Vangelo di Giovanni – Cap 20,1-31 a 20,19-31

Peter Paul Rubens - Resurrezione di Cristo

LA RISURREZIONE

Capitolo 20, 1-31

I quattro evangelisti rendono testimonianza al fatto della risurrezione affermando che la domenica mattina la tomba fu trovata vuota e che il Cristo risorto apparve ai suoi discepoli. I capitoli 20-21 ci descrivono quattro apparizioni di Gesù dopo la sua risurrezione:

– a Maria Maddalena (21, 14-18);
– ai discepoli senza Tommaso (21, 19-23);
– ai discepoli con Tommaso la settimana seguente (21, 26-29),
– ai discepoli sulla riva del lago (21, 1-23).

Una parte di questo fondo narrativo è comune ai quattro vangeli (sepolcro vuoto, apparizione ad alcune donne e agli apostoli), ma Giovanni, che ha avuto a disposizione le stesse fonti dei sinottici, le ha rimaneggiate con molta abilità. In particolare, egli ha personalizzato le esperienze di fede dopo la risurrezione ricollegandole a singoli individui, e caratterizzando modelli di fede molto svariati: il discepolo che Gesù amava crede senza aver visto (20,8), Maria di Magdala riconosce il Signore soltanto quando egli la chiama per nome (20,16); i discepoli lo vedono e credono in lui (20,20); Tommaso non vuol credere senza averlo visto e toccato. Per Giovanni, passione e morte costituiscono l’ora della glorificazione. La risurrezione e le apparizioni di Cristo Risorto sono importanti perché consacrano l’insieme del percorso di Gesù e preparano il tempo della Chiesa quando Gesù sale al Padre.

L’apparizione a Maria Maddalena

Capitolo 20, 11-18

*Il primo giorno della settimana Maria di Magdala, di buon mattino, mentre era ancora buio, si recò al sepolcro e vide che la pietra era stata rimossa. *Allora corse da Simon Pietro e dall’altro discepolo che Gesù amava e disse loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo abbiano messo *Pietro uscì subito con l’altro discepolo per recarsi al sepolcro. *Correvano entrambi: ma l’altro discepolo, più svelto di Pietro, corse avanti e arrivò al sepolcro per primo. *Chinatosi, vide per terra le bende, ma non entrò. *Giunse anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro, vide per terra le bende *e, ripiegato a parte, in un angolo, il sudario che gli aveva coperto il volto. *Allora anche l’altro discepolo, che era giunto al sepolcro per primo, entrò, vide e credette. *Infatti non avevano ancora capito la Scrittura secondo la quale Gesù doveva risorgere dai morti. Poi i discepoli tornarono di nuovo a casa loro. Maria stava presso il sepolcro, in lacrime. Piangendo si affacciò a guardare dentro il sepolcro. *E vide due angeli in bianche vesti, seduti là dove giaceva il corpo di Gesù, uno al posto del capo e l’altro al posto dei piedi. *Le chiesero: Donna, perché piangi? Rispose: Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l’abbiano messo. *Mentre diceva così si volse e vide Gesù che stava lì, ma non sapeva che era Gesù. *Le dice Gesù: Donna, perché piangi? Chi cerchi? Essa, pensando che fosse il giardiniere, rispose: Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai messo, e io andrò a prenderlo. *Gesù le disse: Maria! Allora, lanciandosi verso di lui, esclamò in ebraico: Rabbuni, che significa: maestro. *Gesù le disse: Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre. Và piuttosto dai miei fratelli e annuncia loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, al mio Dio e Dio vostro. *Maria di Magdala andò dunque ad annunciare ai discepoli: Ho veduto il Signore ed ecco ciò che mi ha detto.

La visione di Gesù secondo la carne sta scomparendo e sta per instaurarsi una nuova relazione con lui, basata sull’ascolto della parola (la stessa tematica riapparirà con Tommaso in cui il credere si sostituisce al vedere). Infatti, come la frazione del pane in Lc. 24 apriva gli occhi dei discepoli di Emmaus, qui è il chiamare Maria per nome che provoca il riconoscimento, perché “le pecore ascoltano la voce del pastore, che chiama le sue pecore per nome” (10,3). Maria Maddalena giunge di buon mattino al sepolcro. E vede con sorpresa la tomba vuota e rimane presso il sepolcro a piangere perché il suo amico e Maestro è morto; si accontenterebbe di sapere dove hanno portato il suo corpo. Maria Maddalena rappresenta l’umanità sempre alla ricerca di un salvatore, ma con una speranza inibita e ristretta, che non osa. Infatti, la sua ricerca di Gesù è ancora molto umana: cerca Gesù tra i morti, dove non c’é. Molto spesso noi cerchiamo Dio dove non c’è attraverso modelli d’efficacia umana, di successo, di potere, di soddisfazioni facili.

La ricerca di Maria Maddalena è anche l’immagine di una società afflitta e smarrita, che desidererebbe almeno riflettere un poco, per comprendere le ragioni dei suoi mali, per vedere quali sono gli errori che ha commesso. Gesù non è irritato dalla ricerca sbagliata e imperfetta della donna perché sa che in lei c’è molto amore e un profondo anelito. E, ad un tratto, Maria Maddalena vede con i suoi occhi colui che non credeva più di vedere, ascolta una voce intensa che non avrebbe mai più pensato di udire, si sente chiamare per nome: “Maria!”.

E’ espressivo che Gesù si riveli a lei non annunciandole l’evento che lo riguarda: “Sono risorto, sono vivo”, ma pronunciando il suo nome:”Maria!”. Si tratta di una rivelazione personale, intima, esistenziale, che infonde non solo la certezza che Gesù Cristo è vivo, bensì la coscienza di essere da lui conosciuta veramente, nella pienezza e dignità. Quello di Gesù è un appello discreto di libertà, espresso con il nome che indica meglio l’interiorità. Così Gesù vuole incontrare ogni uomo: avvicinandosi, correggendo le ricerche incerte, confuse, maldestre, rivelando il suo amore e chiamando per nome. Ciascuno di noi, come Maria, può fare l’esperienza del Risorto, scoprirne i segni pur se sente nel cuore poca speranza e se sul volto scendono le lacrime.

E’ nell’interiorità che possiamo scoprire l’amore di Dio; è dentro di noi che possiamo sentirci chiamati e restituiti alla nostra identità profonda, alla nostra vocazione di figli di Dio. Ma c’è un’altra riflessione da fare. La ricerca di Maria Maddalena è confusa e incerta, ma preziosa, è esperienza ineliminabile di una persona umana giunta ad un minimo d’autenticità e d’onestà con se stessa e con la vita. La forza interiore e la speranza sono l’antidoto di cui abbiamo necessità contro il decadimento sociale, morale, civile e politico, un decadimento che tende a mandare in frantumi l’unità culturale e civile di un popolo, che tende a far perdere il senso delle ragioni per stare insieme e lavorare per lo stesso scopo, nella stessa direzione.

Per uscire dal cerchio infernale del degrado sociale e politico occorre che il cuore appesantito, come quello di Maria Maddalena che piange, sia mosso da una grande e concreta speranza, non legata a circostanze contingenti, a rimedi di corto livello sui quali siamo fin troppo portati allo scetticismo. Gesù che appare a Maria Maddalena c’invita a cambiare modo di pensare e di vedere, ad accettare che l’amore di Dio dissolve la paura, che la grazia rimette il peccato, che l’iniziativa di Dio viene prima d’ogni sforzo umano e ci rianima, ci rigenera interiormente.

Apparizione ai discepoli

Capitolo 20, 19-31

*La sera di quel medesimo giorno, il primo della settimana, mentre per paura dei giudei le porte del luogo dove si trovavano i discepoli erano chiuse, Gesù venne, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi. *Così dicendo mostrò loro le mani e il fianco. Vedendo il Signore, i discepoli furono pieni di gioia. *Gesù disse di nuovo: Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. *Poi soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. *A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti. *Tommaso, uno dei dodici, detto il gemello, non era con loro quando venne Gesù. *Gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo veduto il Signore. Ma egli rispose: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. *Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Gesù venne di nuovo, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi. *Poi si rivolse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato. E non essere incredulo, ma credi. *Rispose Tommaso: Signore mio e Dio mio! *E Gesù gli disse: Tu hai creduto perché mi hai veduto. Beati quelli che hanno creduto senza aver veduto. *Gesù operò davanti ai discepoli molti altri segni che non sono scritti in questo libro; *di questi (che avete letto) sono stati messi in iscritto perché crediate che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, e perché credendo, abbiate vita nel suo nome.

Questo brano riferisce due apparizioni del Risorto: l’una ai discepoli, la sera dello stesso giorno di Pasqua (vv. 19-23), l’altra a Tommaso, otto giorni dopo (vv. 24-29). Al termine di queste due apparizioni, si ha la prima conclusione dell’intero vangelo (vv. 30-31).

L’identità tra il Risorto e il Crocifisso.
L’inizio del racconto vuole far capire che il Risorto che appare è il Gesù crocifisso sul Calvario (vv. 19-20). Da una parte l’entrare a porte “chiuse”, il fermarsi “in mezzo” agli apostoli e il rivolgere loro la parola dicono chiaramente che Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova ( 1 Cor.15,35-50), non quella del semplice tornato in vita, come Lazzaro. D’altra parte Gesù “mostrò loro le mani e il costato” (v. 20), cioè i segni che il martirio subìto avevano provocato sul suo corpo. Il mistero pasquale consiste proprio nell’identità tra il Gesù del venerdì santo e il Signore della domenica di Pasqua e di tutto il tempo della vita della Chiesa. Credere fermamente che Gesù è risorto e che la sua risurrezione è causa anche della nostra, è sorgente di forza e di speranza.

I doni del Risorto.
Possiamo ridurli a tre: il conferimento della missione, il dono dello Spirito Santo e il potere di rimettere i peccati.

Il conferimento della missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (v. 21). Il parallelismo Padre-Figlio e Figlio-credente, caratteristico del linguaggio giovanneo (6,57; 10,15), è ben più che una semplice analogia: realmente Gesù conferisce ai suoi la missione che ha ricevuto dal Padre. La frase più vicina alla nostra è quella della preghiera sacerdotale: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (17,18).

Il dono dello Spirito Santo: “Gesù alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo” (v. 22). Il verbo greco “emfjsào”, soffiare, usato per indicare la trasmissione dello Spirito, ricorre solo qui nel NT ed è anche assai raro nell’AT; ricorre in Gen. 2,7 quando Jahwè soffia lo spirito di vita sulla creta per essere uomo vivente, poi in Ez. 37,9 per descrivere la nuova vita delle “ossa aride”. Questo contesto generale ci porta a ritenere che nel nostro versetto si parli di un nuovo atto creativo: mediante il dono dello Spirito, Gesù compie nei discepoli una nuova creazione. Non possiamo qui specificare adeguatamente il rapporto tra questo dono dello Spirito e quello della Pentecoste narrato da Atti 2. Molti studiosi ritengono che Giovanni abbia anticipato qui il fatto della Pentecoste per esprimere così la totalità tra i due avvenimenti.

Il potere di rimettere i peccati: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (v. 23). Il Risorto conferisce questo potere a quanti si trovavano in quel determinato luogo a porte chiuse, cioè agli apostoli; conseguentemente si tratta di un potere di carattere ecclesiale concesso agli apostoli e ai loro successori.

Nella seconda apparizione, avvenuta “otto giorni dopo” (V. 26), predominano la persona del Risorto e quella di Tommaso. Quest’ultimo è disposto a fare propria la lieta testimonianza degli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (v. 25) soltanto se controllerà fisicamente nel Risorto i segni della passione. Con questo atteggiamento di Tommaso, l’evangelista porta avanti l’identità già riscontrata tra il Crocifisso e il Risorto.

Con sconfinata condiscendenza Gesù viene incontro alla pretesa di Tommaso e lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Signore mio e Dio mio!” (v. 28). L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’AT, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim” e sono molto vicine a quanto scrive il Sal. 35,23: “Mio Dio e mio Signore”. Con la tecnica, abituale nel NT, di trasferire su Cristo quanto l’AT dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Le altre professioni di fede, che Giovanni dissemina nel suo vangelo – quali quella di Natanaele (1,49), degli abitanti di Sicar (4,42), di Simon Pietro (6, 68-69), del cieco nato (9,38) e di Marta (11,27) – rimangono al di sotto di questa di Tommaso. Da questo momento in avanti il resto del nostro testo non fa altro che sottolineare il tema della fede: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.

L’intero brano deve essere letto in chiave liturgica ed eucaristica, nel contesto dell’assemblea domenicale. E’ quanto ci suggerisce il testo stesso con le frasi: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, cioè la domenica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa” (v. 26), dove quel “di nuovo” suggerisce che i discepoli si riunivano ogni settimana, di domenica, e non ogni giorno. Ricordiamo che quando Giovanni scriveva l’assemblea eucaristica domenicale aveva già avuto un buon collaudo; si vedano Atti 20, 7-11 (la celebrazione domenicale a Triade) e 1 Cor 16,2 (la celebrazione domenicale a Corinto). E’ dagli scritti giovannei che proviene il termine “giorno del Signore” (Ap 1,10) o domenica.

A questo punto si conclude il vangelo di Giovanni (20, 30-31). A sorpresa però il vangelo prosegue con un altro capitolo (21, 1-23) e un’altra conclusione (21, 24-25).

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