Vangelo di Giovanni – Cap 12,1-11 a 12,37-50

Gesù entra a Gerusalemme

Gesù entra in Gerusalemme

Capitolo 12, 1-11

*Sei giorni prima di Pasqua Gesù andò a Bethania dove abitava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. *Là gli prepararono una cena. Marta serviva a tavola e Lazzaro era uno dei commensali. *Maria prese una libbra di unguento profumato di nardo autentico, molto costoso, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli. Il profumo dell’unguento si sparse per tutta la casa. *Allora uno dei discepoli, Giuda Iscariota, quello che stava per tradirlo, disse: *Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari da dare ai poveri? *Disse questo non perché avesse a cuore i poveri, ma perché era ladro e, approfittando del fatto che gli era stata affidata la borsa, rubava quello che ci mettevano dentro. *Gesù rispose: Lasciala, ciò che fa è in vista della mia sepoltura. *I poveri li avete sempre con voi, ma non avrete sempre me. *Una folla di giudei venne a sapere che egli si trovava là, e vi andò non soltanto per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. *Allora i capi dei sacerdoti decisero di uccidere anche Lazzaro, *dato che, per causa sua, molti giudei li abbandonavano e credevano in Gesù.

Il banchetto è pieno di presentimenti della morte imminente di Gesù: i sei giorni prima della Pasqua, il suggerimento del traditore Giuda, la risposta di Gesù che richiama uno degli atti pietosi della sepoltura anticipato da Maria, l’accenno che lui non l’avrebbero avuto per sempre, mentre i poveri sì, infine l’insano proposito dei sommi sacerdoti di uccidere il risuscitato Lazzaro, che faceva tanta propaganda per Gesù, anche senza volerlo, con la sua persona. Nella volontà di uccidere Lazzaro si risente la volontà di uccidere Gesù. E’ il banchetto del mesto addio agli amici prima della morte. L’unzione di Bethania ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo, importato in Israele dall’India, del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante.

Nel brano ognuno dei personaggi ha un nome e una particolare funzione. Lazzaro, colui che Gesù aveva risvegliato dai morti, era uno dei commensali. Il suo compito pare essere quello che attira la gente a Gesù.; Marta serve e Maria sparge il profumo; Giuda, quello che l’avrebbe tradito, fa sentire la sua voce che non del tutto stonata: serve, infatti, da richiamo ad un compito ben preciso della comunità dei credenti. Infine c’è Gesù, a cui si rendono gli onori di casa. Il servizio, infatti, ha Gesù come destinatario primario, e lo ha anche nel gesto di Maria, che è segno d’amore e di servizio insieme. Maria spande su Gesù il suo profumo assai prezioso e, osservandola, non si può non rammentare quella frase del cantico dei Cantici: “Mentre il re stava sul suo divano, il mio nardo spandeva il suo profumo” (1,12). E la casa si riempie della fragranza e fece gioire gli amici del Signore. E’ una cena di festa quella che celebrano con Gesù, un canto alla vita. Nonostante la voce fuori luogo di Giuda che deplora lo spreco del profumo, nascondendosi dietro una falsa carità verso i poveri. Invece il gesto di Maria è l’espressione di una fede e di un amore profondo che sacrifica a Dio quanto ha di più prezioso. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento forte, Giovanni rileva l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo.

I poveri li avrete sempre con voi, dice il Signore; e sarà in questo servizio sociale, politico e spirituale insieme che i credenti incontrano Gesù e testimoniano la sua presenza. I giudei non avevano trovato Gesù nel tempio, dopo averne sancito la morte. Così quando vennero a sapere che si trovava a Bethania, molti corsero là. Ma non solo per lui, ma anche per vedere Lazzaro risvegliato dai morti, perché anche lui doveva morire. Tuttavia molti cedettero in Gesù, se non per la sua parola, almeno per i segni.

L’ingresso messianico in Gerusalemme

Capitolo 12,12-19

*Il giorno dopo la gran folla giunta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, *prese rami di palma e gli uscì incontro gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele. *Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come era scritto: *Non temere figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene seduto su un puledro d’asina. *Dapprima i suoi discepoli non compresero il senso dell’avvenimento. Ma quando Gesù fu glorificato, allora ricordarono che queste cose erano scritte di lui e (compresero il significato) di ciò che avevano fatto per lui. *La gente, che era stata presente quando aveva chiamato Lazzaro fuori dal sepolcro e lo aveva risuscitato dai morti, gli rendeva testimonianza. *E’ per questo che il popolo gli era andato incontro, perché era al corrente del miracolo. *E i farisei si rimproveravano a vicenda: Vedete che non approdate a nulla? Ecco, tutto il mondo gli corre incontro.

La scena dell’entrata di Gesù a Gerusalemme (12,12-19), si svolge il giorno dopo l’episodio dell’unzione di Betania, dunque cinque giorni prima di Pasqua (12,1). Il particolare della folla che prende dei rami di palma, potrebbe ricordare la festa della Dedicazione del tempio dopo la profanazione di Antioco Epifanie: la folla si era recata con palme al tempio (2 Mac 10,7). E’ quindi possibile che essa sia andata incontro a Gesù come incontro ad un re. Giovanni sottolinea la portata messianica della scena mettendo, come i sinottici, sulle labbra della gente il Salmo 118, utilizzato per le grandi feste delle Capanne, di Pasqua e della Dedicazione, ma Gv è il solo che aggiunge al Salmo le parole “re d’Israele”.

Gesù non organizza il suo ingresso trionfale, come nei sinottici (in cui manda due discepoli a trovare l’asinello per la sua entrata), ma la sobrietà, anziché ridurre la gloria del Cristo, la esalta: “Gesù trovato un asinello, gli sedette in groppa”. Gesto senza parole e tuttavia espressivo per la folla e soprattutto per i discepoli che lo rileggono a fatto compiuto. Giovanni, infatti, ama ricordare (vv. 14b-16) che soltanto la risurrezione ha permesso di rileggere le Scritture capaci di chiarire il comportamento e, attraverso esso, il mistero stesso di Gesù. Il comportamento di Gesù può essere interpretato come una rivelazione della sua identità messianica: egli è il re, ma cavalca un asinello alla maniera di Zc 9,9 che evoca l’evento di un messia mite e umile. Di fronte a questa manifestazione di tipo politico-nazionalistico che si svolgeva durante la festa della Dedicazione (la folla che gli andava incontro acclamava colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele), Gesù fa un gesto simbolico il cui senso non è accompagnato da alcuna parola, se non quella contenuta nel libro del profeta Zaccaria, accessibile ai suoi contemporanei che avevano familiarità con le Scritture. Il vangelo di Giovanni collega e rilegge mirabilmente i tre tempi della storia della salvezza: l’Antico testamento, il tempo storico di Gesù e l’evento pasquale. Per il credente, comprendere Gesù vuol dire partire dalla sua risurrezione attraverso la croce, e rileggere il suo percorso storico accompagnandosi con il grande libro della Bibbia.

La croce e la gloria

Capitolo 12,20-36

*Tra i pellegrini saliti a Gerusalemme per adorare Dio in occasione della festa c’erano alcuni greci. *Si presentarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli domandarono: Signore, noi vogliamo vedere Gesù. *Filippo lo dice ad Andrea, e Andrea e Filippo lo dicono a Gesù. *Gesù risponde: E?venuta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo deve essere glorificato. *In verità in verità vi dico: se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto. *Chi ama la sua vita la perde, chi invece odia la sua vita in questo mondo la custodisce per la vita eterna. *Se qualcuno vuole servirmi, mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo. Se qualcuno mi serve, il Padre mio lo onorerà. *In questo momento la mi anima è turbata. Che posso dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma io sono venuto proprio per quest’ora! *Padre, glorifica il tuo nome! Allora dal cielo giunse una voce: L’ho già glorificato, e di nuovo lo glorificherò. *La folla,c he era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Ma altri dicevano: Gli ha parlato un angelo. *Rispose Gesù: Questa voce è risuonata per voi, non per me. *Ora si attua il giudizio di questo mondo. Ora il principe di questo mondo sarà precipitato giù. *Io invece, quando sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me. *Diceva questo per indicare di quale morte stava per morire. *Gli rispose la folla: Noi abbiamo imparato dalla legge che il Messia rimane in eterno; come puoi dire che il Figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo? *Gesù disse: La luce è tra voi ancora per poco tempo; camminate mentre avete la luce affinché le tenebre non vi sorprendano. Chi cammina nelle tenebre non sa dove va. *Fin che avete la luce credete nella luce affinché diveniate figli della luce. Gesù parlò così, poi si allontanò e si nascose a loro.

L’ora di Gesù (12, 20- 36) è la prosecuzione di ciò che è stato detto di Gesù a partire dal capitolo 11, 51-52. In quell’occasione Giovanni aveva detto che la morte di Gesù avrebbe “riunito tutti i figli dispersi”, il suo messaggio, in altre parole, sarebbe stato rivolto a tutti gli uomini. E ciò viene simboleggiato dall’arrivo dei greci presso Gesù. I greci qui non sono dei giudei che vivevano in Grecia o parlavano greco, ma dei pagani simpatizzanti del giudaismo, che erano giunti a Gerusalemme per le feste pasquali ebraiche. Questo primo accesso di non giudei presso Gesù è abilmente presentato come il segno annunciatore che è giunta l’ora: la salvezza è aperta anche a loro e a chiunque segue Gesù sulla via della donazione assoluta. Questi uomini provenienti dal paganesimo hanno già fatto una prima scelta del Dio d’Israele e si preparano ad un altro passaggio: dal giudaismo a Gesù che ne è il compimento. Essi vogliono “vedere” Gesù, senza dubbio nel senso forte di “credere in lui” (12,45; 14,9).

Esaminiamo brevemente la parola “ora”, termine cardine in Giovanni. Tutto il suo vangelo, infatti, è orientato a questa “ora”. Questa è un’ora di qualità e non più una frazione di tempo. Il vangelo di Giovanni dimostra uno spiccato interesse per la parola “ora”, che riporta per ben 26 volte ed indica un tempo particolarmente favorevole, nel quale si compie la salvezza.

Durante la prima parte del vangelo, quella che contiene i miracoli (o “segni” come ama definirli Giovanni), quest’ora non è ancora arrivata, c’è solo una tensione verso di essa. Maria a Cana di Galilea, presentando a Gesù il disagio degli sposi per la mancanza di vino, si sente rispondere: “Non è ancora giunta la mia ora”. Anche il fallito tentativo di arrestarlo prima del tempo (7,30; 8,20) ha la stessa motivazione: “Non era giunta la sua ora”.

Nella seconda parte del vangelo, invece, Gesù davanti ai pagani che lo vogliono vedere, annuncia che l’ora, ritardata fino a questo momento, è giunta. Il ritorno in vita di Lazzaro (ultimo “segno”) era la prefigurazione di quest’ora. La venuta dei greci da Gesù ne manifesta la realizzazione ( nella morte di Gesù la salvezza è offerta a tutti gli uomini).

L’ora di Gesù quindi è, paradossalmente, l’ora della sua morte. Noi andiamo incontro alla morte con un senso di desolazione, del “tutto è finito”. Davanti all’ora siamo indifesi, sprovveduti. Lui no: è preparato, ben disposto, la desidera e le va incontro come si fa con la sposa. L’evangelista lo rileva con un ripetuto “sapendo” (13,1; 13,3). Ciò non toglie che anche lui prova un senso di smarrimento: “Ora l’anima mia è turbata, e che devo dire? Padre salvami da quest’ora?”, ma poi si riprende subito: “Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre glorifica il tuo nome” (12, 27-28).

In connessione con l’ora sta la gloria, che indica la manifestazione di una realtà interiore. Compiendo i miracoli, Gesù rende visibile l’invisibile. A Cana, nel segno compiuto, Gesù “diede inizio ai suoi segni, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui” (2,11). Quella dei segni è una gloria parziale che giunge come luce che sfiora appena la realtà in se stessa. E’ un albeggiare che preannunzia la pienezza del giorno, appena disegnato dal primo chiarore. Al momento dell’ora (cioè della morte), la gloria brillerà in tutto il suo splendore. L’ora quindi è nello stesso tempo la morte e la glorificazione.

Anche se si profila lo spettro della morte, essa è letta alla luce della gloria. La morte deve rivelare qualcosa di sorprendente, parabolicamente significata da un dato preso dalla natura. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore, produce molto frutto” (12,24). Che cosa permette a Gesù di affrontare la sua ora con tanto slancio? E’ l’amore, perché esso compendia tutto ciò che poteva dare: se stesso: “Avendo amato i suoi li amò fino alla fine” (13,1). L’ora dell’amore rimane per sempre impressa nel cuore e nella storia. Sull’esempio di Gesù, tutte le vite umane donate per amore porteranno frutti nel tempo presente e nel futuro. Pensiamo ai martiri di ieri e di oggi, il cui sangue e “seme” che rigenera e dà inizio a nuove vite.

Ma la morte di Gesù non è solo un passaggio obbligato perché egli entri nella gloria, ma è la condizione perché la Chiesa nasca e si espanda a tutti gli uomini. Come il grano Gesù deve morire per poter portare frutto al mondo. La morte di Cristo è l’istante fondatore dell’essere cristiano, perché: “Là dove sono io sarà anche il mio servo” (12,26). I versetti 25-26 associano, infatti, la comunità dei credenti al destino di Gesù. Quelli che “amano la propria vita” sono, nel linguaggio giovanneo, quelli che preferiscono le tenebre, questo mondo, la propria gloria. I sinottici saranno più espliciti: “Chi perderà la sua vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8,35). Il discepolo deve andare dove va Gesù (“Se qualcuno mi serve, mi segua” v. 26), vale a dire deve entrare come lui nella morte per partecipare alla gloria. Solo in questo caso, dice Gesù,: “Il Padre lo onorerà”. Il paradosso dell’ora di Gesù sta proprio nel fatto che la sua esaltazione avrà tutte le apparenze di una sconfitta subita, ma in realtà il potere di satana verrà spezzato (v. 31). Gv non dice che satana sarà distrutto, ma che non sarà più il principe del mondo se non in quella misura che le cattive disposizioni degli uomini gli permetteranno. Il relativo fallimento di Cristo pone all’evangelista il difficile problema dell’apparente inefficacia del profeta Gesù. Giovanni dice che il rigetto di Gesù risponde a una certa logica della storia della salvezza e cita due brani di Isaia.

– Quello del Servo sofferente (il famoso quarto carme del Servo del Signore Is 53,1), il più esplicito sul senso e sul valore del fallimento della missione.
– E la vocazione del profeta (Is 6, 9-10), dove Giovanni riferisce a Gesù l’argomento che è servito ai discepoli di Isaia per dimostrare che l’insuccesso del loro maestro è voluto da Dio stesso.

L’ultima parte di questo lungo capitolo 12 termina con l’ultimo discorso di Gesù (vv. 44-50) sulla sua identità e il suo rapporto con il Padre. Tra il Padre e Gesù il legame è così profondo che la fede in Gesù significa la fede nel Padre che lo ha mandato. Vedere Gesù è come vedere il Padre. Si capisce allora la radicalità del giudizio: il rifiuto di Gesù è un rigetto di Dio stesso.

Una valutazione e un ultimo appello

Capitolo 12,37-50

*Benché avesse compiuto tanti segni in loro presenza, essi non credevano in lui. *Si adempì in tal modo la parola di Isaia il profeta che disse: Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? E la potenza del Signore a chi è stata manifestata? *Questa è la ragione per cui non potevano credere, come già disse il medesimo Isaia: *Ho accecato il loro occhi e indurito il loro cuore, affinché i loro occhi non vedano e il loro cuore non comprenda, e non si convertano e io non li guarisca. *Questo disse Isaia allorché vide la sua gloria e di lui parlò. *Tuttavia molti, anche tra i notabili, cedettero in lui, ma non osarono dichiararlo pubblicamente per non essere espulsi dalla sinagoga: *infatti preferivano la gloria che viene dagli uomini alla gloria che viene da Dio. *Gesù proclamò a gran voce: Chi crede in me non crede in me ma in colui che mi ha mandato, *e chi vede me vede colui che mi ha mandato. *Io sono venuto nel mondo come luce, affinché tutti coloro che credono in me non restino nelle tenebre. *Chi non ascolta le mie parole e non le custodisce, io non lo giudico. Infatti non sono venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo. *Chi mi respinge e non accoglie le mie parole ha chi lo giudica: La Parola che ho rivelata, ecco chi lo giudicherà nell’ultimo giorno. *Perché io non ho parlato da me stesso: il Padre che mi ha mandato, lui stesso ha stabilito ciò che dovevo dire e rivelare. *Io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che dico, io le dico esattamente come il Padre me le ha dette.

Con questi versetti si conclude la prima parte del Vangelo di Giovanni, chiamata “libro dei segni” (cc.1-12), il brano, vv. 37-50, tratta della fede e dell’incredulità come risultato della missione rivelatrice di Gesù da parte del Padre, per cui la fede in lui è fede nel Padre e la visione del Figlio, nella fede, è visione del Padre. Lo scopo della sua missione è presentato in termini di luce: coloro che credono non restano nelle tenebre del peccato, e perciò non vengono condannati. Coloro invece che respingono Gesù (per l’incredulità come disobbedienza) e non accolgono la sua parola, non vengono condannati da Gesù, ma dalla sua parola non accolta. Il motivo è che Gesù è l’unico rivelatore del Padre e l’unica salvezza per noi. Di fronte alla parola di Dio non si può rimanere indifferenti o neutrali. La risposta è sempre anche una scelta: o con Gesù o contro Gesù. La parola di Dio invita gli uomini a fare un giudizio. Contemporaneamente però, essa è anche una parola che giudica, che sottopone gli uomini a giudizio. Il Signore dichiara “beato” chi ascolta la sua parola e la mette in pratica. Chi respinge Gesù e non accetta le sue parole, sarà invece giudicato proprio dalla parola di Dio e sarà un giudizio di condanna.

C’è un solo modo per sfuggire a questo giudizio: quello di lasciarci giudicare adesso da questa parola. E lasciarci giudicare significa prima di tutto, ascoltare la parola, ricercarne il concetto di novità e di conversione per la nostra vita, essere fedeli operatori di essa anche quando il discorso che ci rivolge è duro e difficile.

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