle beatitudini, il Magnificat è senza dubbio il testo più importante della storia umana: esso si rivolge a tutti, credenti e non credenti, e rimane, dopo duemila anni, l’unica luce che continua a risplendere nelle tenebre di violenza, di paura e di solitudine in cui il suo orgoglio e il suo egoismo sprofondano l’Occidente: queste parole sono per l’eternità roveti ardenti e stelle nella notte del mondo.

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia.

Maria era profondamente radicata nella tradizione del suo popolo. Questo risulta chiaramente dal fatto che il suo Magnificat non è una creazione artistica, ricca d’immagini originali ed emozionanti. Si tratta piuttosto di un inno ispirato dalle Scritture sotto forma di riferimenti o di citazioni. Lo stesso si può dire per il versetto che stiamo riflettendo. Esso fa riferimento ad Isaia (41,8), in cui Israele è chiamato servo: un servo vilipeso e disprezzato, respinto e maltrattato, la cui glorificazione deriva dal rovesciamento escatologico di tutti i rapporti. E’ nell’agire divino che ha il suo fondamento per il fatto che Dio si è ricordato della sua bontà; un agire divino che è la realizzazione delle promesse ricevute dai padri, primo fra tutti Abramo, depositario della promessa (Gn.12,2; 15,4-5). Questi ed altri riferimenti, impliciti od espliciti, rivelano quanto Maria si nutrisse delle Scritture.

Questa sua familiarità con le Scritture, di cui il Magnificat è testimone, costituisce per lei il terreno fecondo della sua piena disponibilità a diventare la madre di Gesù salvatore. Luca insiste notevolmente sulla sua disponibilità ad accettare dalla mano di Dio questa missione fondamentale, rilevando allo stesso tempo che essa costituisce il preliminare affinché Maria diventi la madre di Gesù “Figlio dell’Altissimo”, come detto dall’angelo dell’annunciazione.

La sublime e radicale dignità di Maria come madre di Gesù ha certamente altre componenti oltre a quelle umane. In primo luogo, questa maternità è una grazia, e quindi una missione che le ha affidato Dio; ma quando dispensa i suoi doni agli uomini, Dio deve poter trovare qualcuno che sia disposto ad accoglierli. Nei vangeli, Maria è lodata a ragione per aver accettato senza riserve il dono che Dio le elargisce: dice di essere la serva del Signore, disposta a quello che le deve avvenire. Ma anche per lei, l’improvvisa rivelazione della bontà di Dio durante l’annunciazione non è stato un avvenimento del tutto chiaro e netto: essa ha posto delle domande, ha chiesto chiarimenti. Non scordiamo che, in questo cantico di lode sul modo in cui Dio ha soccorso Israele, è il messaggio dell’angelo Gabriele a Maria che viene proposto in filigrana. E, in questo racconto, vediamo Maria porre una precisa domanda: “Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?”

Sono parole che hanno creato problemi agli studiosi d’ogni tempo: si riteneva certo che l’evangelista volesse in questo modo, richiamare tra l’altro l’attenzione sulla vigile intelligenza della madre del Signore; in altre parole, non è un “sì” cieco e istintivo verso ciò che le viene chiesto, che esce dalle sue labbra: essa vuole sapere e comprendere. Non si tratta di un aumento della conoscenza, a Maria non interessa, ma di pervenire all’intendimento e alla comprensione di quello che Dio vuole, in quell’istante. Nelle sue domande, essa si conferma quindi colei che è disponibile verso Dio, ed è per questo che ha potuto diventare la madre di Gesù e che l’angelo ha potuto salutarla come colei che ha “trovato grazia presso Dio”; figlia di Sion, diventa per così dire come la personificazione d’Israele, il servo al quale Dio viene in aiuto, nel ricordo della sua generosa bontà.

Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

Maria lascia esplodere la sua gioia. La silenziosa e pensosa figlia d’Israele non riesce a conservare per sé il flusso di gratitudine e di lode che la pervade. Domani conserverà “tutte queste cose in cuor suo”: oggi canta a piena voce il cantico che diventerà quello della Chiesa visitata dallo Spirito Santo in mattino di Pentecoste. L’ultimo versetto del magnificat colloca l’avvenimento nella storia che lo illumina, a partire dalle parole rivolte “ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. Ciò che Maria prova nell’intimo del cuore, cioè, secondo il senso di questa parola della Bibbia, nel profondo del suo essere, supera evidentemente ogni parola. Felicemente, come i membri più fedeli e pii del suo popolo, come Anna, figlia di Fanuèle, come tutti i “poveri del Signore”, essa può recitare pagine e pagine della scrittura senza sbagliare; e sono le stesse parole della legge e dei profeti che le vengono alle labbra per rivelare la sua esperienza più intima. Quasi tutto quello che essa ha cantato era già stato detto nei salmi, nei libri di Samuele, Michea, Isaia e di altri profeti, proprio come le parole del padre Nostro di Gesù erano già familiari in alcuni ambienti giudaici devoti prima che il maestro le riprendesse; eppure il loro contenuto diventa del tutto nuovo: le stesse note musicali compongono un canto mai udito.

“Come aveva promesso ai nostri padri!”: certo, tutte queste cose erano state dette; dove e quando? Sempre, da sempre! In ogni pagina del Libro Sacro si legge il racconto della bontà di Dio verso coloro che lo temono, dei suoi interventi “con mano forte e braccio teso” (Dt.4,34), delle sue vittorie sugli orgogliosi, i potenti e i ricchi, per la felicità degli umili e degli affamati, per la salvezza d’Israele suo servo. Maria era davvero una figlia d’Israele, una figlia di quel “popolo della lode” che, riprendendo le parole antiche, innalzava a Dio il Cantico nuovo. Maria non mutava le espressioni familiari imparate in casa e nella comunità: si limitava a disporle in un altro modo, più personale. Ma l’avvenimento insieme inaspettato, la venuta del Messia, è talmente prodigioso, il concepimento verginale che si compiva in lei, conferiva alle parole antiche un senso nuovo e sovrabbondante

Siamo pronti, nella nostra vita, a lasciar operare il dono di Dio, come ha fatto Maria? Siamo disposti a lasciare che Dio ci colmi dei suoi doni? A lasciare che egli ci sfidi? Siamo capaci di liberarci della febbrile attività quotidiana e della sciocca presunzione che vi si accompagna e che consiste nel credere che tutto quello che deve essere compiuto da parte del regno grava soltanto sulle nostre spalle? Riusciamo a sottrarci a questa forza quasi irresistibile che ci spinge ad impegnarci in ogni sorta d’attività –una delle caratteristiche della nostra epoca – e che c’insegue persino la domenica e durante il tempo libero? Non sarebbe necessario invece fare un po’ di silenzio dentro di noi, riservarci di tanto in tanto lunghe pause di calma e di concentrazione, in modo da essere pronti a udire, ad ascoltare, ad accogliere nel nostro cuore la soave voce di Dio? Potremmo almeno provarci?

Chi riesce a conservarsi silenzioso, concentrato e disponibile nel pieno dell’agitazione mondana, incontrerà certamente, di tanto in tanto, un messaggero o un messaggio che proviene da Dio. Così è stato per Maria: un misterioso incoraggiamento, una consolazione nei momenti drammatici, un costante coraggio per vivere, anche per soffrire e, quando verrà il momento, per morire. Ci sono ancora degli angeli, cioè dei messaggeri e dei messaggi che vengono da Dio, che tuttavia potranno incontrare o raggiungere soltanto coloro che sono pervenuti al silenzio, alla concentrazione, alla disponibilità: solo questo atteggiamento interiore ci permetterà di costatare, come Maria, che Dio viene sempre in aiuto del suo popolo, nel ricordo della sua bontà e della sua misericordia.

Nascita di Giovani il Battista

Capitolo 1,57-80

*Intanto per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. *I vicini e i parenti, udito che il Signore aveva manifestato la sua grande bontà verso di lei, si unirono alla sua gioia. *All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e lo volevano chiamare come suo padre, Zaccaria. *Ma la madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni. *Le dissero: Non c’è nessuno della tua parentela che porti questo nome. *Allora domandarono con cenni al padre come voleva che fosse chiamato. *Ed egli, chiesta una tavoletta, vi scrisse sopra: Giovanni è il suo nome; e tutti furono meravigliati. *In quel medesimo istante gli si aprì la bocca, gli si sciolse la lingua ed egli incominciò a parlare benedicendo Dio. *Tutti i vicini furono presi da timore e per tutta la regione montuosa si discorreva di tutti questi avvenimenti. E quanti ne sentivano parlare pensavano dentro di sé si chiedevano: Che diventerà mai questo bambino? La protezione del Signore infatti era manifesta su di lui. *Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo e profetizzò dicendo: *Benedetto sia il Signore, Dio d’Israele, perché è intervenuto a liberare il suo popolo: *egli ha suscitato per noi un potente salvatore, un discendente di Davide suo servo, *come aveva promesso da tempi antichi per mezzo dei suoi santi profeti, *per salvarci dai nostri nemici a dal potere di tutti coloro che ci odiano. *Così ha manifestato la sua bontà verso i nostri padri restando fedele alla sua santa alleanza, *e al giuramento fatto ad Abramo, nostro padre; egli ci concederà che, *liberati dal potere dei nostri nemici, gli rendiamo senza paura il nostro culto *nella santità e fedeltà davanti a lui per tutti i giorni della nostra vita. *E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché precederai il Signore per preparargli la strada, *per dare al suo popolo la coscienza di essere salvato per mezzo del perdono dei loro peccati, *grazie alla tenera compassione del nostro Dio, per cui è intervenuto a nostro favore dall’alto un astro sorgente, *a illuminare coloro che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, per guidare i nostri passi sulla via della pace. *E il fanciullo cresceva, il suo spirito si fortificava; visse nel deserto fino al giorno in cui si fece conoscere a Israele.

Dopo l’annuncio segue quello della nascita, alla promessa segue il compimento. In Giovanni, al momento della nascita e della festa per la circoncisione, si realizza in modo meraviglioso ciò che era stato annunciato dall’angelo. Il bambino riceve il nome per una scelta di Dio, nome espressivo e carico di promesse: “Il Signore è favorevole, usa misericordia”. Il clima che avvolge tutta la scena è quello di una gioia, di una festa che si trasmette per contagio e diventa già lieto annuncio, presentimento e attesa favorevole.

A questo punto anche il segno del castigo di Zaccaria si scioglie. Ora che ha eseguito fedelmente l’ordine ricevuto, può parlare. Le sue parole sono un canto di lode e una profezia. L’inno di lode interpreta nella giusta luce gli avvenimenti che stanno ora compiendosi. L’annuncio profetico, sotto l’impulso dello Spirito Santo, anticipa il compito o la missione del bambino come risposta alla domanda che tutti si fanno: “Che mai diventerà questo bambino?”

Una chiave per afferrare il movimento del pensiero del Cantico sono l’idea e la realtà dell’esodo. Due tradizioni bibliche per capire le formule e le immagini: Es. 1-15; Is. 40-55. Il primo di questi Libri narra l’uscita dall’Egitto, il secondo prevede il ritorno a Sion degli esiliati da Babilonia. La nascita di Giovanni Battista inaugura il tempo della redenzione. Non più liberazione dalla cattività delle prigioni, ma perdono del peccato per il servizio del Signore. Le antiche immagini, trasposte dal piano materiale al piano spirituale, acquistano valore di simboli.

Il Cantico si divide in due parti:

La prima, vv. 68-75, si rivolge al Signore e assimila la redenzione dall’Egitto;

La seconda, vv.76-79, si rivolge al bambino appena nato e la confronta con l’esodo Babilonese.

Il duplice parallelo conduce alla conclusione che Giovanni Battista è il messaggero dell’esodo definitivo che porterà l’umanità dalle ombre del peccato alla luce della giustizia.

Le partenze dall’Egitto e da Babilonia, non sono altro che abbozzi e prefigurazioni della Parola di Dio.

Il Cantico esprime la lode, il ringraziamento, la gioia di Zaccaria per l’attualizzarsi delle promesse, che, riassumiamo con l’espressione di grande fede e speranza: “…a illuminare coloro che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, per guidare i nostri passi sulla via della pace”.

Oltre a Zaccaria, nel testo, agiscono altri due soggetti: Dio e Giovanni Battista.

Le azioni attribuite a Dio sono sei: “…ha visitato”; “…ha suscitato”; “…come aveva promesso”; “…ha concesso”; “…si è ricordato”; “…di concederci”. Come possiamo notare si tratta di sei designazioni attualizzanti, in altre parole, Zaccaria innalza a Dio la lode per avere adempiuto alle promesse. Infatti, rivolgendosi al figlio appena nato, scopriamo altre sei designazioni che confermano le promesse di Dio: “…sarai chiamato”; “…a preparargli”; “…la conoscenza”; “…verrà a visitarci”; “…per rischiarare”; “…e dirigere”.

La promessa Messianica è compiuta. Zaccaria sa che Dio ha già mandato il Redentore per liberare e per santificare il suo popolo; infine, rivolgendosi al proprio neonato, lo saluta come precursore del Messia e annunciatore di perdono a quanti ancora giacciono nelle tenebre del paganesimo, dell’indifferenza, dell’orgoglio, della sete di potere, della ricerca spasmodica del successo e del peccato personale, sociale e collettivo.

Signore, Dio Onnipotente, esultano le nostre labbra cantando le tue lodi, o Altissimo. Come Zaccaria, liberati dal mutismo, ci rivolgiamo a te: “Benedetto il Signore…”. Abbiamo visto le tue opere nell’arco dei secoli, dal “Fiat” della creazione, al “Fiat” di Maria. Lo Spirito Santo ha condotto la tua opera di salvezza fino “…a servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni”. Insieme con Zaccaria abbiamo compreso il senso della nascita di Giovanni Battista “…e tu bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo”…”a preparargli la strada, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza”. L’intervento soprannaturale del concepimento del Messia, Gesù Cristo, la cui opera redentrice è come se fosse già avvenuta, perché il principio della redenzione risiede in te, nel ricordo che hai della tua promessa, nell’amicizia che ti lega ad Abramo.

Tu, Signore, visiti costantemente il tuo popolo e ci liberi in vista del servizio, affinché ti rendiamo culto. In avvenimenti del tutto differenti, hai manifestato un’identica volontà di liberazione, in altre parole, la gran liberazione che hai instaurato con il Verbo fatto carne nel seno della Vergine Maria. Gesù, tuo Figlio unigenito, che ci ha sciolto dal potere delle tenebre e ci ha trasferito nel regno dell’amore. Per opera sua abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. I nostri cuori sono ricolmi di gioia, di riconoscenza, consapevoli del dono che ci hai fatto: “Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.

Come Zaccaria, anche noi ti acclamiamo a mani alzate ed esultanti la venuta di Gesù, luce nascente del seno di Dio, ad illuminare gli uomini e renderli figli della luce.

Dio, Dio nostro, ti cerchiamo con ardore. Le nostre anime, redente e illuminate, hanno sete di te. Senza di te il nostro essere è simile al deserto, arido e senz’acqua. Noi vogliamo contemplarti in ogni istante per ammirare la tua potenza e gloria. Poiché la tua grazia è migliore della vita stessa…Ti benediciamo, ti adoriamo, ti lodiamo, nel tuo nome alziamo le nostre mani finché le nostre anime si sazino…Le nostre bocche ti glorifichino con le labbra osannanti, così che possiamo comprendere e apprezzare meglio il dono della salvezza, senza scordare lo stato di condanna e di morte in cui era precipitata l’umanità a causa del peccato. Proprio questa visione tragica e pessimista fa risaltare l’infinita bontà e misericordia di Dio che “ci ha fatti rivivere in Gesù Cristo”.

Indice Vangelo di Luca