Vangelo di Giovanni – Cap 18,1-19,42 a 18,28-40

Cristo porta la croce - Giovanni Battista Tiepolo

IL RACCONTO DELLA PASSIONE

Capitolo 18,1-19,42

Lo scopo del vangelo è raggiunto in questa sezione finale, la passione e la morte di Gesù è il punto culminante del libro dell’esaltazione e la realizzazione di tutto quanto è stato simboleggiata nel libro dei segni. Il racconto della passione occupa la parte principale di questa sezione, come avviene del resto in tutti i vangeli. Tuttavia è il vangelo di Giovanni che non ci fa dimenticare che questo è il racconto di una vittoria, anche se il mondo non lo considera come tale. Conformemente al suo pensiero, qui l’evangelista non fa alcuna menzione dell’agonia nel giardino e non si parla che pochissimo delle umiliazioni subite da Gesù da parte dei giudici. Noi conosciamo tutti questi eventi in base alle informazioni dei sinottici, ma Giovanni si è preoccupato di selezionare quel materiale dove l’occhio della fede riesce a ravvisare solo il Signore della salvezza. La comparsa di Gesù davanti al tribunale di Pilato gli permette di asserire la sua supremazia sul mondo.

Se è coronato di spine, lo è in quanto re. Dall’inizio alla fine, pertanto, e non soltanto nei momenti della risurrezione e dell’effusione dello Spirito, questo è un racconto della glorificazione di Cristo. Ed è infine la risposta di Dio al rifiuto del mondo: una risposta d’amore, che proprio di fronte al rifiuto esprime tutta la sua profondità e la sua ostinazione. Giovanni ripete che Gesù va liberamente incontro alla Croce: solo quando dice “su alzatevi”, possono arrestarlo. E’ Gesù il protagonista degli eventi, non gli uomini che pure s’illudono di vincerlo. Egli è sì sofferente, ma è immerso in un alone di maestà e di gloria. Questa impressione di sovrana maestà continua sino alla fine: sulla Croce Gesù pronuncia parole calme e solenni: “tutto è compiuto” (19,30).

Nella scena del processo (18,33 ss) Gesù è giudicato dagli uomini, ma in realtà è lui stesso che giudica il suo popolo. Giovanni vede realizzarsi nella Croce di Gesù il giudizio escatologico, salvezza per i discepoli e condanna per il mondo, e questo non ha soltanto una dimensione cristologia, ma anche ecclesiale: tutto il dramma della vita di Gesù, in cui il Messia giudicato diventa giudice dei suoi accusatori, è il simbolo del dramma del cristiano che, giudicato dal mondo, deve convincerlo di peccato.

L’arresto di Gesù

Capitolo 18,1-11

*Detto questo, Gesù andò con i suoi discepoli oltre il torrente Cedron, dove c’era un giardino nel quale entrò assieme ai discepoli. *Anche Giuda, il traditore, conosceva bene il logo, perché Gesù si era spesso trovato là con i discepoli. *Giuda dunque, preso con sé un drappello della guarnigione romana e alcune guardie del tempio, vi si recò con fiaccole, lanterne e armi. *Gesù, consapevole di quanto stava per accadergli, si fece avanti e chiese: Chi cercate? *Risposero: Gesù il Nazareno. E Gesù: Sono io. Con loro c’era anche Giuda, il traditore. *Come disse: Sono io, indietreggiarono e stramazzarono a terra. *Domandò dunque di nuovo: Chi cercate? E quelli: Gesù il Nazareno. *Gesù ripeté: Ve l’ho già detto, sono io. Ma se cercate me,lasciate che costoro se ne vadano. *Così si adempie la parola da lui detta: Di quelli che mi hai dato non ho perduto nessuno. *Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sfoderò e colpì il servo del sommo sacerdote mozzandogli l’orecchio destro. Il servo si chiamava Malco. *Ma Gesù disse a Pietro: Rimetti la spada nel fodero: Pensi che io non voglia bere il calice che il Padre mi ha dato?

Finito il suo testamento (“Detto questo”) contenuto nei capitoli 13-17, Gesù lascia il cenacolo, si sposta nel giardino che si trova oltre il torrente Cedron, e inizia la vicenda drammatica e gloriosa della sua passione. La piccola truppa che si fa avanti per arrestare Gesù non era formata soltanto dalla polizia del tempio ma anche da un drappello della guarnigione romana. Gesù era solito ritirarsi in quel giardino con i suoi discepoli e per questo Giuda ne conosceva il luogo. Giovanni, come abbiamo già accennato prima, non dice nulla dell’agonia di Gesù, della sua preghiera, del conforto dell’angelo, ecc. Giovanni vuole mostrarci un significato salvifico, nascosto, che però è racchiuso in eventi reali. Egli passa immediatamente a parlare dell’arresto di Gesù, e perfino in quest’episodio egli ravvisa una chiara manifestazione della sua divinità. Infatti, appena pronunziata la parola “Io sono” (“Sono io”), evocatrice del nome di Dio secondo l’Esodo (3,14), tutti piombano a terra come di fronte ad un’apparizione divina. In generale, Giovanni ha cancellato i tratti che potrebbero sminuire la grandezza di Gesù (il bacio di Giuda, presente nei sinottici, è scomparso in Giovanni). Il Cristo appare come Signore pieno di dignità e come padrone degli avvenimenti e degli uomini. Egli si assume la responsabilità di mettere i suoi discepoli al riparo dalla violenza che sta per abbattersi su di lui (18,8). Quello che accade, lungi dall’essere frutto del caso o segno della vittoria degli empi, è compimento delle Scritture.

Nel giardino, ad un certo punto, sono di fronte Gesù e Giuda il traditore. Osserviamo che Giuda è fortemente messo in rilievo: non è solo davanti al drappello per indicare il Maestro, ma sembra esserne a capo, proprio come se la decisione fosse stata sua (v.3). Tuttavia ad un’attenta lettura e approfondita scopriamo che in realtà sono di fronte Gesù e il principe di questo mondo: Giuda è lo strumento di Satana e non sono semplicemente gli uomini, ma è il principe di questo mondo che cerca di impadronirsi di Gesù, contro il quale tuttavia non può nulla. In quest’episodio comune ai quattro vangeli, soltanto Giovanni nomina Pietro e il servo Malco. La disapprovazione immediata di Gesù (sul metodo di Pietro di difendere il Maestro), rileva che egli pone il suo combattimento su un piano diverso da quello dei suoi avversari armati: rifiuta la violenza e si sottopone alla volontà del Padre.

Due mondi stanno per affrontarsi: da una parte le tenebre, rappresentate dalle autorità religiose e politiche, alleate per condannare a morte Gesù. Dall’altra Gesù, solo (da un punto di vista umano, ma nella fede unito a suo Padre), che assume liberamente la sua missione e già trionfa anticipatamente sui suoi avversari con la sua parola: “Io sono”. Ecco allora il messaggio: colui che si vuole arrestare è in realtà colui che dirige gli eventi; nessuno potrebbe mettergli le mani addosso, se lui stesso non si consegnasse liberamente. Questi due aspetti, in altre parole la trascendenza e la libertà, sono indispensabili per comprendere pienamente il dono che la passione racchiude. La scena descritta dai versetti è dominata da un Gesù pronto e consapevole. Egli “conosce”, si fa avanti e pone la domanda “Chi cercate?” Potrebbe fuggire ma si consegna, impone il rilascio dei discepoli perché si compiano le sue parole, non prega di allontanare il calice ma lo accetta come dono. Dunque un Gesù lucido e consapevole: conosce ciò che lo attende e ne conosce il significato: è la volontà del Padre. Ed è un Gesù obbediente, religioso: accetta liberamente la Passione e ne fa un dono, una rivelazione d’amore.

L’interrogatorio nel palazzo di Anna – Rinnegamento di Pietro

Capitolo 18, 12-27

*I soldati romani, il tribuno e le guardie dei giudei presero dunque Gesù e lo legarono. *Lo condussero prima da Anna, che era suocero di Caifa, sommo sacerdote in quell’anno. *Caifa era colui che aveva dato ai giudei questo consiglio: Conviene che un uomo solo muoia per il popolo. *Simon Pietro e un altro discepolo seguirono Gesù. Quel discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote, ed entrò nell’atrio con Gesù. *Pietro invece rimase fuori, alla porta. Allora l’altro discepolo, che era conosciuto dal sommo sacerdote, uscì di nuovo, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. *Disse la portinaia a Pietro: Non sei anche tu un discepolo di quell’uomo? Pietro rispose: Non lo sono. *Faceva freddo, e i servi e le guardie accesero un braciere, e stavano a scaldarsi. Anche Pietro stava a scaldarsi con loro. *Il sommo sacerdote interrogò Gesù intorno ai suoi discepoli e alla sua dottrina. *Gesù rispose: Io ho parlato al mondo apertamente, ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove si radunano tutti i giudei, non ho mai detto nulla di nascosto. *Perché interroghi me? Su quello che ho detto interroga coloro che mi hanno ascoltato: loro sanno quello che ho detto. *A queste parole una delle guardie presenti diede a Gesù uno schiaffo, dicendo: E’ così che si risponde al sommo sacerdote? *E Gesù: Se ho parlato male, dimostrami in che cosa ho sbagliato; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti? *Allora Anna lo mandò, legato, dal sommo sacerdote Caifa. *Intanto Simon Pietro stava a scaldarsi. Gli domandarono: Non sei anche tu un suo discepolo? Egli negò e rispose: Non lo sono. *Un servo del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva mozzato l’orecchio, soggiunse: Ma non ti ho veduto io con lui nel giardino? *Pietro negò di nuovo. E in quell’istante il gallo cantò.

Gesù arrestato viene condotto, secondo il vangelo di Giovanni, non davanti a Caifa, sommo sacerdote in carica, ma davanti a suo suocero, Anna, un ex sommo sacerdote particolarmente potente. Giovanni è il solo che gli attribuisce un ruolo nell’interrogatorio di Gesù. I quattro vangeli riportano il triplice rinnegamento di Pietro. A differenza di Luca (che ha conservato un racconto continuo), gli altri tre hanno ripartito il triplice rinnegamento in due o tre momenti diversi, durante il processo di Gesù. Giovanni inquadra abilmente la comparizione di Gesù davanti ad Anna con due scene dedicate a Pietro. Mentre Gesù interrogato riguardo ai suoi discepoli (v. 19) che continua a proteggerli dichiarando di aver “parlato apertamente al mondo”, Pietro, interrogato riguardo al suo maestro, lo rinnega. L’interrogatorio di Anna verte sull’accusa di turbativa dell’ordine pubblico attraverso la costituzione di un gruppo di seguaci e l’insegnamento di una dottrina pericolosa. E’ probabile che l’interesse del sommo sacerdote si focalizzasse sulla convinzione che Gesù fosse a capo di una rivolta messianica.

Nella sua risposta Gesù fa notare l’inutilità e la farsa di questo processo, egli, infatti, da qualche tempo parlava in pubblico e il suo insegnamento era ascoltato dalla folla, non aveva nulla di segreto, quindi se fosse a capo di una rivolta poteva allora essere arrestato già prima e in qualsiasi momento, perché lo hanno fatto proprio adesso e in modo così teatrale? A questo punto una guardia schiaffeggia Gesù, perché gli è sembrato che Gesù attribuisse poca importanza a questo processo e alle accuse del sommo sacerdote. Ma lui silenzioso nei sinottici davanti agli affronti, nel vangelo di Giovanni si comporta con la dignità del Signore che chiede spiegazioni a colui che lo percuote.

Nel racconto sono presenti tre elementi che possono aiutarci a comprendere il significato dell’insieme: il commento dell’evangelista nel v.14; il ricordo del rinnegamento di Pietro che apre e chiude l’episodio; la struttura letteraria del vero e proprio interrogatorio che è inquadrato dalle due scene del rinnegamento di Pietro (vv. 17-18 e 25-27). Il contrasto è come sempre espressivo: da una parte l’amore e il dono di Gesù, dall’altra l’infedeltà del discepolo; da una parte il coraggio di Gesù nel testimoniare la sua missione, dall’altra la debolezza del discepolo. Il rinnegamento di Pietro e l’abbandono dei discepoli erano stati predetti. Il coraggio di Gesù trova la sua origine nella comunione col Padre, la debolezza del discepolo nella presunzione di sé. Dopo l’interrogatorio non ufficiale nella casa di Anna, Gesù è condotto da Caifa per un processo formale, tenuto di giorno. Ma di quest’interrogatorio di Caifa (v. 24), l’evangelista non ci dà informazioni. Sviluppa, invece, in modo emozionante il processo davanti a Pilato.

Gesù davanti a Pilato

Capitolo 18, 28-40

*Allora Gesù fu condotto dalla casa di Caifa al pretorio. Era mattino. I giudei però non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter partecipare al banchetto pasquale. *Pilato perciò uscì verso di loro e domandò: Quale accusa sostenete contro quest’uomo? *Gli risposero: Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato. *Allora Pilato disse: Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge. Ma i giudei replicarono: Noi non possiamo pronunciare una condanna a morte. *In tal modo si adempiva la parola di Gesù che aveva predetto di quale morte doveva morire. *Pilato rientrò nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: Tu sei il re dei giudei? *Gesù gli rispose: Lo dici da te stesso o altri te l’hanno suggerito? *E Pilato di rimando: Io sono forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto? *Rispose Gesù: Il mio regno non viene da questo mondo. Se il mio regno venisse da questo mondo, i miei sudditi avrebbero lottato perché non fossi consegnato ai giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù. *Gli chiese di nuovo Pilato: Allora tu sei re? E Gesù: Tu lo dici, io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta la mia voce. *Pilato ribatté: Che cos’è la verità? Detto questo, uscì di nuovo per parlare ai giudei e disse loro: Io non trovo in lui nessun motivo di condanna. *Secondo la vostra usanza, in occasione della pasqua libero un condannato: volete che vi liberi il re dei giudei? *Ma quelli cominciarono a gridare: Non lui, ma Barabba. Barabba era un brigante.

Questa scena si svolge nel pretorio, luogo di residenza di Pilato che compare qui per la prima volta nel vangelo di Giovanni, senza altre precisazioni sulla sua identità. La costruzione scenica è molto chiara ed è suddivisa in sette atti (cc.18,28-40 e 19,1-16). I giudei non entrano nel pretorio per evitare di contrarre un’impurità legale che avrebbe loro impedito di poter celebrare la pasqua (v.28). D’altra parte, il processo di Gesù deve necessariamente svolgersi all’interno del tribunale. I versetti , 28-32, sono un prologo, e ci offrono gli elementi indispensabili di partenza per comprendere il seguito. La domanda di Pilato ai sommi sacerdoti (v.29) che incontra fuori del pretorio per non “contaminarsi” non significa necessariamente che egli non fosse informato dell’atteggiamento di questi uomini nei confronti di Gesù. Egli chiede il motivo dell’accusa in conformità alla legge romana. Il processo è condotto fin dall’inizio in modo falso, pilotato da parte dei giudei. Infatti, Pilato è costretto a fare da tramite, in un continuo andare e venire fra l’esterno, dove stanno i sacerdoti e la folla, e l’interno, dove sta Gesù.

La risposta dei giudei alla prima domanda di Pilato, Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato (v.30), e ancora più la risposta alla seconda (v.31b), noi non possiamo pronunciare una condanna a morte, mostra che essi avevano già formulato un giudizio preciso su Gesù. Se ricorrono al tribunale e al potere politico non è per sottoporre Gesù ad un giudizio imparziale, ma per sfruttare quel potere ai loro fini. Anche perché i nemici di Gesù, non disponevano di un’accusa così grave da condannare Gesù, fanno un primo tentativo di costringere Pilato ad accettare il loro giudizio senza andare alla ricerca d’accuse specifiche.

Pilato si rifiuta di compromettersi in questi termini (v. 31) ed è lui che costringe i giudei a scoprire i loro piani sulla vita di Gesù. Anche in questo racconto, come del resto in tutto il racconto della passione, Giovanni ci dà l’immagine di Gesù padrone degli avvenimenti e della storia, e qui l’evangelista vede nella morte di Gesù l’adempimento delle profezie fatte dallo stesso Gesù concernenti la sua morte (v. 32).

La domanda di Pilato a Gesù: Tu sei il re dei giudei? (v. 33) riguardo alla sua regalità è posta nei quattro vangeli in termini strettamente identici. Gesù risponderà in modo solenne: Il mio regno… Soltanto Giovanni sviluppa la risposta in un dialogo tra Gesù e Pilato. Provocato da Pilato a riconoscersi come re, Gesù prende le distanze dall’immagine della regalità terrena, senza tuttavia rifiutare il titolo stesso. Ma la contestazione di Gesù è più ampia: il suo regno non è quello che aspettano i giudei, né quello che Pilato suppone. Il suo regno viene da altrove, è di natura spirituale, lui è il “preesistente” e il suo regno si instaura non mediante la forza, ma attraverso la proposta di una parola di rivelazione. Quelli che l’accolgono diventano sudditi di questo regno, non solo alla fine dei tempi, ma fin d’ora E il suddito è chi si mette in ascolto della parola di rivelazione “chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

Alle parole di Gesù, Pilato risponde con una battuta che esprime sia ironia che scetticismo: Che cosa hai fatto? (v.35). Ma il processo ha cambiato aspetto: l’accusatore è diventato accusato, la vittima è diventata giudice, Pilato, infatti, respinge le accuse mosse contro Gesù: egli non è un “malfattore” come affermavano i giudei e Pilato proclama l’innocenza dell’accusato. La ripetuta constatazione dell’innocenza di Gesù, evidente e riconosciuta, serve per mostrare la cecità dell’incredulità: gli increduli chiudono gli occhi alla luce, non perché la luce non sia luminosa, ma perché non vogliono che le loro opere siano svelate, oppure perché preferiscono la stima degli uomini alla gloria di Dio. Fra questi ultimo c’è anche Pilato. Per ben tre volte afferma l’innocenza di Gesù e tre volte cerca di liberarlo,. Ma il suo amore alla giustizia non va oltre. Per salvare se stesso sarà pronto a sottoscrivere la condanna. A questo punto i giudei si trovano nella situazione ironica di dover chiedere la liberazione di uno che era colpevole dello stesso crimine di cui essi avevano falsamente accusato Gesù. Barabba era stato arrestato per sedizione politica. È quanto, forse, vuole esprimere Giovanni chiamandolo “brigante”, termine usato per designare gli “zeloti” che costituivano l’opposizione sotterranea giudaica alla dominazione romana.

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